Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:39:22

A meno di un’improbabile mediazione dietro le quinte o di un fallimento della mobilitazione, possibile ma non previsto, l’Egitto va di nuovo incontro a grandi giornate rivoluzionarie. Col suo discorso di mercoledì scorso, il discorso del presidente Mursi non ha fatto altro che soffiare sul fuoco. Se si è sforzato di “parlare al popolino”, di dimostrare di stare dalla sua parte, il presidente ha più che altro attaccato diversi attori individuali e collettivi e varie categorie della popolazione, dai giudici ai giornalisti passando per gli impiegati pubblici, e chiamato in causa il bilancio degli anni di Mubarak per esporre il suo. Si è invece astenuto dall’accennare, anche solo minimamente, a qualche gesto nei confronti dei diversi rappresentati dell’opposizione. Era probabilmente troppo tardi per tornare sui propri passi, perché questo sarebbe stato interpretato come un segno di debolezza. Ma Mursi avrebbe potuto tentare di dividere la grande coalizione che si è costituita contro di lui, un’alleanza improbabile di giovani rivoluzionari, settori della burocrazia, quadri del vecchio regime, rappresentati del “popolino” e del partito dell’ordine. In tre mesi la situazione è drammaticamente cambiata. Nonostante la loro gestione catastrofica, le loro pratiche odiose e la loro crescente impopolarità, all’inizio dell’aprile scorso, i Fratelli musulmani sembravano essere riusciti a consolidare il proprio controllo sul potere, a trascinare i partiti dell’opposizione nella propria rovina, a neutralizzare l’esercito. La gioventù rivoluzionaria era scomparsa, i suoi capi uccisi o arrestati, i quadri del vecchio regime se ne stavano in disparte. La contestazione sociale riprendeva vigore ma i suoi attori agivano in ordine sparso. Migliaia di singoli movimenti, ognuno dei quali in grado di riunire un centinaio di persone, non valevano quanto un movimento sociale di grandi dimensioni. Poi è capitato l’inatteso. Due giovani, provenienti da formazioni nasseriste, ma che non agivano per forza in accordo con queste ultime, hanno lanciato una campagna di raccolta firme per chiedere le dimissioni del presidente Mursi e l’organizzazione di elezioni presidenziali anticipate. Centinaia di giovani anonimi hanno percorso le strade delle grandi città e sono andati nei villaggi per chiedere ai passanti di firmare. E sono stati raccolti milioni (quindici?) di firme (con tanto di numeri delle carte d’identità). Niente come “contarsi” è servito per riprendere speranza. Parallelamente, una concertazione tra diversi protagonisti sembra aver portato alla nascita di una improbabile alleanza tra tutti i delusi dai Fratelli musulmani. Sembra che sia stata definito anche un piano: mobilitare, mobilitare per diversi giorni, finché il potere non cede o cade, per essere sostituito da un consiglio presidenziale incaricato di condurre una transizione verso una democrazia. Malgrado le parole d’ordine che invitano alla calma, i rischi di derive sono evidenti. Da una parte, molti giovani rivoluzionari vogliono vendicare i propri morti e quanti sono stati torturati nelle prigioni dai vari regimi. Dall’altra, da quando i Fratelli hanno usato le proprie milizie contro i manifestanti, i militanti si sono armati e non esitano a ricorrere alla stessa violenza. Peraltro, coloro che auspicano un intervento dell’esercito hanno interesse a veder degenerare la situazione. Infine, il tempo gioca contro i manifestanti: fa caldo e il mese di Ramadan è alle porte. La tentazione di fare in fretta è grande. I Fratelli non hanno molta scelta: non possono contare sugli apparati di sicurezza o sulla polizia, che sono loro in gran parte ostili, tanto più se la mobilitazione sarà importante e attecchirà in più città e regioni. Non possono rischiare un bagno di sangue, perché questo comporterebbe l’intervento dell’esercito. Possono solo, credo, tentare di evitare la mobilitazione o di dividere gli oppositori (ma per il momento non ne sono in grado), oppure minacciare conseguenze gravi in caso di caduta di Mursi (far esplodere il Sinai, tentare un remake del copione algerino, ecc.). In una congiuntura tale, l’attore chiave è l’esercito. Entrambi i campi (Fratelli e opposizione) affermano che i militari sono dalla loro parte. Io credo che l’esercito sia per il momento contro il regime e favorevole a nuove elezioni, ma non bisogna dimenticare la sua totale mancanza di simpatia per la gioventù rivoluzionaria. Il generale al-Sissi è ora l’uomo più popolare del Paese, ma in una congiuntura tanto volatile chiunque si trovi al vertice perderà rapidamente credito, dal momento che le scadenze economiche si fanno sempre più pressanti. Non speculiamo troppo: tutto dipenderà dall’ampiezza della mobilitazione, dal carattere pacifico o meno delle manifestazioni, dalle decisioni e soprattutto dalla determinazione degli uni e degli altri. Sapremo presto come andranno le cose.