Turchia al voto il 1° novembre. Per la prima volta il presidente sente la competizione dell’opposizione, ma i partiti rivali sono ancora divisi. Timori per possibili violenze

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:09:57

Domenica 1° novembre si apriranno le urne delle elezioni politiche in Turchia. Per il governo uscente dell’Akp (Partito Giustizia e Sviluppo) si tratta dell’ultima occasione per riconquistare la maggioranza assoluta in Parlamento, persa per la prima volta dal 2002 alle parlamentari di giugno. Analisti e osservatori prevedono scrutini poco trasparenti e contrasti anche violenti ai seggi e ulteriore indebolimento dell’Akp. Crescono le tensioni nella popolazione, in particolare dopo la strage dello scorso 10 ottobre ad Ankara, dove 97 persone hanno perso la vita e altrettante sono rimaste ferite mentre manifestavano contro la recente ripresa delle ostilità tra esercito nazionale e forze curde. “Le elezioni saranno un test per la maturità turca”, ci ha detto Marta Ottaviani, corrispondente de La Stampa a Istanbul, “perché la scelta dell’elettorato sarà tra il presidente Recep Tayyip Erdoğan, su cui gravano, tra le altre, le pesantissime accuse di aver contribuito al clima di tensione che ha portato alla recente strage di Ankara, e i leader degli altri schieramenti che mancano di capacità di governo”. Gli schieramenti Sulla bilancia elettorale i pesi sono decisamente diversi. Per Hamit Bozarslan, professore di origine turca al CETOBaC di Parigi, il quadro politico attuale è ambiguo e polarizzato: “Difficile prevedere un cambiamento significativo anche dopo le elezioni”. Da un lato c’è l’Akp, disposto a fare di tutto per riguadagnare il vantaggio in Parlamento e imboccare la strada del presidenzialismo, che vedrebbe Erdoğan “assumere tutto il potere trasformando la Turchia in un regime assoluto”. La questione del presidenzialismo è rimasta strategicamente in secondo piano durante la campagna elettorale. Non c’è dubbio, però, che lo scopo del presidente sia quello di cambiare la Costituzione. È molto scettico in proposito Emre Öktem, professore di Diritto internazionale, che ci spiega come in Turchia un sistema presidenziale sia irrealizzabile: “La storia insegna che tale sistema è possibile soltanto negli Stati Uniti, dove è nato. Non esistono altri sistemi presidenziali ‘riusciti’, in cui il presidenzialismo non sia diventato una commedia”. L’unica possibilità di cambiamento di prospettiva può arrivare dall’interno dell’Akp, dove però non esiste una figura abbastanza forte da contrastare l’assolutismo di Erdoğan. Dall’altro lato abbiamo un’opposizione disunita, ci racconta Ottaviani, i cui obiettivi sono discordanti e che difficilmente scalzerà il governo attuale, anche se potrebbe ostacolarlo. Infatti, nelle ultime settimane, il partito repubblicano Chp e quello curdo Hdp hanno intrattenuto colloqui nel tentativo di fare fronte comune contro Erdoğan. I numeri ci sono, dati i 130 seggi repubblicani in Parlamento e gli 80 curdi, eppure raggiungere un accordo sembra difficile. Anche Öktem sostiene che una coalizione sarà possibile soltanto se i leader dei partiti dell’opposizione si dimostreranno collaborativi, al contrario di quanto hanno fatto negli ultimi mesi. In caso contrario la situazione potrebbe perfino aggravarsi. Se poi la coalizione anti-Erdoğan dovesse realizzarsi, potrebbe comunque avere una data di scadenza. Nessuno di questi partiti è abituato infatti a governare, ancora meno insieme. Il fiasco del processo di conciliazione con la popolazione curda, introdotto dall’Akp nel 2012 ma subito dimostratosi inconcludente, ha creato inoltre un senso di isolamento nell’Hdp, oggi difficilmente sanabile. Il grande assente nello scenario politico pre-elezioni è il movimento religioso Hizmet, guidato da Fethullah Gülen, fino al 2013 importante alleato di Erdoğan, oggi suo acerrimo nemico. L’errore di Gülen, spiega ancora Bozarslan, è stato quello di voler giocare un ruolo politico sostenendo l’Akp e conquistando alcune posizioni di potere. “Una volta estromesso dalla scena politica e dal partito, però, il movimento si è ritrovato senza un proprio bacino elettorale a cui attingere al di fuori della comunità stessa”. Dove vanno i consensi degli elettori La risposta dell’elettorato resta per la prima volta dopo anni imprevedibile. L’Akp ha sempre avuto un sostegno eterogeneo, anche da parte dei curdi fino al 2007. Dal 2011, però, l’affidabilità di Erdoğan ha iniziato a vacillare, anche a causa del suo atteggiamento nei confronti dei Paesi coinvolti nella Primavera araba. Fino al giugno 2015, quando il partito ha perso definitivamente la maggioranza assoluta. Il bacino di voti dell’opposizione, così come l’opposizione stessa, è diviso. Il Chp ha una capacità politica più ampia rispetto all’Hdp, ma c’è il rischio, come avvenuto negli anni passati, che l’elettorato non si rispecchi nei programmi dei partiti e si frammenti sostenendo candidati indipendenti e disperdendo i consensi. Le tensioni interne ed esterne accrescono la paura In questo caotico scenario politico, oltre all’incombenza della vicina guerra siriana, il Paese versa in una situazione inquietante. La mancanza di fiducia nella politica è enorme. I recenti attentati terroristici, la sempre più sospetta infiltrazione dello Stato islamico nel Paese e l’azione del governo contro la libertà di stampa e di espressione aumentano i timori della popolazione turca. La polizia turca mercoledì, a quattro giorni dal voto, ha occupato in diretta televisiva i locali di due emittenti vicine all'opposizione, Bugun tv e Kanalturk, di proprietà del gruppo Koza-Ipek, mentre fuori gli agenti disperdevano con idranti e lacrimogeni i giornalisti che tentavano una difesa dell’edificio. Bozarslan ci presenta un quadro della Turchia tutt’altro che positivo. “Erdoğan”, spiega, “appartiene alla generazione giovane dell’Akp. Non centra più nulla con gli ideali originari del partito, sostenuti dall’ex presidente della Repubblica Abdullah Gül. La popolazione ha paura e la guerra civile incalza. Molti giornalisti sono stati arrestati e manifestare la propria opinione è sempre più pericoloso”. Se le infiltrazioni dello Stato islamico nel tessuto politico turco siano reali è difficile da stabilire. “Una parte dello Stato ha flirtato con ISIS”, ci dice Bozarslan, “ma in questo momento per il governo la minaccia principale alla stabilità del Paese sono i curdi, perché si tratta degli unici giocatori in grado di impedire la realizzazione dei progetti a lungo termine di Erdoğan”. Le ragioni principali sono due. Da un lato, Ankara ha paura del Kurdistan iracheno controllato dall’Hdp al confine sud orientale turco, specialmente ora che Stati Uniti e Russia ne hanno colto l’importanza nella lotta all’ISIS e lo stanno finanziando. Dall’altro lato, la minaccia dei curdi viene anche dal crescente consenso interno. “Non posso dire se ci sarà un Kurdistan nel futuro della regione”, ammette Bozarslan, “potrebbe esserci un Kurdistan iracheno. Tuttavia ne esiste già uno turco, che per il momento si trova sulla carta elettorale e intende spingere per la democratizzazione della Turchia”.

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