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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:09:54

Questo numero di Oasis è dedicato ai cristiani d’Oriente, a quello che essi hanno significato e significano per la Chiesa e per il mondo. Per la Chiesa, perché, come ricorda il Cardinal Scola nel suo articolo introduttivo, la testimonianza che rendono oggi, non di rado fino al martirio, rappresenta una provocazione per tutti i credenti. E per il mondo, perché, come documenta l’articolo di Samir Khalil Samir, questi cristiani, nella diversità delle loro appartenenze ecclesiali, hanno svolto un insostituibile ruolo di mediazione culturale. Iniziato già prima dell’Islam (il nome stesso di Corano deriva etimologicamente dal siriaco Qeryân, “lezionario”), esso tocca il culmine nel movimento delle traduzioni dal greco all’arabo che tra VIII e X secolo mise gradualmente a disposizione delle classi colte buona parte della produzione filosofica e scientifica ellenistica, perlopiù attraverso la mediazione del siriaco. E per la terza volta queste stesse comunità cristiane entrano in scena, dopo secoli di decadenza e persecuzione, agli inizi del Seicento, quando attraverso il rinsaldarsi dei legami con l’Europa preparano l’avvento nel Vicino Oriente della modernità, sul piano delle idee e anche su quello strettamente linguistico. Il mondo arabo non sarebbe quello che è senza l’apporto dei cristiani orientali (e delle altre “minoranze creative” di questa regione, a cominciare dagli ebrei). Il loro dinamismo culturale ha dato anche vita ad audaci tentativi di esprimere la fede attraverso le categorie culturali e religiose islamiche, come documenta il dialogo franco e appassionato tra il visir al-Maghribî e il vescovo Elia che presentiamo nella sezione dei classici.

E tuttavia la stessa esistenza di queste comunità appare oggi minacciata, internamente ed esternamente. Internamente dalle numerose divisioni che nel corso dei secoli hanno frammentato la cristianità orientale, e di cui l’articolo di Pier Giorgio Gianazza offre un’utile sintesi. Questa disunione – scrive senza mezzi termini il Patriarca caldeo Louis Sako – «è peccato e significa una lenta morte». Alle forze centrifughe si è comunque sempre opposta una tensione all’unità: esemplificativa di questa dialettica è ad esempio la vicenda della Chiesa d’Oriente, di Mesopotamia e Persia, di cui proprio l’articolo del Patriarca Sako ricostruisce la tormentata storia. Un nuovo impulso in questa direzione può venire oggi, oltre che da alcune significative realizzazioni del dialogo teologico, dall’ecumenismo del sangue, attraverso la valorizzazione della comune testimonianza offerta dai martiri delle diverse Chiese e comunità cristiane.

La minaccia esterna è invece rappresentata da un fondamentalismo incapace di tollerare la pluralità, di cui le bandiere nere dell’ISIS sono solo la manifestazione più eclatante. Se in passato ha funto da antidoto la tolleranza di numerosi governanti illuminati che hanno promosso, pur a fasi alterne, un clima di apertura, oggi la soluzione ha un solo nome: cittadinanza e Stato di diritto. Questi due termini ritornano infatti, come un ritornello, in quasi tutti i contributi, anche e significativamente di autori musulmani, come l’unica condizione in grado di assicurare un futuro stabile alle comunità minoritarie in Medio Oriente. Occorre passare – scrive Hamit Bozarslan – da una concezione del potere come mulk, possesso personale di un singolo o di un gruppo, a una cittadinanza che sia davvero inclusiva. E che si lasci definitivamente alle spalle l’ambiguo concetto di dhimma, di cui Muhammad Sammak denuncia con chiarezza i limiti e le distorsioni (laddove numerosi pensatori islamisti, anche cosiddetti moderati, insistono nel vantarne le presunte virtù). Solo così – spiega Léna Gannagé – i cristiani orientali potranno uscire dalla falsa alternativa tra appartenenza religiosa e nazionale, due identità che non si oppongono, ma si completano vicendevolmente.

La proposta non è nuova – sulla cittadinanza (in arabo muwâtana) insistono ad esempio le lettere dei Patriarchi cattolici d’Oriente[1], il Sinodo straordinario per il Medio Oriente del 2010 e l’esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente. Ma non per questo si può dire che sia stata recepita.

Al contrario, come denuncia il Patriarca maronita Béchara Raï, nella regione è in atto una settarizzazione lungo la linea di demarcazione che oppone sunniti e sciiti, alimentata dalla natura confessionale delle due maggiori potenze regionali, Arabia Saudita e Iran. È in questo clima avvelenato che è nata e si è sviluppata l’ideologia esclusivista dell’ISIS, che – ricorda Michele Brignone – si ammanta dei tratti di una teocrazia medievale, ma si avvicina in realtà ai totalitarismi novecenteschi, in particolare nella sua esasperata ricerca della rottura dell’ordine esistente.

Mentre un Egitto traumatizzato cerca ancora la sua strada (e i copti – spiega Christian Cannuyer – sostano incerti al bivio tra protezione e partecipazione), una fragile alternativa viene ancora dal Libano e dalla sua formula. Criticabile e perfettibile, abusata e distorta fin che si vuole, ma irrinunciabile nella sua intuizione iniziale, quel convenire insieme di cristiani e musulmani su un piano di parità. E se oggi, per responsabilità anche degli stessi cristiani, questa formula politica appare bloccata e incapace di rinnovarsi, soprattutto a fronte del numero insostenibile di profughi siriani che ha raggiunto il Paese, a livello culturale Beirut ha ancora qualcosa da dire al resto del mondo arabo. Basta leggere la dichiarazione sulla libertà religiosa del giugno scorso per rendersene conto.

Se non si invertirà subito la tendenza alla settarizzazione, è facile prevedere una crescita esponenziale dell’emigrazione. Di cristiani, che andranno a ingrossare le file della diaspora, come racconta Maria Laura Conte nel suo reportage da Södertäljie, cittadina nei pressi di Stoccolma dove i profughi assiri e siriaci hanno ricreato una “Mesopotamia in miniatura”, immettendo nuova linfa nella presenza ecclesiale in Svezia. Ma anche e soprattutto di musulmani, perché un Medio Oriente fanatizzato è un posto in cui, semplicemente, è impossibile vivere.

Stato di diritto o conflitto settario; pluralismo o omologazione forzata. Succede a volte che tutte le ragioni indichino una strada, ma che la storia sembri imboccare la direzione opposta. Il filosofo medievale Avempace risponderebbe che l’unica soluzione è in questi casi la fuga dalla città, per adottare il regime del solitario. Non lo vogliamo credere e continueremo a lottare per scongiurare questo esito. Per ragioni ideali e anche per considerazioni politiche. Perché qualche milione di profughi dal Medio Oriente possiamo anche pensare di accoglierlo, in Occidente. Ma come tratteremo con il mondo arabo, una volta che dalle sue terre sarà stata estirpata ogni traccia di una millenaria pluralità?

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

 

[1] In particolare la terza: al-‘Aysh al-mushtarak bayn al-muslimîn wa al-masîhiyyîn fî al-‘âlam al-‘arabî (1994).

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Martino Diez, Il genocidio dimenticato dei cristiani siriaci, «Oasis», anno XI, n. 22, novembre 2015, pp. 7-9.

 

Riferimento al formato digitale:

Martino Diez, Il genocidio dimenticato dei cristiani siriaci, «Oasis» [online], pubblicato il 5 novembre 2015, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/cristiani-orientali-testimoni-di-fede-creatori-di-cultura.

 

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