Le violenze in Medio Oriente spingono migliaia di persone alla fuga. La maggior parte degli sfollati è accolta da nazioni in via di sviluppo: soltanto il 10 per cento attraversa il Mediterraneo

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:10:05

"Il numero di siriani che chiederà protezione ai Paesi europei aumenterà". La previsione è stata fatta da Laurens Jolles, delegato per il Sud Europa dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Jolles ha parlato al convegno "Le migrazioni forzate nel Mediterraneo e nel resto del mondo: la terra, fattore di espulsione", organizzato da Caritas a Expo 2015, il 24 settembre. Se finora "i siriani fuggivano in Turchia, Giordania e Libano, Paesi vicini da cui speravano di rientrare" in patria, ha spiegato, il persistere del conflitto armato e il peggioramento della situazione umanitaria hanno spostato il flusso migratorio verso l'Europa, dando vita a un'emergenza che resta comunque, nei numeri, limitata rispetto a quella delle regioni mediorientali al confine con Siria e Iraq. Il Rapporto sulla protezione internazionale in Italia, redatto da Anci, Cittalia, Caritas Italiana, Fondazione Migrantes e Sprar (il Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati) in collaborazione con le Nazioni Unite e presentato al convegno, fa chiarezza sull’enorme quantità di dati e numeri sui flussi migratori che interessano Europa e Italia. Non sono i Paesi più ricchi a sostenere il peso maggiore dell'accoglienza: per quanto riguarda la crisi siriana, l'85 per cento dei 19,5 milioni di persone che hanno abbandonato le proprie case è accolto da nazioni in via di sviluppo come Turchia, Libano, Giordania. In Europa arriva meno del dieci per cento dei migranti. Il contesto libico - l'altro centrale fronte di migrazione - è invece differente, ha spiegato ancora Jolles. Qui, a partire non sono (per ora) soltanto i libici, sebbene la situazione di anarchia e violenza nel Paese sia drammatica, bensì i migranti in fuga dall’Africa subsahariana. I numeri potrebbero aumentare quando anche i libici inizieranno ad attraversare il Mediterraneo. La gestione della già complessa emergenza immigrazione è resa più complicata dalle difficoltà dei membri dell’Unione europea di trovare un accordo sulla redistribuzione dei profughi nei vari Paesi. Per Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas Italiana, la crisi va affrontata non soltanto a partire dai dati, ma anche e soprattutto dalle storie delle singole persone. Su questo tema ha insistito anche il prefetto Mario Morcone, capo dipartimento Libertà civili e Immigrazione del ministero dell’Interno. La distinzione a priori tra migranti economici e profughi costituisce, secondo Morcone, un grave passo indietro nella lotta per la difesa dei diritti. L’Europa sta mostrando un’evidente incapacità di accoglienza, ha sottolineato Mons. Gian Carlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, ricordando le tre parole su cui è stato fondato il “sogno europeo”, e che oggi sembrano dimenticate: libertà, uguaglianza e fraternità. Ciò non significa che non esistano buone pratiche ed esempi virtuosi di accoglienza: il rapporto ne presenta alcuni. La proposta lanciata dai redattori del documento, tra cui Daniela Di Capua, direttrice del servizio centrale dello Sprar, riguarda la diffusione di un sistema unitario che segua il processo di identificazione, accoglienza e ricollocazione dei profughi sul territorio dall’inizio alla fine. Questo modello di “accoglienza diffusa” è già in atto in alcune zone italiane, per esempio a Prato, come ha raccontato il presidente dell'Associazione Nazionale Comuni della Toscana, Matteo Biffoni. La prospettiva è che possa essere esportato anche in Europa. Non va dimenticato il ruolo delle realtà diocesane che collaborano con le istituzioni e rispondono all’appello di papa Francesco ad “aprire le parrocchie”. L’invito del pontefice supera ogni distinzione tra profugo e migrante economico e invita all’accoglienza indistinta di coloro che "fuggono dalla morte per la guerra e per la fame". L’azione della Chiesa, ha aggiunto Mons. Perego, è un segno di accoglienza, una provocazione culturale e pastorale. Parla di provocazione culturale anche Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria tutela e promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica, secondo il quale quella dei migranti "è la più grande questione politica delle nostre società perché definisce mentalità e senso comune di oggi e di domani". La convivenza non è un orizzonte radioso, ha concluso Manconi, è qualcosa di faticoso e doloroso, ma è l’unica alternativa alla guerra etnica.