Il teologo ortodosso Georges Khodr sostiene la necessità di un passaggio da una cultura confessionale e sentimentale a una cultura patriottica della nazione

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 08:56:33

La versione integrale dell'articolo è contenuta nell'e-book Libertà religiosa e cittadinanza. Percorsi nella società plurale, realizzato nell'ambito del progetto Conoscere il meticciato, governare il cambiamento, sostenuto da Fondazione Cariplo. Fin dal 2008 Mons. Geroges Khodr sostiene che il sistema politico libanese non può dirsi democratico, criticando duramente il consenso inter-confessionale su cui si fonda. Nel gennaio 2010 le sue critiche si fanno più serrate. Per il metropolita, infatti, le due dimensioni dell’identità dei cittadini libanesi, quella confessionale (tâʼifî) e quella legata alla patria (watan) non solo non devono essere confuse, ma non si sarebbero mai dovute incontrare. A suo avviso il dialogo e la discussione politica attengono alla dimensione patriottica, che non deve avere alcun rapporto con le confessioni religiose di appartenenza, dal momento che queste ultime si collocano su un piano diverso rispetto al patriottismo nazionale (al-tawâʼif lâ wujûd lahâ wataniyyan, «le confessioni, dal punto di vista nazionale, non esistono»). Nel settembre del medesimo anno mons. Khodr ha ulteriormente approfondito il tema del sistema politico libanese e del suo equilibrio settario. Partendo dall’accordo di Tâ’if – il trattato che ha messo nel 1990 fine alla guerra civile - e dal passaggio del rapporto numerico tra cristiani e musulmani da sei a cinque a uno a uno, il metropolita esprimeva la sua ammirazione per le due grandi confessioni musulmane, sciita e sunnita, che ancora rispettavano tale decisione nonostante fossero divenute maggioritarie e potessero perciò disporre di una rappresentanza più consistente nel Parlamento e nella pubblica amministrazione. Ciononostante, ancora secondo Khodr, nessuna di queste confessioni aveva compreso che la soluzione ai problemi del Libano non sarebbe più potuta risiedere nell’equilibrio confessionale ma, piuttosto, in un sistema religiosamente e confessionalmente neutro. Khodr, peraltro, è ben cosciente che le milizie sciite della muqâwama (resistenza), sviluppatesi nel corso della guerra contro Israele (Hezbollah), fanno parte per molti del sentimento religioso sciita rendendo, perciò, molto difficile il loro assorbimento all’interno dell’esercito nazionale. Allo stesso tempo, però, vede anche nei maroniti la difficoltà di armonizzare la propria identità storica con le esigenze politiche del tempo presente. Khodr individua, cioè, un problema nel «maronismo politico» (mârûniyya siyâsiyya) che si auto-qualifica come rappresentante dei maroniti, e soltanto di questi, concepiti quale etnia nazionale. Per Khodr, i maroniti devono abbandonare questa visione politica e ritornare a essere, prima di tutto, una Chiesa orientale, in base al principio per cui, se si vuole un Libano per tutti, nessuna confessione può avere un programma particolare per sé e i propri fedeli. Ancora nel maggio 2012, Khodr ripeteva le sue critiche al Libano e al suo sistema politico confessionale settario. Per il metropolita si tratta di un sistema di creazione francese che consente alla umma libanese di sentirsi libanese e unita solo il giorno delle elezioni, quando tutti eleggono i propri rappresentanti lasciando poi che le divisioni settarie rendano i libanesi membri di popoli diversi in tutti gli altri giorni. In altre parole, il sistema libanese funziona bene soltanto in situazioni in cui la collaborazione commerciale ed economica sia redditizia. In queste condizioni, per Khodr, non è pensabile un cambiamento. L’unica riforma possibile sarebbe il suo superamento. Tuttavia, i libanesi non sono ancora pronti per questa eventualità. Khodr, che nei suoi scritti non lesina apprezzamenti per la cultura araba e l’arabismo culturale, non esita però a criticare duramente il nazionalismo arabo quale strumento di omologazione delle diversità religiose dei Paesi del Medio Oriente. Khodr conosce bene il legame tra arabismo e Islam e, dunque, dubita della possibilità che tale ideologia possa realmente diventare un terreno comune tra cristiani e musulmani. Sempre nel 2012, domandandosi nuovamente se l’arabismo potesse divenire un terreno comune, Khodr nota come esso sia, in realtà, una creazione cristiana con cui gli appartenenti a questa minoranza religiosa hanno cercato di affrancarsi dal governo ottomano. Nel medesimo articolo Khodr ricorda inoltre che l’arabismo è un’ideologia incompatibile con l’esistenza del Libano, nella misura in cui questo si fonda appunto sulla realtà di una nazione e di un popolo specificamente libanesi (javascript:format('em',true);umma lubnâniyya). Ciò che unisce: al-watan, l’appartenenza alla medesima terra Per il metropolita ciò che unisce davvero tutti i libanesi è la loro appartenenza storica, o radicata nella storia, alla medesima terra, che egli definisce watan, (“patria”). Afferma Khodr:

L’auspicio è che i maroniti, nonostante il loro grande merito nella creazione del Libano moderno, comprendano che essi non possono renderlo una proprietà esclusiva, ma devono consegnarlo agli altri, perché se gli altri non lo ricevessero in eredità lo rifiuterebbero e la storia delle origini contrasterebbe con lo sviluppo storico. Anche i musulmani devono capire che, in ambito civile, essi non sono «la miglior nazione mai suscitata tra gli uomini» e che anche altri «promuovono la giustizia e impediscono l’ingiustizia» (cfr. Cor. 3,110). Allo stesso modo occorre che i nazionalisti arabisti capiscano che l’arabismo è un gusto e un’eredità, ma non può essere una scelta obbligatoria per tutti. Noi siamo su questa porzione di terra e questa porzione di terra è in noi, perciò non inventatevi dispute accademiche, perché l’invocazione della storia, in verità, è un combattimento intorno al presente.

Possiamo riassumere questo pensiero attraverso due concetti: convivenza e condivisione. Nel 2006, il metropolita aveva affermato che la vita consiste necessariamente nel vivere con l’altro: l’individualismo chiuso in se stesso si trasforma infatti in morte per tutti. La convivenza porta alla condivisione in quanto nessun gruppo, nel vivere insieme (al-ʻaysh al-wâhid), può ignorare o prevaricare l’altro. Mons. Khodr ha salutato, così, con soddisfazione il discorso di intronizzazione del patriarca maronita Mar Béchara Boutros Raï del 15 marzo 2011, nel quale il nuovo patriarca aveva sostenuto che la frase «le è data la gloria del Libano» contenuta in Isaia 35,2 e spesso ritenuta dai maroniti come riferita a una loro propria, esclusiva, gloria, non sarebbe in realtà interpretabile in questo senso. Il metropolita greco-ortodosso del Monte Libano ha colto in tale discorso un’apertura da parte della Chiesa maronita a intendere la gloria del Libano come riferita a tutti i libanesi. Ma come arrivare a tale convivenza e come possono tutti i libanesi sentirsi membri e cittadini, a ugual titolo, del medesimo Libano quale loro patria? A tale domanda il metropolita risponde in vari articoli. Come si è visto, per Khodr la prima condizione è il superamento del sistema confessionale. Ma questo non basta, perché da solo non risolve il problema della politicizzazione delle confessioni religiose, che Khodr considera una tragedia. La strumentalizzazione politica delle confessioni trasforma queste ultime da espressioni spirituali in centri di interessi mondani, con la conseguenza di spingere ciascuna confessione a un’autoaffermazione egemonica. Per liberarsi dalla tentazione politica, dunque, le confessioni religiose devono riformarsi internamente allo scopo di contribuire alla nascita di una vera patria per tutti. In un altro articolo del 2009 Khodr sosteneva la necessità di un passaggio da una cultura confessionale e sentimentale a una cultura patriottica della nazione (hadârat al-watan al-kull al-watanî). Si tratta di un invito spirituale, di un appello a chi, colto e istruito, può assumere ruoli sociali, politici, amministrativi con lo spirito di attuare tale missione. Una società sana, afferma Khodr nel giugno 2010, si fonda su tre dimensioni:

  1. la religiosità, che deve avere un solo compito: la crescita spirituale e la purificazione delle anime;
  2. il patriottismo, privo di qualsiasi settarismo e indipendente da qualsiasi politicizzazione della religione o della cultura e teso soltanto al servizio e all’amore per la patria;
  3. la neutralità, che non fa distinzione tra i suoi cittadini ma ne afferma l’uguaglianza indipendentemente dalla religione o confessione di appartenenza.

In altre parole, il Libano ha bisogno sia di «una liberazione della patria dal peso delle confessioni, sia di una liberazione della fede dalla politica» e anche, come aveva affermato già nel 2009, di un’autocritica spirituale e storica delle confessioni religiose chiamate a superare il loro confessionalismo politico.