Il grande pensatore tedesco esamina il dogma della Trinità, punto centrale della salvezza, modello perfetto di ogni convivenza

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:50:47

Le verità religiose non sono proposizioni puramente teoriche. Vogliono entrare in relazione con tutto l'uomo, con il suo intelletto come con la vita della sua volontà e del suo sentimento. La conoscenza della verità deve essere per l'uomo uno stimolo spirituale e una guida nella sua tensione verso Dio; deve trasformare il suo modo di pensare e il suo agire.

Le verità della religione superano la portata del nostro intelletto e proprio nelle dottrine fondamentali del Cristianesimo tale mistero è più profondo. A queste dottrine si può applicare l'acuta espressione di G. K. Chesterton: «Essi sono come il sole; non si riesce a guardarvi dentro, ma nella sua luce intravediamo tutto il resto»[1] . Deve essere allora possibile, attraverso una considerazione rispettosa e allo stesso tempo penetrante, custodire i confini del mistero e tuttavia intrecciare una relazione tra dogma e vita reale.

Alcune verità parlano facilmente al cuore e alla volontà; sono le verità che riguardano la nostra redenzione. Altre sembrano più difficilmente accessibili. A esse appartiene anzitutto il fondamento della nostra fede, la dottrina del Dio trinitario. Non è raro imbattersi nella convinzione secondo cui tale dottrina è un principio astratto, lontano e distante dalla terra, al quale ci si deve senz'altro attenere, ma privo di molto significato per la vita reale. Si è pronti a riconoscere un rapporto tra il mistero della Trinità e la vita cristiana nel fatto che le opere della creazione, della redenzione e della santificazione vengono attribuite in modo specifico alle tre Persone divine. Si coglie ancora un rapporto nel fatto che il cristiano sa di essere figlio del Padre, fratello e sorella di Cristo, amico dello Spirito Santo. E questi ultimi rapporti in particolare sono assai profondi e fecondi. Ma, con tutto questo, il punto focale del mistero, cioè il fatto che un Dio unico sia in tre persone, non è stato ancora messo esplicitamente in luce. Rimane ancora sullo sfondo.

Non è stato sempre così. Nel Medioevo, ad esempio, il dogma della Santissima Trinità deve aver avuto un significato del tutto particolare nella vita cristiana. Lo dimostrano gli antichi canti, in cui emerge con forza di continuo il grande mistero, oscuro e nello stesso tempo luminoso. Anche le antiche indicazioni per la vita spirituale lo confermano.

Qui la Trinità appare come punto centrale della salvezza, come fonte e meta della vita di grazia[2] . In essa si vedeva anche la sanzione più alta di ogni legittimità. «In nome della santa e indivisibile Trinità»: così iniziava la Lex salica[3] . Autorità terrena e validità giuridica trovavano in quel mistero il loro fondamento ultimo.

Non è un buon segno per la profondità della vita cristiana quando la verità sovrana, maestosa, del Dio uno e trino viene messa da parte[4] .

Le riflessioni che seguono vorrebbero mostrare, con un esempio, quanto viva sia la relazione tra il più inavvicinabile di tutti i misteri e la nostra vita quotidiana: il dogma della Trinità come Magna Charta del dovere e della dignità di ogni comunità umana. Le forme che caratterizzano la comunità umana sono infinitamente varie: contatti sociali superficiali; rapporti puramente materiali appartenenti alla vita sociale ed economica; tipi diversi di relazioni familiari e parentali; infine le varie specie di rapporti basati sulla fiducia personale, dalla breve frequentazione fino alle forme più elevate, in cui due personalità affini allacciano e mantengono liberamente un legame di comunità: si tratta dell'amicizia come crescita di reciprocità nello spirito e nel cuore; il cameratismo come sviluppo comune delle stesse convinzioni, delle stesse mete e compiti, e il matrimonio con la sua compiuta unione di vita.

Se analizziamo queste relazioni comunitarie ne risulta che esse si basano su due opposti atteggiamenti e moti dell'anima.

Il primo è la «dedizione» (Hingabe). Una persona rende partecipe l'altro dei propri beni materiali, del proprio sapere, delle proprie esperienze e dei propri vantaggi sociali; con fiducia rende partecipe l'altro delle sue disposizioni intime; lo serve con altruismo e fedeltà, fino a che la dedizione giunge a compimento nell'indissolubile legame personale dell'amore. Questo movimento conduce, attraverso tutti i gradi dell'affetto, fino alle forme supreme dell'amore nell'amicizia, nel cameratismo e nel matrimonio. Qui ciò che era dell'uno diventa anche dell'altro. La dedizione completa, che non trattiene più niente solo per sé, ha creato una nuova unità che abbraccia le due personalità. Beni, speranze, preoccupazioni, sofferenze sono diventati comuni, perché per ognuno dei due il punto centrale della propria vita si è allontanato dal semplice "io" e si è avvicinato al "tu".

Quale significato rivesta questo rapporto per l'uomo risulta evidente. L'angusto cerchio del sé è spezzato. L'essere particolare, definito dalle inclinazioni personali, dall'educazione e dall'ambiente, si è aperto. Di norma il cerchio del sé oppone facilmente agli stati d'animo e ai pensieri altrui una naturale resistenza; ora è arrivato a riconoscere attraverso l'amore, il mondo interiore dell'altro. Si compie così quel peculiare processo dell'anima che è l'"adozione" della vita spirituale dell'altro. Attraverso la dedizione, il singolo percepisce se stesso nell'altro, partecipa direttamente alla vita dell'altro, sviluppa i propri pensieri a partire da quelli dell'altro; sente la gioia e il dolore altrui come propri. Attraverso questo processo il mondo individuale si sdoppia; i pensieri e gli stati d'animo altrui, spesso contrapposti, fecondano la propria esistenza. In tal modo questa si sviluppa in una pienezza e fecondità del tutto nuova, sostenuta dall'azione espansiva che deriva dall'autentico "dare del tu", dal superamento dell'egoismo. Naturalmente in questo moto dell'animo risiede anche un "pericolo": la fiducia piena può condurre infatti ad abbandonare cose che non possono essere cedute, poniamo, ciò che appartiene intimamente a una terza persona. Può togliere l'autonomia, può falsare il giudizio, allentare la volontà, annullare l'unità personale che ha fondamento in se stessa. Può indurre l'uno ad agire contro la propria coscienza per volontà dell'altro. Persone che stanno sotto l'esclusivo influsso dell'istinto comunitario perdono presto il vigore e l'originalità del loro essere; diventano banali e piatte. Divengono allora condizionanti tutti quegli insanabili influssi dell'istinto sociale, che Nietzsche designa con queste brevi parole: «la comunità rende comuni»[5] .

Ecco allora che questo moto dell'animo deve incontrarne uno opposto e opporgli resistenza: si tratta della tendenza dell'anima all'«attenersi a sé» (Selbsthaltung), al porre una distanza tra il sé e l'altro. Questa tendenza tutela il diritto alle proprie convinzioni, afferma l'indipendenza del giudizio, l'autonomia della decisione e della responsabilità. A ciò corrisponde nell'altro la «riservatezza» (Zurück-haltung) di fronte a quel confine che racchiude la personalità altrui come la propria; si esprime nel riguardo, che vieta a se stessi di influenzare il giudizio dell'altro, di agire facendo leva sui sentimenti, invece che sulle motivazioni, di esercitare pressioni sulla coscienza, di considerare l'altro come mezzo per un fine; si esprime nel profondo rispetto (Ehrfurcht), che non vuole ottenere, estorcere o carpire la comunicazione intima di sé, ma vuole accoglierla soltanto nell'atto di un libero dono. Il significato di questo atteggiamento dell'anima è espresso in quanto già detto. Su di esso si basa ogni autonomia, solidità, nobiltà ed energia formatrice della persona. Ma da solo anch'esso cela in sé un pericolo. Può rendere impossibile la comprensione; può produrre una riservatezza timorosa che non conduce al di là di sé, ad avvicinarsi all'altro, che non riesce più a dare né a ricevere. Questo atteggiamento può così rendere infine la comunità impossibile e l'uomo solo.

Per questo è necessario un "completamento", un gioco di correzione reciproca. Tuttavia questa "compensazione" delle anime non può essere concepita al modo delle forze naturali, come avviene in un sistema statico dove spinta e contro spinta mantengono il tutto in equilibrio. La compensazione non avviene "da sé", ma solamente sotto l'influsso di un potere morale vivente: "la volontà di comunità". La comunità non si compie attraverso la congiunzione di esseri naturali, ma attraverso la dedizione libera e reciproca di personalità morali. Essa è sorretta dalla volontà di raggiungere una forma di vita più elevata di quella raggiungibile come singoli individui. Il desiderio della perfezione, dell'elevatezza di un'esistenza moralmente nobile, in ultimo il desiderio forse inconsapevole di Dio, è ciò che spinge la personalità a uscire dalla ristrettezza del proprio sé e a darsi a un altro, per avvicinarsi alla compiutezza attraverso un movimento di espansione e di arricchimento reciproco.

L'idea di comunità regola il movimento dell'anima, caratterizzato dalla polarità di dedizione e conservazione, attrazione verso sé e mantenimento della distanza. Questa volontà esige da entrambe le personalità una fiducia reale, una comunicazione autentica del proprio patrimonio. Richiede che ognuno accetti l'altro con schietta disponibilità; insegna a riconoscere la propria indigenza; insegna a chiedere e a ricevere. La volontà di comunità esige che questa dedizione duri nel tempo e che non si lasci scoraggiare dalle difficoltà. Trasforma l'istinto naturale in azione morale di amore vero, gli dà il coraggio del sacrificio e la forza dell'umiltà, gli conferisce la costanza e l'esclusività della fedeltà. Attraverso questa volontà si compie la dedizione al dovere, e solo così si possono superare l'egoismo, la paura e la volubilità. Ma la stessa comunità esige che a costruirla sia un legame di personalità indipendenti. L'uomo non può mai essere per un altro uomo mezzo per un fine, ma solo fine in sé: la libertà della sua coscienza, del suo giudizio, della sua decisione non può essere violata. Intorno a ogni personalità c'è un cerchio sacro, che nessuno può oltrepassare, a meno che non si apra da sé; ma fino a un certo grado questo cerchio non può aprire se stesso senza profanarsi. E mentre la pura volontà di comunità eleva l'anelito alla dedizione libera, alla nobile aspirazione, alla fedeltà certa, crea un contrappeso a tutto questo nell'atteggiamento del rispetto profondo di fronte all'altro e del pudore spirituale di fronte alla propria personalità. Solamente questo contrappeso assicura il "compimento del senso di ogni comunità". La schietta dedizione spezza il blocco dell'individualità, espande l'"io" attraverso il "tu". Ma, di nuovo, solo il rispetto profondo e il pudore preservano l'anima dalla dissipazione e dalla perdita della propria dignità. Un movimento rende accessibile la ricchezza della vita comune; l'altro assicura la forma dell'atteggiamento interiore: solitudine e comunità; divenire un tutt'uno e mantenere le distanze. Solo da queste due tendenze nasce la compiutezza.

Sull'armonia di questi movimenti si basa la "bellezza" della comunità: forma limpida, nobile nella pienezza del dare e dell'accogliere. Se il termine "formazione" (Bildung)[6] ha un qualche significato, lo ha proprio qui, nel fatto che la forza della vita viene dominata da una sottile sensibilità per i limiti. È questa la urbanitas degli antichi, la "disciplina e la misura" (zuht und mâze) del Medioevo, che nella varietà dei rapporti sociali istituisce allo stesso tempo ponti e barriere tra gli uomini; il sentimento che in ogni situazione domina con sicurezza quel gioco di contrappesi delle forze che formano la comunità. La felicità o il dolore nell'uomo dipendono moltissimo dal fatto che egli assolva nel modo giusto il compito della comunità.

La sua vita può arricchirsi o intristirsi a seconda che l'uomo riesca o meno a stabilire con l'altro il giusto rapporto. Che cosa ha da dire a questo proposito "il mistero della Santissima Trinità"? Dobbiamo solo collocarlo entro le relazioni sopra descritte ed esso ci illumina quei rapporti con la sua luce.

C'è un solo Dio. Un'unica natura e un'unica vita divina. Il Padre le comunica totalmente al Figlio; il Padre e il Figlio allo Spirito Santo. Il Padre o il Figlio non trattengono nulla per sé. Il Figlio non respinge nulla del dono del Padre, lo Spirito Santo nulla dei suoi due donatori. Quello riceve dal Padre tutto ciò che Egli è e ha; questo riceve tutto dal Padre e dal Figlio. Le tre persone divine hanno tutto in comune: l'intera pienezza delle verità, tutta la nobiltà della santità, lo stesso splendore della bellezza, l'unica infinita ricchezza di beatitudine. Il Figlio è per il Padre comprensione totale; come perfetto amore li unisce lo Spirito Santo. Ciò che noi chiamiamo il primo movimento verso la comunità, la "dedizione", la tensione verso l'unità, raggiunge qui il suo grado assoluto: le Persone divine non sono legate tra di loro come avviene tra gli uomini nella misteriosa unione delle anime attraverso l'amore. Tra di esse regna una perfetta identità di tutto ciò che chiamiamo vita ed essenza, perché sono un solo Dio. Quel "dare del tu" dell'amore, che come scrive san Francesco di Sales «conduce al punto che l'uno possa dire all'altro "il mio cuore che è presso di te"»[7] , si trova qui realizzato senza alcun "per così dire", senza alcuna riduzione: Padre e Figlio e Spirito Santo vivono una e una stessa vita.

Allo stesso tempo, però, è presente nella Trinità al massimo grado di compiutezza anche l'altro movimento, l'attenersi a se stessi, la distanza delle personalità. Perché anche se tutto in essa è comune, non lo sono le Persone. Queste rimangono non mescolate, non scambiabili, del tutto inviolabili. Il Padre non è, in alcun modo, il Figlio, e da entrambi è inconfondibilmente distinto lo Spirito Santo. Questa è la perfezione della comunità. Amore, comunanza di tutto, fino all'identità dell'essere e della vita.

Ma allo stesso tempo perfetta custodia di sé da parte della persona. Alla perfezione di tale comunità corrisponde la sua "fecondità". Non un rapporto tra personalità estranee e già esistenti come tra gli uomini, bensì una comunità che, in un certo senso, genera se stessa. Perché proprio dalla pienezza della divina comprensione di sé, il Padre fa nascere il Figlio al possesso della stessa natura, e dalla forza infinita dell'amore reciproco Padre e Figlio generano lo Spirito Santo al possesso della medesima vita divina.

La Santissima Trinità è il mistero di tutti i misteri. Il nostro pensiero viene meno di fronte a esso, ed è facile che ci assalga la sensazione di pensare parole e non più cose. E tuttavia il solo, nel quale non riusciamo a guardare, getta la luce sulla nostra vita, e la getta proprio dal suo nucleo centrale: dal fatto che un Dio è in tre persone. La Trinitas Augusta ci insegna che mettersi in comunità significa essere pronti a dare tutto; significa aprirsi con schietta disponibilità per la pienezza dell'altro. La Trinità insegna che tutto, proprio tutto, potrebbe essere e, al massimo grado, dovrebbe essere comune. Una cosa non dovrebbe esserlo, e con ciò si contrappone alla dedizione il suo contrappeso: la personalità. Questa deve rimanere inviolata nella sua indipendenza. Il suo sacrificio non può essere né desiderato, né offerto, né accettato.

Con questo l'atteggiamento essenziale di ogni comunità è chiaramente circoscritto. La dedizione deve essere permessa e offerta nel modo e nella misura giusta, e imperfetta è quella comunità in cui uno nasconde se stesso e le sue cose all'altro. Ma il diritto alla personalità è sacro e inalienabile e deve rimanere in sé inviolato: non appena è varcato questo confine, una comunità diventa subito contro natura, immorale, di qualsiasi tipo essa sia.

Nel mistero della Santissima Trinità c'è la Magna Charta di ogni comunità umana. In tutte le sue forme la comunità umana è un vestigium Trinitatis, un'immagine riflessa della comunità divina della Trinità. Tuttavia questa è più che un semplice modello. In Cristo noi veniamo uniti da un nuovo legame che oltrepassa ogni realtà naturale. In lui, attraverso l'azione di grazia dello Spirito Santo, siamo rinati e fatti misteriosamente partecipi della stessa natura divina[8] . Siamo fratelli di Cristo, figli del Padre, e lo Spirito Santo è per tutti noi giuda ed amico.

Non riusciamo mai in realtà a capire come l'uomo possa essere nella grazia "partecipe della divinità"[9] e tuttavia rimanere creatura senza confusione alcuna. Riusciamo però a intuire che noi, uomini, ora diventati fratelli in Cristo, siamo uniti da un inesprimibile legame divino, della cui realtà prodigiosa san Paolo dice cose tanto profonde nelle lettere agli Efesini e ai Colossesi. Questa unità, che supera ogni affinità naturale, è misteriosa ma reale.

Solo questo legame della grazia dà agli uomini la forza morale di realizzare la meta essenziale della comunità, di diventare veramente una "traccia" vivente della Santissima Trinità. Dalla Trinità, in tal modo, deriva all'uomo non solo il modello della vita comunitaria, ma anche la forza per raggiungerlo. È la grazia che esercita la sua azione nel rispetto profondo con cui i figli di Dio «gareggiano nello stimarsi a vicenda»[10] , e nell'amore, nel quale «hanno tutto in comune»[11] .

 

Brano tratto da Romano Guardini, Opera Omnia VI, Scritti Politici, a cura di Michele Nicoletti, Morcelliana Editore, Brescia 2005. Su gentile concessione della casa editrice Morcelliana - Brescia, © Editrice Morcelliana, Via Gabriele Rosa, 71, 25121 Brescia

 

[1] Gilbert K. Chesterton, Orthodoxie, München 1909, p. 28

[2] Così, ad esempio, negli scritti di S. Bonaventura

[3] La Lex salica è la legge dei Franchi Salii, una delle fonti più antiche del diritto germanico, la cui più antica versione viene fatta risalire al Regno di Clodoveo agli inizi del VI secolo. Alcune redazioni della Lex salica risalenti al IX secolo si aprono con la formula «In nomine Sanctae Trinitatis»: Cfr. Monumenta Germaniae Historica, Legum Sectio I, IV, II (Lex salica), Hahn, Hannover 1969, 3 (N.d.C.)

[4] Pio X ha tolto dalla domenica le numerose feste che vi si celebravano e le ha ridato il suo significato peculiare partendo dal riconoscimento dei fondamenti della vita religiosa. Ora il giorno della Santissima Trinità ha di nuovo il posto preminente che gli spetta nella liturgia

[5] «Jede Gemeinschaft macht, irgendwie, irgendwo, irgendwann - "gemein"». Friedrich Nietzsche, Jenseits von Gut und Böse. Vorspiel einer Philosophie der Zukunft, 284, in Sämtliche Werke, hrsg. von Giorgio Colli e Mazzino Montinari, DTV, München 1993, 3. Aufl., Bd. 5, pp. 231-232; tr. it. di Ferruccio Masini, Al di là del bene e del male. Preludio ad una filosofia dell'avvenire, in F. Nietzsche, Opere, vol. 6.2, Adelphi, Milano 1976, pp. 198,199. Nella lingua tedesca il termine "gemein" significa sia "comune" che "volgare, vile" (N.d.C.)

[6] Il termine tedesco Bildung (da Bild = immagine, forma) significa "formazione", "educazione", "cultura". Guardini vuol sottolineare come tale processo spirituale sia propriamente un "dare forma" alla forza della vita che altrimenti resterebbe schiava di impulsi disordinati (N.d.C.)

[7] Cfr. Francesco di Sales, Introduction à la vie dévote: fac-simile de l'unique exemplaire actuellement connu de l'edition de 1619, pubblicata da Fabius Henrion, Tours, Paris, 1934, parte II, cap. II

[8] 1 Pt 1, 3

[9] «...divinitatis esse consortes...» dall'Ordo Missae, quando si mescola il vino con l'acqua

[10] Rm 12, 10

[11]At 2, 44

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Testo di Romano Guardini, Il mistero di tutti i misteri e la vita etica della comunità, «Oasis», anno III, n. 5, marzo 2007, pp. 68-71.

 

Riferimento al formato digitale:

Testo di Romano Guardini, Il mistero di tutti i misteri e la vita etica della comunità, «Oasis» [online], pubblicato il 1marzo 2007, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/il-mistero-di-tutti-i-misteri-e-la-vita-etica-della-comunita.

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