Nel suo ultimo libro Pierre Manent torna sulla marginalizzazione di Dio in Europa e ricorre a Pascal per rilanciare il tema della «questione cristiana»

Ultimo aggiornamento: 21/06/2023 12:25:56

Senza aspettare il 400° anniversario della nascita di Blaise Pascal, caduto il 19 giugno 2023, Pierre Manent ha pubblicato nel settembre 2022 con Grasset un cospicuo Pascal et la proposition chrétienne. La cosa può sorprendere. L’autore è noto come filosofo politico – è autore, in particolare, di una Histoire intellectuelle du libéralisme (1987, traduzione italiana del 2009) e di un Cours familier de philosophie politique (2001), editi entrambi da Fayard e successivamente ripresi in edizione tascabile – e finora non aveva mai affrontato questioni religiose. Eppure Manent, nato nel 1949 in un ambiente comunista, convertitosi durante gli studi, filosofo formatosi all’Ecole Normale di Parigi, nel suo Situation de la France (DDB, 2015), dopo aver stigmatizzato l’astenia dello Stato, minato dall’individualismo e dai comunitarismi (soprattutto quello islamico), aveva già sostenuto che tutte le società hanno bisogno di trascendenza o di spiritualità, che il politico è inscindibile dal teologico e che per sopravvivere la Francia dovrà riconoscersi «di impronta cristiana».

 

Il titolo del libro intriga: che cos’è «la proposta cristiana»? Non è un riferimento al Rapporto Dagens del 1994: Proporre la fede nella società attuale. Si tratta piuttosto della «scelta [offerta agli europei all’inizio della loro storia] di una vita di obbedienza filiale al Padre comune» e quindi di accettare o rifiutare la «possibilità di un Dio amico degli uomini». Tuttavia, afferma Manent, «da qualche tempo [...] l’Europa ha deciso di ignorare questa storia, di precludersi questa possibilità». È l’estensione della diagnosi sulla Francia fatta nel saggio del 2015. Questa volta però il politologo precisa che la decisione non è recente, né risale all’apparizione dell’anticlericalismo, ma è stata presa, quasi inavvertitamente, alla «metà del XVII secolo» con l’avvento dello Stato sovrano. Ed «è […] in questa congiuntura che Blaise Pascal ha pensato e riformulato […] quella che io chiamo la proposta cristiana, da intendersi come l’insieme dei dogmi o misteri cristiani in quanto offerti alla nostra comprensione e al consenso della nostra volontà, e che comportano una forma di vita specifica».

 

Pierre Manent riconosce che la situazione è evoluta dai tempi della Fronda, preludio al regno autocratico di Luigi XIV. La superiorità dello Stato assolutizzato su una Chiesa di cui esso ha fatto la propria serva ha condotto inizialmente (nel 1905) alla separazione che svuota di significato tale primato. Ultimamente, «la neutralità [religiosa] dello Stato si è estesa [a una] neutralizzazione della società stessa, a tutte le istituzioni fondate su una certa “idea del bene”», imponendo «una riforma morale permanente». Questo regime, aperto a tutte le possibilità, ne esclude una sola dal dibattito pubblico: quella della fede, perché «propone a tutti gli esseri umani di partecipare alla vita stessa di Dio legando la sua volontà alla volontà di Dio».

 

Non è altro, secondo Pierre Manent, che il dispiegamento di una logica individuata e denunciata da Pascal, la cui acribia intellettuale resta quindi pienamente attuale. Di fronte ai primi atei, agnostici e “amoralisti” (i “libertini”) Pascal non si è messo a dimostrare la verità del cristianesimo a suon di prove, ma ha presentato la fede come una possibilità che stimola la ragione critica (e quindi scientifica), fino al punto in cui quest’ultima non può che lasciare alla volontà la libertà di esercitarsi, avendo sufficiente conoscenza di che cosa è in gioco e delle contingenze.

 

Così nelle Provinciali il bersaglio sempre attuale è, ben al di là dei gesuiti del tempo, il loro lassismo, precursore del permissivismo di oggi: affrancandosi da regole di fatto non rispettate non si progredisce verso una libertà totale e definitiva, ma si è trascinati in una perpetua abolizione delle norme che finisce per instaurare una dittatura dell’arbitrario o dell’istantaneo, tanto repressiva da vietare di fatto l’obiezione di coscienza a pratiche che prima erano condannate e ora sono protette dalle leggi.

 

Pascal attacca anche la tesi cartesiana dell’uomo «padrone e possessore della natura», perché «stringe un’alleanza empia tra i due ordini, infinitamente distanti, della carne e dello spirito». Si discosta anche dalle teorie più o meno ciniche di Machiavelli e Hobbes, perché il politico non è del tutto razionale, ma poggia su un «gioco d’immaginazione», cioè sulla «strana facoltà […] per cui il rispetto [popolare] aderisce a un certo ordine delle cose», che il sistema sia elettivo o dinastico.

 

Sul piano strettamente religioso, resta l’ordine infinitamente superiore della carità, la cui gratuità non rinnega la razionalità ma la dilata. Pierre Manent fa emergere la «contemporaneità» di questo cattolicesimo, radicato nelle Scritture, compreso l’Antico Testamento, e la cui fonte sempre viva è l’ebraismo. Pascal si smarca nettamente dal «devoto», che «si preoccupa in maniera molesta o indiscreta dei buoni costumi o dell’ortodossia dottrinale dei suoi concittadini», perché «il cristiano perfetto […] sa che il grano e la zizzania crescono insieme e che è quanto meno imprudente, e forse empio, dare all’uomo sociale il mandato di compiere questa discriminazione, riservata alla giustizia divina».

 

Questa distinzione allontana nettamente Pascal dal rigorismo ossessionato dal peccato. Pierre Manent osserva come Pascal non tragga la nozione di concupiscenza (brama dei beni terreni) da sant’Agostino (a cui si rifà il giansenismo), ma dal Vangelo e, piuttosto che da san Paolo da san Giovanni, più precisamente da 1 Giovanni 2,16, più volte citato nei Pensieri. Infine, il penultimo capitolo, dedicato a Gesù, mostra quanto la fede di Pascal sia cristocentrica e vissuta in un rapporto personale con il Figlio che si umilia. Nella conclusione, “La paura e la gioia”, la prima viene dopo la seconda, come paura di perderla. Tutto questo, unito all’amore per i poveri mostrato concretamente fino all’ultimo respiro, giustificherebbe l’opinione di papa Francesco, che nel luglio del 2017, in un’intervista a Repubblica, aveva dichiarato: «Penso che meriti la beatificazione».

 

 

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