L’università di Fes e quella di Siena collaboreranno a un corso in arabo e italiano per preparare predicatori musulmani

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 08:54:29

Importanti novità interessano in questi giorni l’Islam italiano, mentre avanza l’ipotesi d’intesa tra una confederazione di associazioni musulmane e lo Stato. Il 26 settembre, l’università di Siena e l’università Qarawiyyin di Fes, uno dei più antichi centri di insegnamento islamico del mondo, hanno firmato un accordo di cooperazione che prevede, come recita un comunicato dell’ateneo italiano, “uno scambio di docenti, ricercatori e studenti” e l’attivazione di corsi specifici “volti alla formazione di profili professionali in grado di operare in un ambiente multiculturale”. 


 
Il giornalista Carlo Panella, ideatore e coordinatore del progetto, ha spiegato a Oasis che presso la sede universitaria di Arezzo è già stato attivato un corso in Scienze dell’educazione pensato per formare operatori in ambito multiculturale ed “educatori sociali specialisti nelle metodologie anti-radicalizzazione”. La sinergia con l’università marocchina punta inoltre a dar vita a un centro-scientifico-pedagogico specializzato nella prevenzione della radicalizzazione e nella de-radicalizzazione. Anche il ministero degli Affari religiosi marocchino, cui la Qarawiyyin oggi è legata, parla infatti di un programma che preparerà “una nuova generazione di guide religiose (uomini e donne), capaci di confrontarsi con il terrorismo, il fanatismo e ogni forma di estremismo ideologico e religioso”. 


Un centro-scientifico-pedagogico specializzato nella prevenzione della radicalizzazione e nella de-radicalizzazione


L’Università Qarawiyyin contribuirà a questa offerta formativa inviando “professori che insegneranno in lingua araba le materie sciaraitiche”, cioè le scienze islamiche. L’università di Siena si occuperà invece dell’insegnamento delle discipline legate alle scienze umane e sociali. Secondo l’accordo, infatti, l’università di Siena riconosce all’università Qarawiyyin una competenza specifica in tutto ciò che riguarda le scienze islamiche. Mentre l’università marocchina riconosce a quella italiana “una competenza specifica nella formazione, la pedagogia, le discipline giuridiche, amministrative, storiche e culturali relative al contesto italiano”. 


Come ci ha riferito Abdellah Redouane, segretario generale della Moschea di Roma e referente dell’accordo interuniversitario per la parte marocchina, l’insegnamento delle scienze islamiche in arabo partirà da gennaio, nella forma di seminari opzionali. I candidati a intraprendere questo percorso non mancherebbero: alcune decine di persone, uomini e donne, di età compresa tra i 18 e i 40 anni, musulmani ma non solo, che in questi giorni stanno affrontando i colloqui per l’iscrizione al corso. Non si esclude inoltre che in futuro siano attivati insegnamenti anche in inglese, per far diventare il polo di Arezzo un centro di riferimento europeo



L’università italiana non può rilasciare diplomi di teologia, né formare responsabili religiosi o ministri di culto. Chi studierà ad Arezzo conseguirà dunque una normale laurea in Scienze dell’educazione ma, è ancora Redouane a spiegarcelo, avrà la possibilità di farsi riconoscere dalla Qarawiyyin un diploma in Scienze islamiche e potrà spendere le conoscenze acquisite come leader associativomediatore culturale, ma anche predicatore o imam di moschee“cappellano” negli ospedali o nelle carceri.


Questo programma apre una nuova fase nella formazione dei responsabili musulmani in Italia. Fino a pochi anni fa, essa era lasciata all’iniziativa delle comunità islamiche, peraltro consapevoli del problema delle guide religiose autodidatte. In uno studio sull’Islam in Italia, pubblicato nel 2014, il sociologo Bartolomeo Conti scriveva che, tra tutte le moschee e i centri islamici visitati tra Lazio, Toscana, Umbria e Emilia-Romagna per la sua ricerca, solo due potevano vantare un imam con una formazione istituzionale. 



La situazione ha iniziato a cambiare nel 2010 quando il FIDR (Forum Internazionale Democrazia e Religioni, un centro di ricerca interuniversitario) ha lanciato il progetto “Nuove presenze religiose in Italia”, un percorso di formazione principalmente rivolto ai rappresentanti dell’associazionismo musulmano. Da questa esperienza, nel 2014 è nato a Padova un master in Studi sull’Islam d’Europa, al quale aderiscono le principali associazioni islamiche italiane, che ha lo scopo, come dichiarato da uno dei responsabili del master, di offrire una “formazione su tutto quello che riguarda la nostra sfera pubblica, dalla laicità dello Stato a cose estremamente pratiche, ad esempio come formulare lo statuto di una associazione”. Un corso simile è stato inaugurato quest’anno a Ravenna, organizzato anche in questo caso da un consorzio di università e finanziato dal ministero dell’Interno. Più che una vera e propria formazione per predicatori o imam, questi percorsi offrono un’educazione complementare, con un forte accento sulla dimensione civica dei responsabili delle comunità islamiche, lasciando a queste ultime la formazione teologica dei loro membri. Tra l’altro un documento del 2016 del Consiglio per i rapporti con l’Islam italiano parla proprio della necessità di offrire una formazione “contestualizzata” per leader religiosi, che siano “cittadini attivi” capaci di “favorire l’educazione alla cittadinanza”.

Con questa formula si segue una via diversa da quella percorsa in altri contesti universitari europei


L’accordo tra l’università islamica di Fes e l’università di Siena non supera il dualismo tra discipline religiose e “scienze profane”, un tema sui cui peraltro nell’ultimo anno si è dibattuto anche in Marocco, ma lo colloca all’interno di un unico curriculum universitario di studi. Per la prima volta infatti, l’Islam, ma più in generale una religione, entra nell’università non attraverso la lente delle scienze umane e sociali, ma come insegnamento “confessionale”, impartito in arabo da professori appartenenti a un centro educativo straniero. Con questa formula si segue una via diversa da quella percorsa in altri contesti universitari europei, nei quali si cerca di fare spazio a un nuovo discorso islamico, più riflessivo e meno dipendente dai contesti d’origine, anche attraverso metodi ermeneutici moderni. Essa affida invece ai musulmani il compito pratico di integrare, in forza del percorso formativo misto, un discorso religioso tradizionale come quello prodotto dall’Islam ufficiale marocchino e le problematiche del contesto europeo. Resta da capire come potranno accedere alle scienze islamiche gli studenti non-arabofoni. 



La formazione dei musulmani e in particolare dei responsabili delle comunità islamiche (imam, predicatori, leader associativi) al di fuori dei Paesi di tradizione islamica è una questione complessa i cui indirizzi dipendono da due domande fondamentali: 1) chi, tra i vari soggetti e le varie tendenze dell’Islam presenti in Europa, può e deve insegnare l’Islam? 2) Con quali contenuti e quali metodi deve essere fatto questo insegnamento? La cooperazione con Stati e istituzioni estere è una delle possibili risposte. 


Come ha mostrato una ricerca svolta nell’ambito di un dottorato alla Scuola di Studi politici di Parigi, da anni il Marocco attua una politica religiosa che punta a mantenere il legame degli immigrati marocchini con il Paese d’origine, offrendo ai Paesi europei in cui si estende la sua influenza un’interpretazione tollerante dell’Islam. Questa politica ha trovato espressione in diverse forme. Nel 2006, in Francia è nata l’Associazione dei musulmani di Francia, un organismo che tra le sue varie attività coordina le missioni degli imam inviati dal Marocco nel quadro di un accordo con la Francia. Nel 2008 è stato istituito a Bruxelles il Consiglio europeo degli ulema marocchini, un ente a cui è affidato il compito di “stabilire in Europa un quadro di riferimento religioso marocchino per la comunità di musulmani marocchini” e che si presenta come “faro di un Islam moderato in una società plurale”. Nel 2014 è stato varato in Catalogna il “Piano Marocco 2014-2017”, un progetto che attribuisce al Regno di Muhammad VI prerogative molto ampie nella cura e nell’istruzione religiosa dei musulmani catalani. Anche l’Italia ha già solidi rapporti con il Marocco, in particolare attraverso la Moschea di Roma, e la Confederazione islamica italiana, ma l’accordo tra la Qarawiyyin e l’università di Siena rappresenta una novità a livello europeo


Occorrerà peraltro valutare l’impatto che questa iniziativa avrà sulle varie anime dell’Islam italiano. Il polo di Arezzo, se effettivamente si svilupperà, è verosimilmente destinato a diventare un punto di riferimento per i centri islamici e le associazioni legati all’Islam istituzionale marocchino. Altre comunità, che non si riconoscono nel “magistero” di Rabat, e che anzi desiderano smarcarsi dal suo controllo, continueranno probabilmente a guardare in altre direzioni.



L’accordo con l’università Qarawiyyin non risolve in toto la questione della formazione dei musulmani italiani, tra i quali la pluralità degli orientamenti ha già dato vita e darà vita a percorsi formativi diversi. Esso sblocca però una situazione caratterizzata da una scarsità di programmi istituzionalmente strutturati



È un primo passo che meriterebbe ulteriori approfondimenti, in particolare riguardo alla questione dei binari formativi paralleli. L’università potrebbe infatti essere il contesto in cui trova spazio non soltanto l’accostamento di discipline diverse, in vista della formazione di determinati profili professionali, ma una vera e propria interdisciplinarietà. Questo favorirebbe lo sviluppo di un Islam europeo che non si limiti a trasporre i modelli dei Paesi d’origine, integrandoli con competenze utili a orientarsi nella vita in Occidente, e non sia considerato secondo un’ottica unicamente sicuritaria, ma elabori nuove sintesi, favorite anche dall’interazione tra saperi tradizionali e saperi moderni

 


Uno dei pionieri degli studi sull’Islam in Europa, il sociologo Felice Dassetto, ha scritto che le nostre società hanno bisogno di “nuove configurazioni e la sfida è trovare le modalità e i metodi per costruirle assieme alle popolazioni musulmane religiosamente impegnate”. L’educazione sarà uno dei fattori decisivi di questo processo, e l’iniziativa che sta vedendo la luce ad Arezzo potrebbe essere una buona occasione per riflettere sulle strade da percorrere.

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