Aleppo è forse l’esempio più grande nel teatro di una guerra che ha devastato la Siria di Bashar Al Assad. Le famiglie, in maggioranza poverissime, non ce la fanno ad abbandonare le case poiché non hanno altro luogo in cui rifugiarsi. Se ne stanno rintanate nelle loro abitazioni a distanza di soli cento metri dalle milizie armate

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:09:56

Abbiamo visto tutti le foto dei siriani che cercano di arrivare in Europa. I disperati che cercano lambire le nostre coste sono in realtà i più ricchi. I più poveri, invece, muoiono per strada, rimangono intrappolati sui confini o nelle città siriane teatro di violenze indicibili. Senz’acqua, elettricità, lavoro, medicine. Le folle di turisti che erano la linfa di un’industria moderna e fiorente che aveva creato milioni di posti di lavoro nei trasporti, nel settore dei servizi e degli alloggi, non ci sono più. L’embargo internazionale sta impedendo qualunque possibilità di esportare, mentre i prezzi si sono impennati. Il frate che non se ne va Nella città simbolo di una Siria martoriata da una guerra assurda e sanguinaria, che da cinque anni sta affamando un popolo sempre più sofferente, vive un santo. Si chiama fra Ibrahim Sabbagh. È parroco ad Aleppo da ottobre del 2014. Nato a Damasco, dopo gli studi a Roma è tornato in Siria, per “stare con la sua gente”. Internet e le linee telefoniche vanno e vengono nella città più devastata dal conflitto in corso. Acqua ed elettricità sono un lusso. Eppure questo tenace frate francescano continua a vivere lì, aiutando chiunque, cristiani e musulmani, dentro un dramma che non risparmia nessuno. Sono state molte le chiacchierate fatte con quest'uomo caricato di una croce pesantissima. L’ultima, una recente domenica, iniziata così: “Oggi siamo scampati alla morte”. Le milizie jihadiste avevano appena bombardato la sua chiesa, distruggendo parte dell’abside. Neanche questo è bastato per farlo cedere. Tanto che dopo i bombardamenti è uscito, sorridente, e ha distribuito la comunione nel giardino davanti alla chiesa. Questo, d’altronde, era anche il motto del Campo estivo: “Gioite nel Signore sempre, vi dico, rallegratevi, rallegratevi, rallegratevi”. Sembra incredibile una storia così, dentro e attraverso le tante storie di violenza ad Aleppo. “I genitori all’inizio erano molto impauriti alla sola idea di lasciar uscire i figli da casa e non avevano quindi il coraggio di venire da noi a registrarli. Abbiamo così telefonato a tutte le famiglie per convincerli. Il giorno dell’inaugurazione è stato un grande giorno di festa, con canti e balli, cioccolatini, dolci e anche un clown per l’animazione”. I genitori pieni di stupore e commozione, ancor più dei loro bambini. “Qui da noi Internet non funziona un granché, così i bambini e i loro genitori sono sottratti alla calamità dei rapporti virtuali, dovendosi necessariamente aprire al mondo delle relazioni umane reali. Noi desideriamo che si rafforzi, nell’esperienza, la percezione del volto di Cristo presente, il volto tenero di Dio rivolto al popolo sofferente”. Ed è per questo che padre Ibrahim, da lì, non si muove: “Noi frati rimaniamo per aiutare la gente. È questo il tempo di essere presenti, in modo più deciso, facendoci prossimi e prendendoci cura dei poveri e di tutti quelli che soffrono: noi che con loro siamo poveri, con loro soffriamo e preghiamo il Padre provvidente e ricco di misericordia”. “Un riferimento per i nostri e per gli altri” Ad Aleppo la parrocchia di San Francesco, quella di padre Ibrahim, si trova nel quartiere di Azizìeh, zona ancora sotto il controllo del l’esercito regolare di Damasco. I frati - che in Siria vivono da secoli - sono presenti anche nella chiesa di Sant’Antonio di Padova, e poco lontano a el-Ram, nel convento di San Bonaventura. Nonostante la linea del fronte sia a un passo, con bombe e cecchini in ogni angolo, ospitano dalle sette di mattina alle otto di sera studenti universitari e liceali che vogliono studiare ma non hanno più un luogo dove farlo. Accolgono tutti: cristiani, musulmani, curdi. Aiutano a distribuire l’acqua e il cibo, hanno realizzato un oratorio per i bambini, cercano di aiutare la gente a pagare gli affitti e le rette scolastiche anche se ora si è aggiunta la drammatica emergenza sanitaria. Con la paura, e le diverse incognite. “Nonostante i nostri sensi ci dicano che non c’è più speranza e che Aleppo non avrà un domani, con gli occhi della fede continuiamo a vedere una salvezza per il nostro popolo. Continuiamo a sperare che, là dove gli uomini falliscono nella ricerca della pace, il Signore Risorto riuscirà. Noi saremo lì fino all’ultimo, punto di riferimento per i nostri e forse anche per gli altri. Basta guardare a come siamo diventati amici di tanti musulmani che prima - quasi - non guardavamo in faccia. E poi tutta la solidarietà internazionale, che ci permette di sopravvivere. Anche se a volte non è sufficiente, ogni giorno sperimento il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci”.