Le due giornate di lavoro del comitato internazionale di Oasis a Sarajevo il 16 e 17 giugno scorsi sul tema Tentazione violenza: religioni tra guerra e riconciliazione hanno smontato pezzo per pezzo il diffuso luogo comune per cui nelle religioni monoteistiche vi sarebbe il germe della violenza che tanto sangue sta spargendo anche ai nostri giorni. Esse hanno indagato la complessità del nesso religioni-violenza senza sconti, scoperchiando una complessità che merita di essere indagata con il contributo di tutti. Lo chiede la storia passata e la cronaca attuale.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:37:52

A Sarajevo Oasis è arrivata per strade diverse che puntavano tutte là, sulla città dolorosa dei Balcani, l’ammiraglia incagliata nella storia. Dopo le tappe di Milano, Tunisi, Beirut, Amman, Il Cairo, Venezia, degli anni precedenti, Oasis ha trovato in Sarajevo, infatti, il luogo ideale per affrontare il tema scelto per questa edizione 2014, Tentazione violenza: religioni tra guerra e riconciliazione una questione imposta dai fatti drammatici del Medio Oriente, dalle notizie che giungono dalla Siria e dall’Iraq, e tappa coerente con le precedenti dedicate all’approfondimento di ciò che c’è in gioco in Oriente e Occidente, tra secolarismo e ideologia, dalle rivolte arabe alle loro ricadute globali, e prima ancora alla libertà religiosa, all’educazione, alla testimonianza … Conduceva a Sarajevo la storia passata e recente che fa luce su com’è cambiata la guerra e come la violenza si può argomentare con riferimenti pretestuosi alla fede religiosa. Qui sul fiume Miljacka, l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria-Ungheria, scatenava proprio cento anni fa la prima guerra mondiale destinata a stravolgere gli equilibri europei, ma anche il volto del Medio Oriente (si pensi alla fine del Califfato ottomano, alla nascita dell’Islam politico e del nazionalismo arabo); e qui solo vent’anni fa il ’900 si chiudeva con una delle guerre più crudeli e fratricide, ferita che sanguina ancora oggi nella memoria dei sopravvissuti. Spingeva verso la città balcanica anche l’intento di Oasis di cogliere la lezione che può offrire a molti Paesi europei – sempre alla ricerca della quadra per organizzare la vita comune in società plurali – l’esperienza dell’Islam in Bosnia, organizzato in una comunità istituzionalizzata che partecipa alla vita pubblica in un contesto “laico”. E, infine, indirizzava verso la Bosnia-Erzegovina anche l’attenzione per la vita dei cristiani che vivono in contesti a maggioranza musulmana, aspetto che fin dall’inizio caratterizza la fondazione e la rivista volute dal card. Scola quand’era Patriarca di Venezia: anche solo il numero dei cattolici che oggi vivono nella capitale bosniaca, dimezzato rispetto a prima della guerra, documenta la fatica che questa comunità affronta ordinariamente per “sopravvivere”. Personalità accademiche, esponenti della società civile, ecclesiastici, provenienti da Egitto, Giordania, Marocco, Spagna, Francia, Belgio, Nigeria, India, Iran, Canada, Stati Uniti, al lavoro lunedì 16 e martedì 17 giugno insieme a rappresentanti della realtà locale, hanno condiviso analisi approfondite ed esperienze personali secondo un programma particolarmente intenso. Della vicenda di Cristo come «un oggettivo superamento della logica della violenza e come tale misura del passato e del futuro della storia umana» ha parlato il card. Angelo Scola, nel suo intervento di apertura, nel quale si è soffermato sul possibile contributo dei cristiani all’incontro tra uomini di religioni diverse: «Il congedo definitivo dalla logica della violenza che l’evento pasquale porta in sé è anche il principale contributo che come cristiani pensiamo di poter offrire oggi al dialogo interreligioso. È stata la grande intuizione di Assisi e il messaggio che Papa Francesco ha appena ripetuto in Terra Santa, lanciando dalla spianata delle moschee “un accorato appello a tutte le persone e le comunità che si riconoscono in Abramo: rispettiamoci ed amiamoci gli uni gli altri come fratelli e sorelle! Impariamo a comprendere il dolore dell’altro! Nessuno strumentalizzi per la violenza il nome di Dio! Lavoriamo insieme per la giustizia e per la pace!”». «Oasis, che è nata per essere vicina ai cristiani orientali – ha osservato l’arcivescovo – non può ignorare il loro grido di dolore e quello di interi popoli, in Siria, in Iraq, in Nigeria, in Pakistan, ovunque il terrorismo infierisca». Soluzioni facili non esistono e vanno cercate insieme ai musulmani, ha rilevato il card. Scola: «Tra la sofferenza per il male patito e l’attesa speranzosa della rivelazione dei giusti resta un immenso lavoro da fare, il nostro compito di uomini di buona volontà». Un compito, ha concluso il presidente di Oasis, fondato sulla testimonianza che ha bisogno del dialogo, come metodo, e del coraggio del perdono. Hanno introdotto i lavori insieme il Reis-ul-ulema Husein Kavazović e l’arcivescovo della città. Il capo della comunità islamica della Bosnia Erzegovina ha raccontato Sarajevo tra passato e futuro, individuando nella capacità di accoglienza delle differenze la qualità specifica della sua città dalle molteplici componenti religiose, mentre il card. Vinko Pulić non ha nascosto insieme alla speranza che lo anima, tutta la sofferenza di cui porta addosso il peso: l’ultima guerra è sempre presente, non si può rimuovere dalla memoria, e la recente drammatica alluvione ha nuovamente schiacciato il Paese, distruggendo venti delle sue quaranta parrocchie. Si è preso poi in esame il jihad sia nella tradizione sunnita, con Asma Afsaruddin, professoressa dell’Indiana University, e in quella sciita, con Mathieu Terrier, dell’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Da qui si è partiti per ripercorrere l’eredità mediorientale di quanto accadde a Sarajevo nel 1914, con Martino Diez, direttore scientifico di Oasis, per scoprire cos’è divenuta la guerra dopo la caduta del muro di Berlino, con Henri Hude, professore dell’Accademia Militare Saint Cyr di Parigi, e per indagare come la guerra sia in grado di ridisegnare le identità, con Ugo Valisavljevic, vicerettore dell’Università di Sarajevo. Il percorso attraverso la guerra è approdato alla riflessione di René Girard, riproposta da Bernard Perret, vice presidente dell’Associazione di Ricerche Mimetiche di Parigi, e a un affondo finale nel documento della Commissione teologica internazionale su monoteismo e violenza, illustrato da Javier Prades, rettore dell’Università San Damaso di Madrid. Il secondo giorno, invece, è stato dedicato allo studio di alcuni casi: la guerra di Bosnia con il card. Pulić, arcivescovo di Sarajevo, i Bosgnacchi e le sfide del presente con Fikret Karćić, intellettuale di punta della comunità islamica locale, i “Gandhi” musulmani con Ramin Jahanbegloo, iraniano che insegna alla York University di Toronto, la non violenza e il fondamentalismo nell’India contemporanea con il card. George Alencherry, arcivescovo maggiore di Ernakulam-Angamali, in Kerala, la minaccia di Boko Haram in Nigeria con mons. Matthew Kukah, vescovo di Sokoto, la violenza religiosa e le relazioni intercomunitarie in Egitto dopo la rivoluzione del 2011 con Christian Cannuyer, direttore della rivista Solidarité-Orient di Bruxelles. Come sempre uno dei momenti chiave dei comitati di Oasis è stata la discussione dei paper, preparati precedentemente dai partecipanti, la condivisione delle reazioni ai contributi degli esperti ascoltati insieme e delle testimonianze più personali di quanto ciascuno vive nel suo Paese. La “convenienza” del metodo di Oasis consiste infatti proprio in questo suo pensarsi e proporsi, fin dal 2004, come un soggetto “comunionale”. L’ha rilevato Tewfik Aclimandos, politologo egiziano, durante il dibattito: Oasis è una rete di amici ormai, che mettono a disposizione uno dell’altro, a partire da competenze disciplinari e provenienze geografiche diverse, il loro “sapere” perché convinte che il lavoro culturale sia luogo privilegiato per favorire l’incontro tra cristiani e musulmani. Un’amicizia che non può chiamarsi fuori da un affondo sempre più coraggioso nella realtà. La città, che nei volti severi dei suoi abitanti sembra celare un segreto per i forestieri, è stata particolarmente accogliente per Oasis. Con la sua acribia nel voler ripartire sempre, quando viene calpestata, ne ha rilanciato l’impegno. Una buona parte degli interventi del comitato sarà pubblicata nel prossimo numero della rivista plurilingue Oasis e molti degli interventi dei dibattiti troveranno spazio nelle newsletter online (www.fondazioneoasis.org). *questo articolo è stato pubblicato da Tempi. [@marialauraconte]