Rassegna della stampa italiana ed estera del 28 giugno 2018

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:55:09

In Iran si riaccendono le proteste per le strade a causa dell’aumento dei prezzi, dovuto a sua volta alle sanzioni americane e al ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare. L’Iran si ritrova così in una situazione di isolamento dall’Occidente, scrive Franco Venturini sul Corriere della Sera. Ma in seguito all’incontro tra il presidente americano Donald Trump e il suo omologo nord-coreano Kim Yong-Un, che fa presagire una ripresa positiva dei rapporti tra i due stati, cento politici iraniani hanno scritto in una lettera: perché la Corea sì e noi no? Una posizione che vuole riagganciarsi all’Occidente, ma che non è condivisa dall’autorità di Teheran.

Le proteste iraniane di questi giorni, in particolare di lunedì 25, hanno qualcosa di diverso. A manifestare, infatti, non sono stati i disoccupati, i poveri e coloro che si trovano in difficoltà economiche, ma i commercianti, che si sono schierati proprio nel bazar di Teheran. Questo perché le sanzioni in arrivo e il picco basso del valore del Rial, la moneta dell’Iran, hanno messo in grave difficoltà coloro che hanno un’attività commerciale. Secondo Eastwest, che siano state proprio le agenzie in capo ai Pasdaran, le guardie della rivoluzione, a coprire da vicino gli avvenimenti, getta il sospetto su una presunta manipolazione delle proteste.

 

In un editoriale di L’Orient le Jour Issa Goraieb confronta il ruolo mediorientale dei due “pesi massimi” nella regione. Da un lato la Turchia, con il neo-rieletto presidente Erdogan, a cui “manca soltanto il titolo di Sultano”, dopo l’approvazione della nuova Costituzione che accentra nelle sue mani la maggior parte dei poteri. Dall’altro l’Iran, in grave difficoltà economica dovuta alla vicenda dell’accordo sul nucleare dal quale gli Stati Uniti si sono ritirati e alle prese con le manifestazioni di massa. In questo contesto, Ankara e Teheran non rinunciano, secondo Goraieb, a contendersi il ruolo di punto di riferimento nel Medio Oriente sempre in ebollizione.

 

Sono arrivati ieri a Fiumicino 139 profughi dall’Etiopia, di cui 62 bambini, grazie al corridoio umanitario voluto dalla Cei in collaborazione con il Governo italiano e con altre istituzioni come la Caritas e la Comunità di Sant’Egidio, riporta Paolo Lambruschi su Avvenire. Come ha detto il presidente di Sant’Egidio Marco Impagliazzo: “C’è un’Italia delle istituzioni, delle associazioni, delle Chiese, dei movimenti che vuole proteggere chi ha bisogno di protezione internazionale. Il nostro Paese è capace di accogliere e integrare: questo è il messaggio che arriva da qui”.

 

Yves Montenay analizza su Contrepoints il dibattito francese sull’immigrazione. Chi è a favore, sostiene Montenay, accusa gli altri di essere senza cuore, mentre chi si oppone, taccia i sostenitori di ingenuità. Rimane il fatto che l’Europa, e i suoi membri, dovranno presto arrivarne a una, perché siamo tutti d’accordo che l’immigrazione clandestina sia illegale, ma quella legale deve essere ben regolamentata.

 

Raggiungere un accordo sull’immigrazione e sulla concessione del diritto di asilo è all’ordine del giorno del vertice europeo in corso oggi a Bruxelles. La BBC sostiene che il tasso di arrivo dei migranti non è ai livelli del 2015, quando migliaia di persone sbarcavano sulle coste delle isole greche, ma serve comunque una maggior cooperazione tra i Paesi di provenienza e quelli di transito.

 

Una conferenza a porte chiuse si è tenuta ieri a Parigi. A tema la guerra in Yemen e in particolare l’emergenza umanitaria, riportano vari giornali tra cui Rfi. In preparazione alla conferenza sono state interrogate diverse Ong sulla loro esperienza di quali siano i maggiori ostacoli all’intervento umanitario e su possibili soluzioni, ma nessuna di esse è stata invitata ai colloqui. Gli esiti della conferenza non sono stati ancora resi pubblici.

 

I partiti del Sud Sudan hanno raggiunto un compromesso per il cessate il fuoco permanente, riporta Fidelis Mbah di Al-Jazeera. L’accordo infonde la speranza che la guerra civile, che imperversa ormai da quattro anni e mezzo, sia ormai giunta alla fine.

 

Le donne rohingya in Bangladesh devono lottare per mantenere le proprie famiglie, visto che il numero di mariti che abbandonano le mogli è in drastico aumento. Helen Nianias spiega che queste donne, che ora vivono in Bangladesh e hanno spesso figli a cui badare, trovano sostegno e speranza dal rapporto con altre donne nella stessa situazione.

 

Quali sono le conseguenze pratiche e le implicazioni della decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di impedire ai cittadini di alcuni Paesi a maggioranza musulmana di entrare in America? Lo spiega Jessica Grant della Brookings Institution.

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