Si è parlato di “sacra alleanza” tra cristiani e musulmani contro l’aborto. In realtà vi sono delle differenze

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:00:03

Bioetica. Si è parlato di “sacra alleanza” tra cristiani e musulmani contro l’aborto. In realtà vi sono delle differenze. Per il Magistero cattolico occorre distinguere l’aborto diretto, mai lecito, da quello indiretto. Per i dotti dell’Islam l’aborto terapeutico può essere accettabile, ma prima dell’insufflazione dell’anima.

Preparando la Conferenza del Cairo sulla Popolazione e sullo Sviluppo del 1994, alcuni leader musulmani e cattolici espressero la loro preoccupazione in merito all’utilizzo dell’aborto come strumento di controllo delle nascite[1]. I reporter da tutto il mondo non tardarono ad annunciare la nascita di un’alleanza tra i musulmani e i cattolici romani fondata sulla comune opposizione all’aborto[2]. Altri si affrettarono a chiarire che la Chiesa cattolica proibisce l’aborto in assoluto mentre i musulmani lo consentono a determinate condizioni, in particolare nei primi tre mesi di vita del feto e/o per salvare la vita della madre. In realtà nessuna di queste due affermazioni è del tutto corretta, essendo entrambe basate su un fraintendimento di ciò che la Chiesa cattolica definisce come aborto illecito e sull’ignoranza della visione islamica dello statuto dell’embrione umano. Questo contributo si prefigge di chiarire i punti in comune e le differenze tra cattolici e musulmani sulle questioni di inizio vita.

 

Aborto diretto e indiretto

Mentre il Magistero della Chiesa considera la vita umana sacra e inviolabile fin dal suo concepimento, pochi sanno che il Magistero della Chiesa traccia una linea tra l’aborto “diretto” o intenzionale, e indiretto o “non-intenzionale”. Seguendo la tradizione millenaria della Chiesa, Evangelium Vitae condanna l’aborto “diretto” definendolo come «ogni atto che tende direttamente a distruggere la vita umana non ancora nata»[3]. Tale definizione dell’aborto illecito esclude la liceità del cosiddetto “aborto terapeutico”. La craniotomia, cioè lo schiacciamento diretto del cranio del bambino, ne sarebbe un esempio[4].

Dall’altro lato, il Magistero della Chiesa non proibisce l’aborto indiretto, o qualsiasi atto che, puntando a salvare la vita della madre, causa indirettamente la morte del feto. L’asportazione dell’utero affetto da cancro di una donna incinta (isterectomia) per salvarle la vita sarebbe un caso di aborto indiretto. Il bambino muore per questo intervento, ma la sua morte non è voluta direttamente. «Preservare la vita di una madre sarebbe il fine ricercato per se stesso e l’estrazione del bambino dall’utero, l’estrazione, non la morte» sarebbe il mezzo[5]. Un altro esempio di aborto indiretto è l’asportazione della tuba di Falloppio nel caso di una gravidanza ectopica [extrauterina, N.d.R.][6]. Anche in questo caso, la morte del bambino sarebbe la conseguenza indiretta di un atto finalizzato a salvare la vita della madre attraverso un mezzo moralmente legittimo: l’asportazione della tuba di Falloppio.

Entrambe le forme d’intervento sono considerate moralmente lecite sulla base del “principio del doppio effetto”, radicato nel pensiero di Tommaso d’Aquino (1225-1274). Il principio afferma in generale che «nel caso in cui un’azione contemplata produca sia effetti buoni che negativi, l’azione è lecita solo se non è in sé sbagliata e se non implica che ci si prefigga direttamente il risultato negativo»[7]. Ovviamente la liceità morale di questi omicidi non-intenzionali non li rende obbligatori. Una madre può sempre rifiutarsi di sottoporsi alla terapia per salvare la vita del bambino. Fu il caso di Santa Gianna Beretta Molla, e di altri esempi meno noti di generosa auto-immolazione.

 

L’insufflazione dell’anima

Nell’Islam non esiste la distinzione tra aborto diretto e indiretto. Si distingue piuttosto tra aborto prima e dopo l’animazione, e di aborto motivato da giustificazioni adeguate e inadeguate. I termini arabi al-isqât o al-ijhâd, che letteralmente significano “far cadere qualcosa” dal ventre della madre prima del termine dei nove mesi di gestazione, sono utilizzati in riferimento a entrambi[8]. Le implicazioni etiche e giuridiche di al-isqât/al-ijhâd sono molto simili, anche se la loro gravità aumenta nel caso in cui l’aborto avvenga dopo l’animazione o in mancanza di una motivazione adeguata. Perciò le domande generalmente sollevate dai dotti musulmani sono: quando avviene l’animazione? Quali sono le ragioni legittime per praticare un aborto?

Sulla domanda dell’animazione, i dotti musulmani hanno sempre avuto visioni divergenti circa la sua tempistica, sulla base di interpretazioni differenti delle fonti religiose classiche. Tra queste vi è un celebre hadîth del profeta il quale avrebbe detto: «Ciascuno di voi rimane nel grembo di sua madre per quaranta giorni, poi si trasforma in un grumo di sangue (‘alaqa) proprio come questo (mithla dhâlika), poi in un pezzo di carne (mudgha) proprio come questo, poi Dio invia un angelo e gli ordina di registrare quattro cose: i beni di cui disporrà, l’età, se sarà tra i dannati o se sarà tra i beati (nell’Aldilà). Poi gli viene insufflata l’anima»[9]. Alcune scuole giuridiche sunnite hanno interpretato questo passo o come un’indicazione del fatto che le tre fasi dello sviluppo embrionale avrebbero una durata di 40 giorni ciascuna o che esse si concluderebbero complessivamente nell’arco di 40 giorni[10]. Nel primo caso l’intero processo, fino all’insufflazione dell’anima nell’embrione, durerebbe 120 giorni. Nel secondo caso, «l’animazione avviene al termine dei primi quaranta giorni», dopo i quali «il feto acquisisce l’unità ontologica e l’identità di persona umana»[11]. Tuttavia nella scuola malikita e nell’Islam sciita, un’altra tradizione anticipa ulteriormente il tempo dell’animazione al momento del concepimento. Una testimonianza di questa tradizione si trova nel seguente dialogo tra Sa‘îd ibn al-Musayyib (637-715) e il quarto imam sciita ‘Alî ibn al-Husayn Zayn al-‘Âbidîn (659-712):

 

Domandai [all’Imam]: [Secondo te] i passaggi da uno stato all’altro che si verificano (nel feto) durante la gestazione avvengono in presenza o in assenza dello spirito (rûh)? Rispose: i passaggi avvengono attraverso lo spirito ad eccezione della vita preesistente, trasferita nei lombi dell’uomo e nel ventre della donna. Se il feto non avesse uno spirito [indipendente] dalla vita che c’era già [legata all’esistenza del genitore], non avrebbe potuto trasformarsi da uno stato all’altro nel ventre materno[12].

Secondo alcuni insigni studiosi contemporanei, le recenti acquisizioni scientifiche sembrerebbero confermare questa terza interpretazione[13]. A loro avviso infatti gli studi scientifici dell’embriologia hanno dimostrato che la fusione dello sperma e dell’ovulo nella fecondazione produce uno zigote monocellulare, con 46 cromosomi – il numero di cromosomi «caratteristico sia della razza umana che di ciascun individuo del quale nessun altro individuo è una copia perfetta»[14]. Ma non tutti sono pronti a mettere in discussione la tradizionale interpretazione del Corano e degli hadîth sulla base delle nuove acquisizioni scientifiche.

Ciò su cui i musulmani concordano invece è che al-isqât/al-ijhâd dopo l’animazione è sempre immorale e deve essere vietato. Prima di allora, anche se sconsigliato, tecnicamente non può esser considerato un “aborto”, cioè una forma di uccisione diretta della vita umana. Gli studiosi dovrebbero avere chiaro in mente questo punto quando fanno affermazioni come quella per cui l’Islam consentirebbe l’aborto nei primi mesi di vita del feto. Per esempio Donna Lee Bowen lo afferma in relazione ad al-Ghazâlî (1058-1111). Secondo lei, il celebre teologo musulmano «sosteneva che l’adulterio può essere una ragione valida per consentire l’aborto». In realtà al-Ghazâlî diceva solamente che «se lo zigote risulta dall’adulterio, l’eventualità dell’aborto può essere contemplata», prima che lo zigote raggiunga le fasi dell’animazione. In seguito l’aborto è certamente proibito[15].

La stragrande maggioranza dei dotti musulmani ritiene che il divieto assoluto di aborto dopo l’animazione possa essere revocato solamente nel caso in cui il proseguimento della gravidanza costituisca una minaccia per la vita della madre. Ma anche in quest’ultimo caso «la sharî‘a richiede un’estrema cautela nel determinare la gravità della situazione e valutare se salvare la madre o il feto. Alla madre non è garantita la prevalenza sul feto»[16]. Secondo Ibn ‘Abidîn (m. 1842), illustre giurista hanafita, «se il feto è vivo e (anche) se si temesse per la vita della madre, finché il feto rimane in vita non è consentito smembrarlo»[17], a meno che non sia certo e non solamente un’ipotesi che la vita della madre è in pericolo e che il ricorso all’aborto è l’unica possibilità per salvarle la vita. In quest’ultimo caso, la maggioranza dei musulmani ritiene legittimo il ricorso al cosiddetto aborto terapeutico[18], a meno che la madre ricorra al proprio diritto di discrezionalità e dia la precedenza alla salute del bambino sulla sua.

 

Aspetti comuni e differenze

Alla luce di queste considerazioni, le divergenze nella visione di musulmani e cattolici sulla liceità morale dell’aborto in determinate condizioni cominciano a essere meno forti. Sia l’etica cattolica sia quella musulmana hanno a cuore la vita della madre, e allo stesso tempo hanno la massima considerazione per l’embrione umano. Tuttavia gli argomenti etici che essi avanzano per giustificare le loro posizioni sono molto diversi. Come detto, il Magistero cattolico ricorre al principio del doppio-effetto per distinguere l’aborto legittimo da quello illegittimo. Questo principio esclude qualsiasi forma di uccisione intenzionale o deliberata, fondandosi sull’idea secondo la quale è sempre sbagliato volere direttamente un effetto negativo, anche se si tratta di evitare un male peggiore o per un fine buono. Dall’altro lato, i dotti musulmani sostengono che in certi casi sia consentita l’uccisione diretta del bambino alla luce della “necessità di scegliere” (al-takhyîr)[19], o sulla base del principio[20] della “necessità che non conosce leggi” e della “premessa legale che il male maggiore dev’essere scongiurato col male minore”. Per i dotti musulmani, tutti questi principi rendono talvolta possibile l’aborto terapeutico. Si tratta di una differenza innegabile tra l’etica di vita cattolica e musulmana, ciò che tuttavia non giustifica alcuna indebita generalizzazione sulla liceità dell’aborto nei primi tre mesi di vita del feto agli occhi di un musulmano devoto.

 

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[1] Negli Stati Uniti hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui si chiedeva di riaffermare quanto stabilito nella conferenza tenutasi a Città del Messico: «tutte le nazioni adottino le misure più adeguate per aiutare le donne a evitare l’aborto, che in nessun caso dev’essere promosso come metodo di pianificazione delle nascite e, per quanto possibile, garantiscano un trattamento umano e offrano un servizio di assistenza alle donne che hanno fatto ricorso all’aborto», disponibile su http://old.usccb.org/seia/is2.pdf.

[2] Donna Lee Bowen, Abortion, Islam and the 1994 Cairo Population Conference, «International Journal of Middle Eastern Studies», 29 (1997) 2, 161.

[3] Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, 62.

[4] Martin Rhonheimer, Vital Conflicts, Direct Killing, and Justice. A Response to Rev. Benedict Guevin and Other Critics, «The National Catholic Bioethics Quarterly», autunno 2011, 524.

[5] Christian Brugger, Direct Killing as Intentional Killing, disponibile su http://www.thepublicdiscourse.com/2013/02/7486/.

[6] Una gravidanza extrauterina si verifica quando il feto si impianta nell’ovidotto o tuba di Falloppio e crescendo causa la morte sia del bambino che della madre.

[7] David Solomon, The Principle of Double Effect, «Encyclopedia of Ethics», http://sites.saintmarys.edu/~incandel/doubleeffect.html.

[8] Abdulaziz Sachedina, Islamic Biomedical Ethics, Oxford University Press, Oxford 2009, 129.

[9] Thomas Eich, Decision-Making Processes among Contemporary ‘Ulama’, in Muslim Medical Ethics. From Theory to Practice, University of South Carolina Press, Columbia 2008, 65.

[10] Abdulaziz Sachedina, Islamic Perspectives on the Ethics of Stem Cell Research, in Daniel Lee Kleinman et al. Controversies in Science & Technology. From Climate to Chromosomes, vol. 2, Mary Ann Liebert, New York 2008, 97.

[11] Ibid.

[12] Ibi, 98-99.

[13] È il caso dei già menzionati studiosi sciiti Abdulaziz Sachedina e Hassan Hathout, un medico musulmano che ha vissuto in Medio Oriente, Gran Bretagna e Stati Uniti.

[14] Hassan Hathout, Islamic Concepts and Bioethics, in The Center for Ethics. Bioethics Yearbook, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht 1991, 106.

[15] Donna Lee Bowen, Contemporary Muslim Ethics of Abortion, in Islamic Ethics of Life, University of South Carolina Press, Columbia 2003, 57.

[16] Abdulaziz Sachedina, Islamic Biomedical Ethics, 142.

[17]Abdulaziz Sachedina, Islamic Perspectives on the Ethics of Stem Cell Research, 108.

[18] Ad eccezione del Gran Mufti d’Egitto, ‘Abdul-Majîd Salîm. Secondo la fatwa che emise nel 1937, questa scelta dev’essere effettuata prima dell’animazione, momento che sancisce la nascita della persona umana. In seguito, l’aborto non è più consentito. Dariush Atighetchi, Islamic Bioethics: Problems and Perspectives, Springer, Heidelberg 2006, 99.

[19] Abdulaziz Sachedina, Islamic Biomedical Ethics, 69-70.

[20] Ibi, 142.

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Paola Bernardini, Ma quando inizia la vita nel grembo materno?, «Oasis», anno IX, n. 18, dicembre 2013, pp. 108-111.

 

Riferimento al formato digitale:

Paola Bernardini, Ma quando inizia la vita nel grembo materno?, «Oasis» [online], pubblicato il 1 dicembre 2013, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/aborto-per-cristiani-e-musulmani.

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