La sconfitta del partito islamista an-Nahda, uscito vincitore nel 2011, alle prime elezioni legislative tunisine dopo il varo della nuova Costituzione, e la vittoria del laico e variegato Nidaa Tunis lanciano alcuni segnali interessanti sui processi in corso nel Mediterraneo. Il commento del politologo tunisino Hamadi Redissi.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:37:32

Vince il partito Nidaa Tunis con 85 seggi le prime elezioni legislative tenute in Tunisia dopo il varo della nuova Costituzione. Ma la novità vera secondo Hamadi Redissi è la sconfitta di an-Nahda. Per il politologo, già presidente dell’Osservatorio tunisino sulla transizione democratica, sceso in campo apertamente in favore del partito nato un paio d’anni fa e guidato da Essebsi, è la prima volta che un partito islamista esce sconfitto in una tornata elettorale. E si riferisce a tutta l’area mediterranea. «La prima vera notizia è che an-Nahda ha perso. E questo è rilevante per il fatto che è la prima volta che un partito islamista è sconfitto alle elezioni. Abbiamo conosciuto partiti islamisti al potere, in carcere, sostenitori di gruppi di terroristi; ma è la prima volta che un partito islamista perde le elezioni. Questo è molto importante. Un esempio? Il partito islamista turco, l’AKP, non perde le elezioni in Turchia dal 2002. Quello che accade in Tunisia perciò è molto significativo. Il partito an-Nahda ha perso (ha preso solo il 26%), ma non è stato umiliato. Anche Nidaa Tunis, che pur si è attestato come primo partito, si trova in una posizione più difficile che an-Nahda nel 2011 perché non ha una maggioranza assoluta. Allora an-Nahda, con i due partiti alleati, Congresso per la Repubblica e Ettakattol, raggiungeva la maggioranza assoluta e quindi poteva governare». Quali alleanze possibili per Nidaa Tunis? «La situazione è molto poco chiara. Nidaa Tunis non ha possibilità di facili alleanze con altri movimenti. Con quelli più prossimi non arriva al 50% dei seggi. Dopo una campagna elettorale tutta fondata su posizioni contro l’islamismo, non può ora proporre di fare un governo comune con an-Nahda. I loro progetti politici sono opposti. Anche Massar, l’ex partito comunista, è sparito, non ha ottenuto alcun eletto. Il partito Afek Tunes, liberale ha solo 8 seggi. Nidaa Tunis con 85 dei 217 seggi dell’Assemblea farà molta fatica a raggiungere una maggioranza. L’estrema sinistra non offre alcun punto in comune con il suo programma. Forse avremo un governo di unità nazionale o di salute pubblica. Per un governo sarà difficile ottenere la fiducia del parlamento. Inoltre siamo bloccati per ragioni istituzionali: per la nuova Costituzione è il Presidente della Repubblica che deve incaricare il Primo Ministro di formare il Governo. Ma l’attuale Presidente della Repubblica è del regime provvisorio, che doveva condurre il Paese al voto. Quindi siamo in empasse fino alle elezioni presidenziali, cioè ancora per un paio di mesi». Come interpreta questo voto? Il calo dell’affluenza al voto e il risultato cosa dicono della società tunisina? «In primo luogo va rilevato che la partecipazione non è stata massiccia, si è fermata al 60% degli aventi diritto di voto. Hanno votato poco più di 3 milioni di persone sui 5 milioni di iscritti nei registi elettorali. Nel 2011 si era arrivati a 4,3 milioni. Tuttavia è già un bene che siano andati a votare. Per il resto il voto è il risultato di tre anni di governo nei quali la Troika non ha mantenuto le promesse sociali ed economiche che aveva avanzato. Parlava di aumentare i posti di lavoro, invece la disoccupazione è cresciuta; ha spaventato le classi medie con il tentativo di islamizzare il Paese e con la tendenza a stabilire un potere autoritario. Il voto è stato un giudizio pesante contro la Troika. An-Nahda non è finita, ma certo ha ricevuto un colpo molto duro. Dall’altra parte è stato premiato un partito che fa sintesi tra vecchi e nuovi, tra sindacalisti, uomini di sinistra, indipendenti, esponenti dell’impresa…Votando questo partito, il cui capo Essebsi ha collaborato con Bourghiba, e che è candidato alle elezioni presidenziali, gli elettori hanno dato un chiaro segnale della direzione verso la quale chiedono di indirizzare il Paese». Nostalgia per il passato laico e prerivoluzionario? «Bisogna considerare che ci sono quattro o cinque partiti che si rifanno all’epoca Ben Ali, ma il popolo non li ha votati. Il più importante, Al Maoubadara di Kamel Morjane, ex ministro di Ben Ali, ha ottenuto solo quattro seggi, meno di quelli vinti nel 2011, quando arrivò a 5». La Tunisia è sorvegliata speciale a livello internazionale. La si osserva per comprendere come evolve la transizione cominciata con la rivolta del 2011. Quale segnale hanno dato queste elezioni al mondo secondo lei? «Il primo segnale è che la via democratica può aver luogo anche in un Paese arabo. Ci vuole tempo e pazienza, ma è possibile. Altro messaggio è che ci vuole una società civile forte per contenere la tendenza degli islamisti a imporre uno Stato dittatoriale, uno Stato religioso. Inoltre è evidente che ci vogliono misure economiche immediate per far uscire il Paese dalla crisi economica nella quale si trova. La democrazia partecipa della stabilità economica di un Paese. Personalmente credo che la Tunisia sia sulla strada buona». [Twitter: @marialauraconte]