In una situazione complessa e ambigua, le mosse del governo di Erdoğan in politica estera e interna sono legate alle sorti di milioni di profughi e all’equilibrio dell’Europa

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:08:56

La Turchia è stata colpita da attacchi terroristici tre volte dall’inizio del 2016, l’ultimo pochi giorni fa. Che gli autori siano le milizie indipendentiste curde o gli estremisti dello Stato Islamico, il Paese, alla frontiera tra l’Europa e un Medio Oriente in tumulto, è da mesi dilaniato da un conflitto interno. La condizione politica, economica e sociale è condizionata dalla presenza di milioni di profughi in fuga da Siria e Iraq verso le coste europee. La gestione dei flussi migratori da parte di Ankara inasprisce i rapporti con Bruxelles e con la comunità internazionale. Oasis ha raccolto le analisi di diversi esperti e osservatori circa le sfide che il Paese si trova ad affrontare in questo delicato contesto. La crisi migratoria “Il tema delle migrazioni è diventato trasversale a tutte le altre conversazioni in ambito nazionale, europeo e internazionale”. Lo ha spiegato Gianpaolo Scarante, già ambasciatore italiano in Turchia, durante un seminario all’Università Cattolica di Milano. “La crisi migratoria è cominciata in sordina, con lo scoppio della guerra in Siria”, e ha presto coinvolto la Turchia, dove il governo degli islamisti dell’Akp del presidente Recep Tayyip Erdoğan si è schierato da subito contro il regime di Bashar al-Assad, accogliendo i profughi in fuga dal conflitto. Kerim Balcı, giornalista del quotidiano d’opposizione Zaman – rilevato dal governo con un’azione violenta ai primi di marzo – è molto critico sulle decisioni inizialmente prese dal leader turco nei confronti dei profughi. Innanzitutto, ci dice Balcı, “dopo cinque anni di conflitto, la stampa pro-governativa si riferisce ancora ai siriani chiamandoli ‘ospiti’ e non ‘rifugiati’”. “Inoltre, il governo turco ha criticato la comunità internazionale per non essere intervenuta prima in suo aiuto, senza però fare presente che la Turchia ha una riserva sulla Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951”. Secondo questa riserva, il Paese assicura lo status di rifugiati soltanto a migranti in fuga da eventi in corso in Europa. “Per questo motivo, la Turchia non poteva ricevere aiuti internazionali diretti ai ‘rifugiati’ da parte della comunità internazionale”. Questa situazione si è sbloccata soltanto nel 2014 “con l’introduzione di una legge temporanea che assicura ai siriani tale status”. Nel primo periodo della guerra in Siria, Ankara ha dato per scontato che il conflitto non sarebbe durato più di qualche settimana e che, dopo un periodo da “ospiti”, i siriani avrebbero potuto far ritorno alle proprie case, portando con sé una rinnovata stima e riconoscenza per Erdoğan. “Questo”, ha ribadito l’ambasciatore Scarante, “è stato il più clamoroso errore politico nella storia turca degli ultimi tempi”. Sono cinque anni, infatti, che “il flusso di profughi è in crescita continua e raggiunge cifre impensabili, generando condizioni ingovernabili. Da un anno a questa parte, i siriani già approdati in Turchia hanno iniziato a pensare di stabilirsi nel Paese, mentre i ‘nuovi’ la considerano un luogo di transito”. Il governo turco ha quindi incominciato a “tollerare, se non a favorire, l’esodo attraverso i suoi confini, utilizzandolo come un potente strumento di pressione politica nei confronti dell’Unione Europea”. A suo favore gioca l’incapacità dell’Unione europea di comprendere e gestire il fenomeno in maniera efficace. Come ha sottolineato il presidente dell’ISMU Vincenzo Cesareo, “alla fortezza europea manca una politica migratoria, manca una leadership sul tema perché al suo interno è frammentata”. Il compromesso raggiunto con il vecchio continente ha permesso alla Turchia di riaprire il processo di adesione all’Unione e di avanzare nuove richieste – come i 3 miliardi di euro in aggiunta a quelli già ottenuti con l’accordo di novembre per la gestione dei migranti. A questo proposito il giornalista turco Kadri Gürsel, analista di al-Monitor, sostiene che “l’Europa sta pagando il prezzo per non aver offerto alla Turchia un processo di ammissione adeguato nel 2004”. A suo avviso, “l’influenza europea avrebbe potuto contenere la deriva autoritaria di Erdoğan, mentre ora l’Europa sta commerciando i propri valori.” La questione curda Gürsel distingue in Turchia due questioni curde: una interna e una esterna. La prima riguarda la guerra nel sud-est del Paese contro le milizie curde, che comporta sempre più frequentemente attentati terroristici anche in altre parti del paese; la seconda si combatte invece nel nord della Siria contro i curdi siriani. “La questione interna ha al centro il movimento militare del Pkk, in guerra con il regime di Ankara e considerato un’organizzazione terroristica dalla comunità internazionale”. Dal luglio 2015, i curdi sono rappresentati nel Parlamento turco dall’Hdp, il cui obiettivo principale era quello di essere riconosciuto come un partito a tutti gli effetti entrando a far parte a pieno titolo della vita politica; ora però l’Hdp è accusato dal governo di sostenere i terroristi del Pkk. La questione curda esterna, invece, continua Gürsel, “riguarda il partito curdo siriano Pyd e il suo braccio armato Ypg che, al contrario degli omologhi turchi, non hanno nessun interesse a opporsi a Erdoğan. Mentre Ankara non fa alcuna differenza tra i diversi gruppi, considerandoli tutti terroristi, la comunità internazionale sostiene i curdi siriani, prima linea nella guerra contro lo Stato Islamico”. Fra Turchia e comunità internazionale vi è quindi una grande divergenza di interessi: la priorità turca è impedire la formazione di un Kurdistan autonomo ai propri confini, quella della comunità internazionale è sconfiggere lo Stato Islamico, contro il quale i curdi sono una forza cruciale. Secondo Kerim Balcı, il governo dell’Akp e le milizie curde in Turchia “hanno perso un’occasione. Si sono trovati, per una volta, ad avere un nemico comune – lo Stato Islamico – contro cui allearsi, ma non hanno saputo farlo”. La situazione attuale, filtrata dalla censura dei media, vede una vera e propria guerriglia interna, con tanto di coprifuoco e uccisione di civili, nelle regioni al confine con la Siria, e attentati terroristici nelle città turche, tre dall’inizio dell’anno. La guerra in Siria e le relazioni con l’estero Se lo scopo di Erdoğan è impedire l’indipendenza curda, allora la tolleranza nei confronti dello Stato Islamico è facile da spiegare. Ancora Gürsel ritiene che “il regime di Ankara sia il primo responsabile dell’esportazione di Isis in Turchia, a causa della poca sicurezza lungo le frontiere. Chiudendo un occhio sugli ingressi nel Paese, ha permesso la creazione di un’autostrada del jihad, rendendo lo Stato Islamico una vera e propria minaccia interna. Il governo dovrebbe fermare i jihadisti che usano il nostro territorio come base”. Numerosi giornalisti turchi che non hanno avuto paura di condannare l’indulgenza dell’Akp nei confronti di Isis e che hanno denunciato violenze nel sud est del Paese, sono stati arrestati negli ultimi mesi. A causa della guerra in Siria, la politica estera turca ha subito un’importante deviazione. Per Balcı, “attualmente la politica estera e il coinvolgimento turco in Siria sono influenzati direttamente dall’Arabia Saudita e dai Paesi del Golfo. I recenti attriti con la Russia non hanno fatto altro che accentuare l’alleanza con il Golfo, sia politica, sia economica. Non sarebbe una sorpresa”, continua il giornalista, “se nei prossimi mesi la Turchia riaprisse i rapporti con l’Egitto, perché sarebbe in linea con la politica saudita”. Anche la decisione di intervenire militarmente sul territorio siriano, per quanto ancora in dubbio, è fortemente caldeggiata dalla leadership sunnita saudita. La Turchia è sempre più isolata. “Data la nostra posizione geopolitica, avremmo potuto agire da mediatori,” afferma Balcı con rammarico, “ma il governo ha deciso di schierarsi” e la Turchia versa ora in una situazione complessa e ambigua, in preda alla deriva autoritaria del proprio governo e con in pugno la sorte di milioni di migranti e, forse, dell’Europa. [@MiglioFranca]