Le questioni che i media occidentali hanno presentato come portanti del dibattito del Sinodo sulla famiglia appena concluso, come la comunione ai divorziati risposati o le relazioni omosessuali, non sono a tema in Libano. In Medio Oriente la famiglia ha altre priorità: prima sopravvivere.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:37:37

Intervista a Jocelyne Khoueiry, direttrice del Centro Giovanni Paolo II «Prima di tutto sono impegnate a sopravvivere, poi cercheranno di affrontare le molte sfide economiche, sociali e culturali che hanno di fronte. Certo ora i loro problemi non hanno nulla a che vedere con le questioni lanciate dai titoli dei vostri giornali sul Sinodo». Questa è l’esperienza delle famiglie del Medio Oriente nella descrizione di Jocelyne Khoueiry, invitata al Sinodo sulla famiglia come collaboratrice del segretario speciale. Comandante delle milizie femminili cristiane durante la guerra civile libanese, dopo anni di impegno in prima linea, decise di lasciare le armi, di consacrarsi a Dio e di dedicarsi alla cura delle famiglie. Con il Centro Giovanni Paolo II viene a contatto ogni anno con centinaia di famiglie bisognose di ogni tipo di aiuto: dal sostegno economico per pagare cibo, vestiti e bollette, a quello educativo e di accompagnamento scolastico per i figli, all’assistenza medica. Ma non solo: il centro si è anche specializzato nel servizio di psicoterapia coniugale, familiare e individuale, che assiste circa un centinaio di persone e 30 coppie ogni anno. «Seguo con costanza i lavori del Sinodo e mi accorgo che questioni come la comunione ai divorziati risposati o le relazioni omosessuali, che sono presentati come se fossero l’unico problema delle famiglie oggi nel mondo, in realtà non sono a tema in Libano. Si tratta di questioni europee, occidentali. Ma la Chiesa non è solo l’Europa, Chiesa è anche il Medio Oriente, l’Asia e l’Africa. Non accetteremo mai questa omologazione». Il Libano sta vivendo una crisi economica che si prolunga da trent’anni. Dopo la disastrosa guerra civile ora risente delle ricadute delle guerre regionali che si ripercuotono sul suo territorio in termini di difficoltà intercomunitarie e di gravi rischi nella sicurezza quotidiana. Certo, soprattutto tra i giovani, si avverte l’influenza dello stile di vita occidentale ma, spiega Jocelyne, «le famiglie resistono, le separazioni sono ancora un problema minoritario; quando avvengono non sono esibite e non si avanzano pretese di diritti vari. Anche a proposito dei gay: sappiamo che esistono persone e coppie omosessuali, è stata anche fondata una loro organizzazione, ma sono molto riservati». Per Jocelyne la “resistenza” della famiglia tradizionale dipende da una fede salda di cristiani e musulmani: «In un certo senso dobbiamo ringraziare i musulmani: anche grazie a loro resta viva la cura della famiglia tradizionale. La secolarizzazione non ha spazzato via i valori solidi su cui è edificata la società libanese. Vorremmo costituire un fronte comune tra cristiani e musulmani per la difesa della famiglia, solo che la minaccia della guerra che grava su di noi ci costringe a rinviare il progetto a tempi più tranquilli ». Il lavoro quotidiano con le famiglie e coppie in difficoltà per Jocelyne consiste «nell’annunciare l’insegnamento della Chiesa, nel coltivarne i valori di accoglienza e apertura indispensabili per costruire una società umana e solidale, nel preparare le giovani coppie al matrimonio e promuovere una pastorale diffusa di mediazione e di riconciliazione coniugale». Altra questione scottante per l’ex-guerriera è l’educazione delle nuove generazioni che passa necessariamente da genitori-testimoni di valori come la fedeltà, l’integrità, la coerenza, l’impegno spirituale e morale. Il fatto che ancora il matrimonio sia considerato in Libano un bene sociale e non una pura faccenda privata può offrire qualcosa all’Occidente. Perciò Jocelyne non si stanca di chiedere anche ai padri sinodali un sostegno urgente a livello politico, diplomatico e socioeconomico «per aiutare le famiglie a non fuggire dal Medio Oriente».