Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:39:38

In “un giorno luminoso e limpido, non oscurato da nube alcuna”, come scrive Eusebio di Cesarea, fu firmato l’editto di Costantino e di Licinio, quell’initium di libertà che fu un guadagno per tutti gli uomini “liberati dalle angherie dei tiranni”. Si narra che, in quell’alba radiosa, la firma fu posta dai due Augusti proprio nei pressi dell’attuale Chiesa di San Giorgio al Palazzo, lungo Via Torino, nel cuore di Milano. Che sia solo una diceria o la realtà storica, proprio in quel luogo si inaugurerà il 29 aprile la nuova sede della Fondazione Internazionale Oasis. E in questa coincidenza, nell’anniversario di quell’evento, chi lavorerà lì vuol riconoscere un buon auspicio. Radicata a Venezia, dove fu avviata nel 2003 dall’allora Patriarca Scola per sostenere le comunità dei cristiani che vivono nei Paesi a maggioranza musulmana, Oasis compie un nuovo passo, non solo logistico, perché il rapporto Oasis-Milano si approfondisca di più. Ma perché e per chi questa novità? Sono due la ragioni di fondo: una storica, contingente, l’altra che affonda nelle nuove sfide alle quali Oasis vuol rispondere. La ragione contingente si innesta in un fatto di cronaca: il trasferimento del presidente di Oasis divenuto arcivescovo di Milano. Uno dei criteri di lavoro di Oasis è quello di assecondare la realtà, per cui questo “passaggio” non poteva restarle estraneo. Oasis resta a Venezia che, per sua vocazione, spinge a guardare verso l’Oriente, ma si apre anche a Milano che ha sulla pelle tutte le ferite e opportunità poste dall’impatto con il “meticciato di civiltà e culture”. Qui è evidente che l’incontro con il mondo musulmano ha un peso imponente, basti pensare ai numeri delle comunità musulmane presenti e al lavoro decennale di realtà come il Cadr, di don Giampiero Alberti, di Paolo Branca e molti altri. Se questa è la ragione contingente, quella teorica è emersa dal lavoro di ricerca. Già dal 2011, accostando l’“imprevisto” africano e le rivolte arabe, Oasis si è trovata incalzata da un’evidenza: non c’è un problema diverso tra noi e i musulmani. Nella domanda di libertà gridata dai giovani nelle piazze di Tunisi e del Cairo era riconoscibile la stessa essenza delle questioni che animano il dibattito in Occidente. Il faccia a faccia di Oasis con questi interrogativi e con il tentativo dei popoli delle rivoluzioni di darsi istituzioni democratiche senza tradire la propria tradizione religiosa, con tutto il carico di contraddizioni e le derive possibili, ha svelato come possa essere rilevante l’esperienza dei cristiani per i musulmani e viceversa. Oasis si è sentita provocata a documentare la convenienza della reciproca conoscenza tra Oriente e Occidente, del narrarsi e lasciarsi narrare. Se in Oriente la sua rete di rapporti è ormai avviata, come dimostrano i comitati internazionali tenuti a Tunisi con il coprifuoco, ad Amman, a Beirut e al Cairo, ora emerge la necessità di una maggiore penetrazione in Occidente. In questo Milano, una tra le città decisive per il futuro, la “terra di mezzo”, la punta avanzata nel cuore dell’Europa, l’incrocio di culture, si propone come luogo ideale da cui partire per allargare l’orizzonte di Oasis. Per puntare lo sguardo maggiormente sull’Occidente e su cosa implica la presenza sempre più numerosa di musulmani. Per questo, per guadagnare un’interlocuzione sempre più profonda con la realtà, Oasis ha bisogno di Milano e dei milanesi.