La tradizione islamica, nella sua lode alla conoscenza, riconosce nello studio un’alta forma di preghiera e nei luoghi della conoscenza dei luoghi di preghiera. Perciò i luoghi di ricerca e di studio diventano autentici luoghi di preghiera.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:10:38

Nel vocabolario della lingua italiana oasi è estensione di terreno fertile e abitabile in mezzo a un deserto. Luogo migliore rispetto a quelli che lo circondano. In una rivista come Oasis, le culture si incontrano, si guardano, si riconoscono e si rispettano e in questa conoscenza allargata e aperta le persone crescono reciprocamente in pace e bontà. Si! Questa rivista è un’oasi. In mezzo, ahimè, ad un deserto - ultimamente fatto di intolleranza, incomprensione se non odio - in questa rivista, che oggi compie 10 anni di lavoro, un certo numero di musulmani e cristiani nel crocevia della vita hanno trovato e trovano tuttora un luogo migliore e un terreno fertile ed abitabile. E da luoghi come questo la vita può crescere tanto fino ad arrivare a far fiorire pure il deserto. Questo è stato ed è il vero lavoro dei maestri della cultura e della conoscenza in ogni luogo della terra. In effetti l’elaborazione della conoscenza appartiene alla specie umana, non a un luogo o una nazione o un rito religioso particolare, e l’antropologia, l’archeologia, la filologia oggi ci spiegano alcune parti del variegato movimento che l’essere umano ha vissuto. La tradizione islamica, nella sua lode alla conoscenza, riconosce nello studio un’alta forma di preghiera e nei luoghi della conoscenza dei luoghi di preghiera. Perciò in quest’ottica questa Oasis diventa un luogo di preghiera. In grande sintonia, aprendo la nuova rivista, si legge questo bello e significativo brano del discorso del papa Giovanni Paolo II nel maggio 2001, nella Moschea Omayyade della nostra amata Damasco, antica e ricca culla di civiltà: «Sia i musulmani sia i cristiani hanno cari i loro luoghi di preghiera, come oasi in cui incontrano il Dio Misericordioso lungo il cammino per la vita eterna, e i loro fratelli e le loro sorelle nel vincolo della religione dove incontrano il Dio misericordioso e i loro fratelli!». San Giovanni Paolo II in queste sapienti parole riconosce i luoghi di preghiera islamica come tempio e spazio per ricordare il Signore, simili in questa funzione ai luoghi di preghiera cristiana. Già 10 anni prima di questa visita aveva scritto nell’enciclica Redemptoris missio che «il dialogo può arricchire ognuno». Così saggiamente Giovanni Paolo II entra in una Moschea, ricorda Dio con l’appellativo Misericordioso”, così caro e fondamentale per i musulmani, e insegna che il vero luogo di preghiera è laddove colui che prega incontra Dio e i fratelli, se non Dio nei fratelli. Il papa emerito Benedetto XVI, nel suo discorso alla curia romana il 21 dicembre del 2012, spiega che l’atto fondamentale dell’evangelizzazione necessita di un nutrimento e di un sostegno: l’incontro con l’altro, diversamente credente. Dice: «L’evangelizzazione e il dialogo interreligioso, lungi dall’opporsi tra l’altro, si sostengono e si alimentano reciprocamente». E papa Francesco in un atteggiamento maestoso di misericordia ed accoglienza nel suo bellissimo libro Evangelii gaudium al n. 253 ricorda agli stessi musulmani che «il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza» e ricorda a tutti che «gli scritti sacri dell’Islam conservano parte degli insegnamenti cristiani: Gesù Cristo e Maria sono oggetto di profonda venerazione ed è ammirevole vedere come giovani e anziani, donne e uomini dell’Islam sono capaci di dedicare quotidianamente tempo alla preghiera e di partecipare fedelmente ai loro riti religiosi» (Evangelii gaudium, 252). Il Cardinale Scola, insieme a un comitato di alto livello scientifico internazionale composto da cristiani e musulmani, e il comitato promotore di grande valore religioso, istituzionale e rappresentativo dell’Oriente e dell’Occidente, con questa rivista e questo lavoro di dialogo e scambio culturale e interreligioso (come già letto nelle parole degli ultimi tre papi) operano secondo la morale cristiana una forma autentica di evangelizzazione. È un lavoro che nutre la speranza e la conoscenza a favore sia dei cristiani che dei musulmani, ma anche nell’ottica islamica ha un enorme valore, perché mette in atto il criterio massimo della posizione eccezionale dell’essere umano nel creato, cioè la conoscenza. La conoscenza, quando si nutre del coraggio e della sincerità, diventa fonte di piena umanità. Anzi il Corano presenta proprio nella conoscenza il vero criterio della supremazia dell’essere umano su tutto, anche sulla sfera angelica celeste. Nella narrazione allegorica della presentazione dell’ultima creazione agli angeli e arcangeli, il Signore del creato ordina loro di inchinarsi davanti ad Adamo il califfo, cioè il successore e il luogotenente di Dio stesso. Gli angeli, che per natura non sono limitati nella dimensione del tempo, si stupiscono della scelta del Creatore, perché vedono il disordine e le ingiustizie operati dall’uomo nel futuro. Ma il Signore vede l’interiorità meravigliosa e la capacità unica dell’essere umano: quella di poter contenere in sé la massima conoscenza, la conoscenza vera e multipla! Tutti quindi obbediscono e si inchinano davanti ad Adamo, tranne Satana. Ecco la citazione:
«Egli ha creato per voi tutto ciò che è sulla terra, poi si è volto al cielo e ne ha fatto sette cieli. Egli di tutto è conoscitore. E quando il tuo Signore disse agli angeli: “Certo stabilirò un vicario sulla terra”, essi dissero: “Stabilirai uno che metterà disordine e spargerà il sangue, quando noi lodandoTi, cantiamo la Tua purezza e proclamiamo la Tua santità?”. Disse: “Certo, Io so ciò che voi non sapete”. Egli insegnò ad Adamo tutti i nomi, poi presentò le cose agli angeli e disse: “Ditemi i loro nomi, se siete veritieri”. Dissero: “Purezza a te. Noi sappiamo solo quello che Tu ci hai insegnato. In verità Tu sei il Conoscitore, il Saggio”. Disse: “Adamo, informali dei loro nomi”, e poi quando li ebbe informati dei loro nomi, Egli disse: “Non vi avevo detto che Io conosco l’invisibile dei cieli e della terra e che Io so ciò che voi manifestate e ciò che voi nascondete? E quando dicemmo agli angeli: “Prosternatevi davanti ad Adamo”, essi si prosternarono, tranne Iblis, che rifiutò, si inorgoglì e fu tra i miscredenti”» (Corano 2,29-35).
L’Islam al crocevia Crocevia nel vocabolario significa punto in cui due o più strade s’intersecano. Mi ricordo bene la bella frase di papa Francesco il 19 marzo 2014, in occasione della festa del papà e del suo amato S. Giuseppe, nel salotto interno della sua abitazione a Santa Marta, rivolta a noi 20 rappresentanti di varie religioni del mondo: «Importante è camminare! L’errore e l’orrore è fermarsi!». Camminando nella via della vita a volte arriviamo a dei crocevia, luoghi d’incontro con l’altro, che ci vede arrivare da un'altra via a volte pure opposta, ma in quel momento ci troviamo tutti nello stesso punto, si potrebbe dire nello stesso tempo o spazio o situazione o domanda o ricerca o dubbio o certezza. La vita ci ha fatto incontrare là. Oppure più semplicemente quest’incontro potrebbe essere fonte di un reciproco arricchimento grazie alle informazioni ricevute riguardo l’altra strada: del suo clima o visibilità o difficoltà oppure bellezza. Ora l’Europa cristiana per i vari motivi, sulle sue stesse strade e ai suoi crocevia, incontra i musulmani. Quest’incontro, pur sempre incontro tra l’Oriente e l’Occidente, opera diversamente dalla via della seta, dove i crocevia arricchivano di tutto, di seta, di profumi, di linguaggi e di culture. L’Islam ama far incontrare e perciò il Corano educa al viaggio. La stessa sharî‘a inserisce un lungo viaggio tra le pratiche canoniche, al-hajj, il viaggio alla Mecca, dove i fedeli girano sette volte intorno ad un cubo assolutamente vuoto chiamato bayt Allah, casa di Dio. Ciò che avviene realmente è l’incontro reciproco dei volti, gli uni e gli altri provenienti dai quattro angoli della terra. Perciò la ka‘ba, il crocevia dei pellegrini, diventa la direzione di ogni preghiera islamica. Tra gli infiniti nomi di Dio, Allahu Akbar cerca di educare all’inafferrabilità di Dio. Akbar è il superlativo di kabir, si traduce “Dio è il più grande”: di cosa? Di ogni forma, oggetto, situazione, apparizione, immagine, confine, limite ecc… e la teologia islamica lo spiega con un numero simbolico: 99. Il centesimo nome di Dio è nascosto, perciò è inafferrabile. Questa educazione religiosa vorrebbe essere uno scudo alla superbia, il nucleo originale di ogni male (Corano 7,12). Con questo nessuno potrà vantarsi di avere la supremazia, di avere Dio in tasca. Ma tutti gli esseri umani sono poveri di Dio e viaggiatori verso Dio: Innâ li-llâh wa innâ ilayhi râji‘ûn («Siamo tutti di Dio e torniamo tutti verso di Lui», Corano 2,156). Rumi, il grande teologo e pensatore musulmano persiano del tredicesimo secolo, in una forma d’ispirazione, riesce a commentare il Corano in sublime poesia nel monumentale capolavoro di Al- Mathnawi. Il suo libro viene riconosciuto con il titolo «Il Corano in versi persiani». In Europa Rumi viene tradotto e presentato dal grande orientalista R.A. Nicholson come il più grande mistico universale. Pare consona all’argomento la lettura di questo breve brano sul limite delle varie conoscenze, senza negare la validità di ciascuna:
«Alcuni indù avevano portato un elefante; lo esibirono in una casa oscura. Parecchie persone entrarono, a una a una, nel buio, per vederlo. Non potendo vederlo con gli occhi,lo tastarono con la mano. Uno gli pose la mano sulla proboscide; disse: “Questa creatura è come un tubo per l’acqua”. Un altro gli toccò l’orecchio: esso gli parve simile a un ventaglio. Avendogli preso la zampa, un altro dichiarò: “L’elefante ha la forma di un pilastro”. Del par ogni volta che qualcuno sentiva una descrizione dell’elefante, la comprendeva in base alla parte che aveva toccato. Le loro affermazioni variavano secondo quanto avevano percepito: l’uno lo chiamava dal, l’altro alef. Se ognuno di loro fosse stato munito di una candela, le loro parole non avrebbero differito. L’occhio della percezione è tanto limitato quanto la palma della mano che non poteva abbracciare la totalità» (Jalal ad Din Rumi, Mathnawi, III, 1259).
Tradizione, riforma, jihad
«Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad evitare generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza» (Evangelii gaudium, 253).
Papa Francesco in questo breve paragrafo opera non solo una profonda evangelizzazione, ma usa parole quasi ispirate indicando ai pensatori dell’Islam il cammino di riforma, confermando l’originalità della tradizione. Nel primo punto innanzitutto allude alla verità, che non è né un atteggiamento etico e nemmeno intelligente generalizzare e attribuire l’operato di un gruppo minoritario violento a un miliardo e 700 milioni di persone e a una tradizione millenaria che nel passato ha potuto far fiorire deserti d’ignoranza, offrendo i più alti matematici, chimici, medici, astronomi, filosofi, poeti, teologi e mistici del Medioevo, che a loro volta influenzarono il resto del mondo. Nel secondo punto riconosce una tradizione religiosa come tale. Nel terzo punto riconosce i fedeli autentici di quella religione. Nel quarto punto ricorda e scuote i pensatori e l’élite dell’Islam affinché puliscano la tradizione islamica da certe interpretazioni non vere e non conformi all’autenticità del vero Islam. In 70, provenienti dai quattro continenti e di diverse scuole di shari’a, sunniti, sciiti, kharijiti e altri ancora, abbiamo scritto e consegnato una lettera al Santo Padre, cogliendo nei suoi scritti e nei suoi atteggiamenti una mano tesa verso i musulmani, aspetto che ci confermava quei versetti coranici che presentano i cristiani come i più vicini in amicizia ai musulmani (Corano 5,82). La riforma è sempre in atto e ora più che mai si sente la necessità urgente di ampliarla, rafforzarla e nutrirla. Sono centinaia i pensatori, teologi e docenti in differenti zone che scrivono e cercano di mettere in rilievo il vero Islam che si oppone a ogni violenza e coincide con la democrazia e i diritti umani. Ma non sempre ciò conviene al potere locale e globale. Ricordo di nuovo la parola del papa quando dice: «L’unica parola giusta è la pace». La strada della pace si prepara con la conoscenza reciproca e l’umiltà. Il grande maestro persiano d’etica Sa‘di, otto secoli fa, in una poesia bellissima che orna l’entrata dell’ONU, scriveva queste parole: «I figli d’Adamo sono i diversi membri di un unico corpo/ se il tempo colpisce di dolore un membro, gli altri membri ne soffriranno». Allora il vero lavoro intelligente, etico e umano da fare è proprio ampliare Oasis e le oasi d’incontro per poter, passo dopo passo, e goccia dopo goccia, far rifiorire il deserto. Realmente non esiste altra via. Ricordando i popoli sofferenti a maggioranza musulmana, milioni di sfollati, migliaia di civili uccisi che continuano a morire tuttora nel silenzio quasi globale, rileggo le parole di speranza di un gesuita, rapito due anni fa e sparito nel nulla, che ha amato l’Islam rimanendo fedele a Gesù, abbracciando la croce dell’amore del prossimo pur di condividerne il tragico destino: «Un giorno ci sarà una grande festa… su tutta la Terra Santa, come la chiamano i cristiani, benedetta la proclamano i musulmani, promessa la sperano gli ebrei… il muro verrà abbattuto e non si saprà più dove era prima. Ismaele abbraccerà Isacco e questi bagnerà di lacrime di gioia il petto di suo fratello» (Paolo Dall’Oglio, Collera e luce). Per ricevere una copia della rivista o sottoscrivere un abbonamento, clicca qui.