Muhammad Ali e l'Islam americano. Il pugilato, l'amicizia con Malcolm X, la religione. La storia di un uomo che ha dato dignità all'essere musulmano

Questo articolo è pubblicato in Oasis 24. Leggi il sommario

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:07:10

Muhammad Ali «ha reso cool l’essere musulmano, ha dato dignità al fatto di essere musulmano. E tutto questo l'ha fatto in modo che nessuno potesse mettere in dubbio la sua appartenenza» agli Stati Uniti. 

La sera dell’11 giugno 2016 sono andato a dormire dopo aver guardato una replica del funerale di Muhammad Ali. La mattina del 12 giugno mi sono svegliato con la notizia della strage di Orlando. I due eventi sono i poli opposti della vita musulmana negli Stati Uniti[1].

Sono nato in Pakistan nel 1970 e all’età di quattro anni sono arrivato in Canada. A quel tempo nel Paese c’erano meno di 34mila musulmani. Sono cresciuto a Toronto, dove ho ricevuto la mia istruzione dalla scuola dell’infanzia al dottorato. La generazione dei miei genitori non è quella dei pionieri dell’Islam in Canada. Il primo censimento canadese del 1871 (il Paese moderno è nato nel 1867) registrava la presenza di 13 musulmani.

Quando i miei genitori sono arrivati a Toronto, in città esisteva soltanto una moschea, vicino alla quale c’era l’unico negozio che vendeva carne halāl. Un’amica di vecchia data di mia madre mi ha raccontato di averla conosciuta attorno al 1972, quando mia madre attraversò una delle strade principali della città per andarle incontro: l’aveva sentita parlare con suo marito in urdu. Mia madre era così entusiasta di sentire parlare la sua lingua da qualcuno che non faceva parte della sua famiglia che attraversò una strada trafficata per parlare con degli sconosciuti. Da allora il numero dei musulmani in Canada è aumentato considerevolmente: nel 2001 erano 579.600, ma l’ultimo censimento, nel 2011, ha registrato oltre un milione di musulmani. Ora l’urdu si sente ovunque, e le partite di hockey sono trasmesse anche in punjabi (lingua parlata nel Punjab, regione a cavallo tra India e Pakistan, NdR), qualcosa che nel 1970 non avrei mai immaginato.

 

Gli eroi dell’infanzia

A quel tempo in televisione vedevo pochissime persone di colore e quasi nessun musulmano. Gli unici che ricordo erano gli atleti afroamericani Kareem Abdul Jabbar e il più grande di tutti i tempi, Muhammad Ali. Sono loro gli eroi musulmani della mia infanzia e quarant’anni dopo rimangono modelli di come essere musulmani. All’età di 32 anni mi sono trasferito a Los Angeles, dove ho vissuto negli ultimi vent’anni. Va sottolineato che i musulmani americani sono molto diversi dalle comunità musulmane dell’Europa o del Canada, luoghi in cui siamo presenti come minoranza in un contesto occidentale. I musulmani canadesi non hanno la stessa storia dei musulmani americani. La piccola popolazione musulmana presente in Canada alla fine del XIX secolo era incomparabilmente inferiore al numero di schiavi musulmani presenti in America da generazioni e nella vita musulmana canadese non vi è nulla che assomigli ai musulmani afroamericani, che rappresentano almeno un quarto dei musulmani americani. I musulmani afroamericani sono da secoli parte della storia degli Stati Uniti.

In Europa, la situazione è nettamente diversa sia tra la popolazione musulmana sia tra quella non-musulmana, ciascuna delle quali tende a essere molto più omogenea di quanto lo sia negli Stati Uniti. Così, in Gran Bretagna, la maggioranza dei musulmani è originaria dell’Asia meridionale. In Francia, i musulmani provengono per lo più dal Nord Africa mentre in Germania sono solitamente turchi o curdi. In America la situazione è diversa: qui i musulmani sono in egual misura afro-americani, del Sud-Est asiatico o mediorientali (considerando soltanto i tre gruppi maggioritari). Inoltre la definizione di ciò che significa essere francese, inglese o tedesco è più ristretta rispetto all’essere americano, che incorpora tutte quelle identità europee e molte altre. C’è poi una differenza socio-economica. I musulmani americani sono una storia americana di successo: sono benestanti e per lo più professionisti. Ci sono, per esempio, migliaia di medici musulmani americani, ben 20mila stando ai dati dell’Associazione medica islamica del nord America. I musulmani europei invece sono più emarginati, spesso appartengono a una classe socio-economica più bassa e hanno tassi di disoccupazione più alti. A volte, come spesso accade in Germania, hanno lo status di immigrati o lavoratori ospiti, non di cittadini.

Infine, vi è una differenza tra la laicità americana, che non cerca di abolire la religione ma di dare equamente a tutte le religioni un posto, e vari tipi europei di non-confessionalità dello Stato, che cercano di rendere lo spazio pubblico non-religioso. Negli Stati Uniti, i musulmani americani sono liberi di vivere il proprio Islam nello spazio pubblico. Moltissimi musulmani americani lo fanno, e nessuno l’ha fatto meglio del mio eroe dell’infanzia, il più grande di tutti i tempi.

“Volteggia come una farfalla, pungi come un’ape”

Muhammad Ali è nato Cassius Clay a Louisville e ha raggiunto la fama nazionale vincendo una medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma nel 1960 come pugile dei pesi mediomassimi. Quello stesso anno, Clay divenne un professionista conquistando notorietà sia per le sue doti verbali sia per il suo talento sul ring. La poesia inventata da lui e dal suo secondo Drew Bundini Brown («Volteggia come una farfalla, pungi come un’ape, non puoi colpire quel che non vedi») ha avuto un significato profondo per la cultura americana. Nel 1964, il ventiduenne Clay, per sua stessa ammissione, “sconvolse il mondo” sconfiggendo in sei round Sonny Liston e diventando campione del mondo dei pesi massimi. Qualche anno prima, Clay aveva partecipato alle assemblee della Nation of Islam, incontrandovi Malcolm X, che, in qualità di amico e consigliere, avrebbe fatto parte dell’entourage di Clay nell’incontro con Liston. Dopo l’incontro, Clay rese pubblica la sua conversione all'Islam e ricevette il nome di Muhammad Ali da Elijah Muhammad, uno dei capi della Nation of Islam. Quando Malcolm X lasciò la Nation of Islam a causa dei suoi problemi con Elijah Muhammad, Ali ruppe con il suo vecchio amico.

Ali non era un santo. Sapeva essere crudele, con un’arroganza comparabile alla sua incomparabile abilità. Quando durante un incontro Ernie Terrell si ostinò a chiamare Ali con il suo vecchio nome, lui infierì per tutti i quindici round di un combattimento che avrebbe potuto chiudere molto prima, chiedendo ripetutamente a Terrell: «Come dici che mi chiamo?». Ciononostante, Ali aveva anche una coscienza. Quando fu dichiarato abile all’arruolamento per la guerra in Vietnam, Ali rifiutò in ragione delle sue nuove convinzioni islamiche. Le sue parole sono celebri: «La guerra è contro gli insegnamenti del Sacro Corano. Non sto cercando di evitare la coscrizione. Noi non siamo tenuti a prendere parte ad alcuna guerra che non sia dichiarata da Dio o dal Messaggero [Elijah Muhammad]. Noi non partecipiamo a guerre cristiane o a guerre di infedeli»

Ancora più celebri sono le parole che Ali disse parlando del razzismo di cui era stato vittima in America: «Non ho nulla contro i Vietcong, nessun Vietcong mi ha mai chiamato ne*ro». La sua obiezione di coscienza si radicava nell’insegnamento della Nation of Islam, e anche Elijah Muhammad era stato incarcerato per aver rifiutato di servire nella seconda guerra mondiale. Il 28 aprile 1967, Ali rifiutò di arruolarsi, fu arrestato e privato dei titoli conquistati sul ring. Ali non andò mai in prigione, ma non poté combattere per più di tre anni. Pensiamoci un momento: aveva 25 anni, si trovava al culmine della sua forma fisica e da tre anni era campione imbattuto dei pesi massimi. Probabilmente non avrebbe corso alcun pericolo in Vietnam e non era una questione di vigliaccheria. Quasi dieci anni prima, Elvis Presley era stato arruolato nell’esercito statunitense. Elvis aveva rifiutato qualsiasi tipo di privilegio legato a incarichi speciali, ma non dovette mai andare in prima linea perché in quel momento non c’era alcuna guerra. Fu invece assegnato a una base militare americana nella Germania ovest. Il Campione molto probabilmente non sarebbe finito in prima linea. Avrebbe potuto essere una celebrità esibendosi per tenere alto il morale delle truppe. Ma per lui, come musulmano, musulmano nero, la guerra del Vietnam era sbagliata. Nel 1967 Ali non era ancora così popolare come lo è oggi, e pagò un prezzo molto alto, impossibilitato come fu a guadagnarsi da vivere con l’attività per cui era più portato, e al culmine della carriera.

Il caso di Ali arrivò alla Corte suprema degli Stati Uniti, che il 28 giugno 1971 si pronunciò all’unanimità per la revoca della condanna. Lo fece appellandosi a un dettaglio tecnico, dal momento che la Corte d’appello non aveva mai spiegato la ragione per cui ad Ali fosse stato negato lo status di obiettore di coscienza. In ogni caso, il pugile era libero e poteva riprendere il suo lavoro.

Il seguito della sua storia sul ring è ben nota agli appassionati di sport, con Ali primo pugile a diventare tre volte campione del mondo dei pesi massimi. Nel 1975 seguì Warith Deen Mohammed (il figlio di Elijah Muhammad, NdR), che portò la Nation of Islam di suo padre nell’ortodossia sunnita. Ali iniziò a fare proselitismo a favore dell’Islam e a distribuire opuscoli autografati, sapendo che chi li riceveva li avrebbe conservati. E quando la gente iniziò a sapere che cosa aveva fatto negli anni ‘60, Ali divenne un eroe, non soltanto per la sua bravura atletica ma anche per il suo impegno per i diritti civili. Chi può dimenticare la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Atlanta nel 1996? Janet Evans, una delle nuotatrici americane che ha ottenuto più medaglie ai Giochi, era l’ultimo tedoforo, e tutti pensavamo che sarebbe stata lei ad accendere la fiamma olimpica. Ma l’atleta passò la fiaccola ad Ali, che la tenne alta nella mano destra, la mano sinistra tremante per il morbo di Parkinson. Nel silenzio della folla, avrebbe acceso lui la fiamma, come fece anche alle Olimpiadi invernali di Salt Lake City nel 2002.

 

Un rito funebre straordinario

I funerali di Ali sono stati uno spettacolo di traboccante amore nei suoi confronti. Un eroe americano amato, un musulmano americano amato, stava ritornando a casa. I funerali pubblici si sono svolti nella prima settimana di Ramadan, il 10 giugno 2016, nella sua città natale di Louisville, in Kentucky. Per volere dello stesso Ali, è stato un evento interreligioso cui sono intervenuti leader religiosi, membri della sua famiglia, celebrità e politici, e si è concluso con un elogio funebre dell’ex presidente Bill Clinton. A organizzare la cerimonia funebre è stato l’amico Timothy Gianotti, che è stato l’assistente spirituale di Muhammad Ali e della sua famiglia e che ho conosciuto dopo essermi laureato come lui all’Università di Toronto. Il funerale è iniziato con una processione nelle strade della città natale di Ali, e si è concluso con la sepoltura musulmana nel cimitero di Cave Hill.

Il giorno prima Ali aveva avuto anche un rito funebre musulmano tradizionale, o janāza. Alla sua morte il corpo è stato lavato e avvolto in un sudario e si è pregato per lui secondo l’uso islamico. I musulmani d’America e del mondo sono stati invitati a recitare le preghiere funebri per il nostro fratello musulmano defunto. È stato un rito straordinario. Il luogo in cui si è tenuto, il Kentucky Exposition Center di Louisville, è vicino alla Freedom Hall, dove il 29 ottobre 1960 Ali aveva sfidato Tunney Hunsaker nel suo primo incontro da professionista. Ho seguito il funerale da Los Angeles sul canale YouTube di Fox 10 News, l’emittente di proprietà della Fox che trasmette da Phoenix, in Arizona. Che ironia della sorte: un’emittente televisiva, Fox, non certo rinomata per una copertura benevola verso i musulmani, che trasmetteva in diretta l’intero rito funebre islamico per Muhammad Ali. Tornando a casa in automobile ho sentito alla radio CBS  una parte della salmodia del Corano durante il funerale: era la prima volta che sentivo un notiziario riportare la notizia di un funerale musulmano.

La janāza è stata guidata dall’imam Zaid Shakir, celebre imam americano della California e co-fondatore del Zaytuna College, il primo college musulmano di arti liberali accreditato negli Stati Uniti. Tra i portatori della bara figuravano lo shaykh Hamza Yusuf (un altro co-fondatore del Zaytuna College) e la star internazionale Yusuf Islam (Cat Stevens). L’imam Zaid ha spiegato alla folla che cosa sarebbe successo visto che la preghiera funebre è unica e non prevede alcun inchino né prostrazione, ma soltanto quattro cicli di preghiera durante i quali la congregazione rimane in piedi. Alla preghiera funebre è seguita una salmodia del Corano, le cui parole sono poi state tradotte dallo shaykh Hamza. Quindi tre persone sono state invitate a tenere un breve discorso alla folla. Sono intervenuti Sherman Jackson, professore alla University of Southern California e uno dei più importanti studiosi musulmani negli Stati Uniti, Dalia Mogahed, ex direttrice del Gallup Center for Muslim Studies, e Khadijah Sharif-Drinkard, avvocato che sovrintende agli affari legali ed economici della Black Entertainment Television (BET) per gli uffici di New York. Che due dei tre oratori fossero donne musulmane (e anche imprenditrici di successo) è un fatto importante che mette in evidenza i ruoli dirigenziali di molte donne musulmane americane.

Sherman Jackson è uno dei più importanti studiosi musulmani americani, mio mentore e amico da anni. Alcune righe del suo breve e brillante discorso consentono di cogliere l’intreccio, nel corpo di Muhammad Ali, dell’identità americana e musulmana:

Icona culturale, Ali ha reso cool l’essere musulmano. Ali ha dato dignità al fatto di essere musulmano. Ali ha reso importante il fatto di essere musulmano. E tutto questo l’ha fatto in modo che nessuno potesse mettere in dubbio la sua appartenenza a questo Paese. Ali ha chiuso la questione sulla possibilità che una persona sia allo stesso tempo musulmano e americano. O meglio, ha messo questa domanda K.O. Con la sua scomparsa, speriamo che essa venga sepolta con le sue preziose spoglie. Ali ha aiutato questo Paese ad avvicinarsi ai suoi ideali. Ha aiutato l’America a fare e vedere cose che da sola non era pronta a fare o vedere. E grazie agli sforzi eroici di Ali oggi l’America è un posto migliore per tutti noi. Ali non appartiene solo ai musulmani di questo Paese, Ali appartiene a tutti gli americani. Se siete americani, Ali è parte della vostra storia, parte di ciò che vi rende quello che siete, e come americano, Ali vi appartiene e anche voi dovreste essere orgogliosi di questo pezzo prezioso della vostra eredità americana.

A un funerale di più di cinquant’anni prima, il 27 febbraio 1965, Ossie Davis aveva pronunciato l’elogio funebre di Malcolm X. Le parole pronunciate in quell’occasione sono celebri: «Malcolm era il nostro essere uomini, il nostro essere uomini neri e vivi! Egli significava questo per il suo popolo. Rendendogli onore rendiamo onore al meglio di noi stessi». Ali, come ha sottolineato il professor Jackson, non era solo per il suo popolo, ma per tutto il popolo. Se Malcolm era il nostro essere uomini, allora Ali era la nostra umanità[2], con una vita vissuta per tutto il mondo. Una vita vissuta nella complessità e nella contraddizione, nel trionfo e nella tragedia. Una vita di cambiamento e metamorfosi. Una vita americana emblematica vissuta da un musulmano americano emblematico.

 

Islam in Occidente

Si sente spesso parlare di “Islam e Occidente” o “Islam e America”, ciò che offre un’immagine di due realtà che si escludono a vicenda. Se cambiamo una sola parola otteniamo invece “Islam in Occidente” o “Islam in America”. Questo semplice cambiamento fa la differenza. Invece di contrapporre due fazioni in guerra fra loro, “Islam” e “America”, vediamo la loro interconnessione. L’Islam è certamente una religione “occidentale” che condivide con l’Ebraismo e il Cristianesimo radici profonde. Dal punto di vista religioso i musulmani sono molto più vicini agli ebrei e ai cristiani di quanto lo siano a religioni “orientali” come l’Induismo o il Buddismo. I musulmani sono anche una presenza forte in “Occidente”. L’Islam è la seconda religione più diffusa in Canada, Gran Bretagna e Francia e forse anche negli Stati Uniti. L’espressione “Islam in Occidente” riconosce l’eredità intrecciata dell’Islam e dell’Occidente. L’Occidente non sarebbe ciò che è senza il contributo dei musulmani. Basta pensare rapidamente al nostro sistema di numeri, per esempio, e domandarsi se sia più facile fare le moltiplicazioni e le divisioni con i numeri arabi o con i numeri romani. Il sistema numerico ha certamente origini indiane ma sono stati gli arabi a dargli il nome. Eppure spesso non vediamo i legami che ci uniscono, e la gente qui in America ha spesso paura dei musulmani o li odia.

I musulmani americani hanno servito nell’esercito statunitense fin dalla rivoluzione americana. Nella guerra civile americana hanno combattuto circa 300 soldati musulmani; non è un gran numero, ma smentisce l’idea consolidata secondo la quale i musulmani sarebbero nuovi arrivati negli Stati Uniti. Alla fine del 2015, secondo alcuni dati del Dipartimento della Difesa riportati dall’ABC News, nelle forze armate prestavano servizio 5.896 musulmani, un numero che potrebbe essere più alto visto che all’incirca 400mila persone non hanno dichiarato la propria fede. In definitiva, quasi 6.000 musulmani americani prestano servizio nelle forze armate contribuendo a difendere il Paese.

In America continuiamo a pensare alla violenza come connessa unicamente ai musulmani e non sembriamo accorgerci della violenza che ci circonda. Charles Kurzman è un sociologo dell’università del Nord Carolina e studia il terrorismo musulmano cresciuto in casa. I numeri, purtroppo, sono maggiori di quello zero a cui dovrebbero fermarsi. Sono però molto più bassi di quanto si creda. Nel 2015, per esempio, in sparatorie di massa perpetrate da musulmani d’America hanno perso la vita 19 persone: 14 nella sparatoria di San Bernardino (non darò gloria agli assassini nominandoli), e cinque per mano di un attentatore a Chattanooga. Le vittime sono meno numerose del numero di veterani americani che ogni giorno si suicidano (circa 22), ed equivalgono all’incirca al numero di americani che sono uccisi ogni otto ore. Purtroppo però questi dati nel 2016 sono cambiati.

 

La strage in discoteca

Il 12 giugno 2016, meno di due giorni dopo il funerale di Muhammad Ali, un musulmano americano ha ucciso 49 persone e ne ha ferite altre 50 nella peggiore sparatoria di massa degli Stati Uniti. L’assalitore era noto alle forze dell’ordine ed era stato interrogato più volte sui suoi legami con il terrorismo. La sua ex-moglie ha dichiarato al Washington Post che il marito «non era una persona stabile» e l’aveva picchiata. Un ex-collega di lavoro lo ha descritto al Los Angeles Times come «arrabbiato con il mondo» oltre che «pazzo e instabile». Tuttavia, la settimana prima della sparatoria ha potuto acquistare armi legalmente.

Seppure in un modo orribile, anche l’attentatore rappresentava l’America, mettendo in luce le peggiori caratteristiche della nostra società. Era omofobo e ha scelto di attaccare un nightclub LGBTQ durante il mese del Gay Pride. Purtroppo i LGBTQ americani sono le persone più esposte agli attacchi violenti connessi con i crimini d’odio. Secondo alcuni rapporti l’assalitore aveva frequentato il nightclub e anche navigato siti di incontri omosessuali e anche la sua ex-moglie e un suo compagno di classe ritengono che potesse essere omosessuale. La sua omofobia perciò potrebbe essere scaturita dalla sua identità sessuale, che potrebbe aver voluto sopprimere. L’attentatore inoltre ha attaccato il nightclub nella notte “latina”, perciò la maggior parte dei morti o dei feriti erano LGBTQ di origine sudamericana. Una duplice tragedia quindi, visto che le vittime erano emarginate sia per la loro appartenenza etnica sia per la loro sessualità. 

Come osservato in precedenza, l’assalitore ha compiuto il massacro con armi acquistate legalmente. In America, le morti da arma da fuoco sono una disgrazia e una vergogna nazionale. Nel dibattito successivo alla strage, pochissime persone hanno detto che il killer aveva utilizzato armi intenzionalmente acquistate per uccidere. Per definizione, le armi d’assalto sono progettate per uccidere un gran numero di persone. Una carabina può essere usata per cacciare, un fucile o una pistola per difesa personale, ma l’unica ragione per possedere un fucile d’assalto è uccidere molte persone. Eppure negli Stati Uniti è facile procurarsi un fucile d’assalto, anche per una persona che dal 2013 era controllata dall’FBI. 

Nel corso di una chiamata al 911 (il numero di emergenza in America, NdR) durante la sparatoria, l’attentatore ha dichiarato fedeltà allo Stato Islamico. Prima aveva pubblicato su Facebook dichiarazioni islamiche estremiste. Evidentemente, la sua interpretazione dell’Islam è un elemento importante, e questa parte del suo retroterra richiede d’essere indagata. Ma anche persone appartenenti ad altre religioni hanno commesso sparatorie di massa e l’omofobia, purtroppo, non è un’esclusiva dell’Islam. Matthew Shepard[3], per citare solo un tragico esempio, non è stato torturato e ucciso da al-Qaida.  

I gruppi musulmani americani si sono affrettati a condannare le sparatorie (come sempre fanno), e a ricordare alla gente che la loro solidarietà va alle vittime e non all’attentatore. Le sparatorie inoltre hanno spinto molti musulmani a riflettere sull’omofobia nelle loro comunità e forse a ripensare le loro convinzioni sull’omosessualità. C’è molto lavoro da fare, sia nelle comunità musulmane sia in quelle non-musulmane, per stabilire il collegamento tra misoginia, omofobia e altri crimini d’odio.

Per quanto tra i musulmani americani vi siano gradi e tipi di osservanza molto diversi, non riesco a capire come nel mese di Ramadan un musulmano possa commettere un omicidio di massa contro civili innocenti. Quello che vedo è un giovane arrabbiato che si procura un’arma e uccide persone la cui unica colpa è stata quella di fornirgli bersagli utili per la sua rabbia. L’assalitore aveva tendenze anti-sociali simili a quelle di chi compie attacchi da “lupo solitario”. Aderire a una “causa” come Isis potrebbe avergli fornito una sorta di contatto, per quanto contorto, con gli altri, facendolo sentire meno solitario.

Per quanto questa sparatoria sia stata raccapricciante, la più grave della storia americana, non si tratta di un fatto isolato. Dopo questa tragedia il presidente Barack Obama ha dovuto fare il sedicesimo discorso pubblico sulle sparatorie di massa della sua presidenza. Lo ha fatto dalla sala James Brady, così chiamata in onore dell’addetto stampa della Casa Bianca ferito da colpi di arma da fuoco nel 1981 durante il tentato omicidio dell’allora presidente Ronald Reagan.  

Proprio come Muhammad Ali rappresenta i migliori ideali del nostro Paese, l’attentatore di Orlando rappresenta i peggiori. I musulmani americani devono vivere l’eredità di Muhammad Ali. Dobbiamo continuare a lottare, come ha fatto lui, per la giustizia. «Il servizio al prossimo è l’affitto che pagate per la vostra stanza qui sulla terra», avrebbe spesso ripetuto Ali. Non dobbiamo soltanto ricordare quel detto, dobbiamo agire in base a esso. In questo modo potremo vivere il meglio dei nostri ideali, sia come americani sia come musulmani.

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

Note

[1] Questo articolo sintetizza alcuni contenuti del mio ultimo libro: Muslims and the Making of America, Baylor University Press, Waco (TX) 2016.

[2] L’originale inglese gioca qui sulla differenza tra le parole manhood “essere un maschio adulto” e humanity “il carattere essenziale e distintivo della persona umana” (NdT).

[3] Si tratta di un studente morto nel 2008 dopo essere stato derubato e picchiato selvaggiamente da due individui. Durante il processo i colpevoli confessarono di aver agito mossi dall’odio per le tendenze omosessuali del ragazzo (NdT).

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Amir Hussain, Come l’Islam è diventato “americano”, «Oasis», anno XII, n. 24, novembre 2016, pp. 63-72.

 

Riferimento al formato digitale:

Amir Hussain, Come l’Islam è diventato “americano”, «Oasis» [online], pubblicato il 22 novembre 2016, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/come-lislam-e-diventato-americano.

Tags