Conversazione con Meryam Badri, giornalista di Hespress, per la quale le quote rosa in parlamento non risolveranno la discriminazione delle donne in Marocco, perché serve più spazio di espressione e il riconoscimento di maggiori diritti.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:53:32

Intervista a Meryam Badri, giornalista del primo quotidiano marocchino Hespress. Nel 2013 ci sono stati molti cambiamenti nel governo marocchino, tra i quali l’introduzione delle quote rosa trai ministri. Le donne si sentono ancora discriminate nella vita politica? Le riforme dell’anno scorso hanno portato a sei il numero delle donne ministro. La presenza di donne in politica, però, è diminuita e il suo ruolo si è ridotto. La quota minima stabilita delle presenze femminili tra i candidati, infatti, è del 15%, ma in realtà non viene raggiunta. Durante la campagna elettorale del 2011, il PJD aveva promesso molto alle donne a livello sociale e così ottenuto il loro voto. In realtà poi le promesse non sono state mantenute. Cosa fanno i movimenti femministi? Ci sono molti movimenti femministi in Marocco, specialmente nelle grandi città, che svolgono diverse attività di sensibilizzazione. Ma il più delle volte non sono ascoltati e con questo governo non riescono ad essere influenti. C’è una discriminazione di fondo della donna in politica. L’Islam, per esempio, dice che la donna non può regnare e per questo motivo in Marocco non c’è la regina ma la principessa, che, oltretutto, resta nascosta dal piano pubblico. Quale la causa ultima di tale discriminazione? La vera causa è il maschilismo che provoca l’assenza della donna in determinati settori, soprattutto quello politico. Ciò nonostante la donna marocchina ha fatto molti passi avanti, si è modernizzata. Al contrario dell’uomo marocchino, che non ha dovuto fare progressi, non si è dovuto modernizzare. La sua è una pura tradizione, non ha una motivazione religiosa. Il governo e i partiti dovrebbero innanzitutto lasciarci più spazio, a partire dal Parlamento stesso. Ha fatto esperienza in prima persona di casi di discriminazione nel suo lavoro di giornalista? Sì. Io e un mio collega abbiamo lo stesso tipo di contratto: lavoriamo lo stesso numero di ore, pubblichiamo lo stesso numero di articoli, ma non abbiamo la stessa retribuzione. Negli staff che si occupano di Risorse Umane c’è ancora l’idea che una donna dovrebbe innanzitutto essere moglie e madre. Perciò è più difficile per una donna avere una buona posizione lavorativa o essere promossa. Cosa pensa del caso di Rachid Nini, l’editorialista e direttore di al-Masa’ nel 2011, condannato a un anno di reclusione per aver scritto di argomenti considerati intoccabili? Rachid Nini era direttore del giornale marocchino d’opposizione el-Masa’. È stato arrestato a causa di un articolo che parlava della vita privata di un pubblico ministero. Dal momento che nel nostro paese la giustizia è legata al re, parlando del re, anche se in modo indiretto, Rachid Nini ha violato “les trois sacrés” (i tre sacri). “Les trois sacrés” sono la religione, il Sahara occidentale e il re. Non si può parlare di questi tre argomenti. Non crede che questo sia un limite per la professione di un giornalista? Non è assolutamente un limite alla nostra professione: un giornalista deve essere neutro e critico. Se uno non tocca mai “les trois sacrés”, non ha nessun tipo di problema. Chi li viola, viene arrestato. I direttori della produzione sono quelli che hanno i problemi più grossi, perché sono responsabili di ciò che viene pubblicato sui loro giornali. A volte il giornale stesso può essere chiuso o sospeso dalla pubblicazione.