Occorre porre fine al discorso reattivo che contribuisce alla diffusione del discorso ideologico in voga sul mercato dell’estremismo

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 08:55:47

Attraverso la Conferenza del Cairo e la partecipazione di più di 200 personalità da oltre 60 Paesi, l’università al-Azhar e il Comitato dei saggi musulmani vanno in soccorso a un mondo arabo tormentato. La presenza libanese con dignitari e personalità di alto livello conferma il ruolo e il messaggio del Libano quale esempio normativo in un ambiente ostile o in transizione democratica. I discorsi inaugurali aprono la conferenza dopo diverse dichiarazioni recenti di al-Azhar. Si tratta di “riformulare il messaggio dell’Islam” (imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb), “intraprendere un’azione comune al livello delle istanze religiose e civili e squarciare il velo dell’inganno” (Patriarca maronita Bechara al-Raï), “liberare la religione dalla conflittualità politica” (Shaykh Abdul Latif Derian, Gran Muftì del Libano), “far sì che al-Azhar torni a essere il riferimento supremo per tutti i musulmani nelle nostre società aggredite, come è stato ed è ancora il caso della Palestina” (Shaykh Ahmad Kabalan, sciita), “promuovere un discorso moderno illuminato” (Papa Tawadros II), “riconoscere e praticare il primato della legge” (Ahmed Aboul Gheith, Segretario generale della Lega araba), all’inizio del XXI secolo “in cui il pluralismo religioso diventa universale” (Bistop Cebus Sarkissian). L’urlo straziante dei rappresentanti iracheni aggiunge alla pertinenza degli interventi la sofferenza quotidiana del popolo iracheno. La politologia della religione Tutto ciò significa forse che al-Azhar stia tentando di riprendere un ruolo politico nel senso convenzionale di un tempo? Niente affatto. L’affermazione è categorica: “Nessun ruolo politico nel senso di potere da parte di al-Azhar, la quale esercita una magistratura morale in vista della cittadinanza, della pace civile e della convivenza”. Le atrocità che hanno luogo sono definite “crimine” e non estremismo islamico, politica islamica o, peggio, Stato Islamico (Gregorio Laham, Patriarca melkita). Al-Azhar peraltro non parla mai di Stato religioso, ma ha il senso dello spazio pubblico e della politica religiosa nella sfera pubblica (Ridwan al-Sayyid, intellettuale libanese). Le tanto inquinate nozioni di “Gente del Libro” (Muhammad al-Sammak, intellettuale libanese), di sharī‘a (prescrizione religiosa) come fonte valoriale di legislazione, e tashrī‘ (legge) come fonte esecutiva del diritto, meritano di essere sviluppate in profondità. Come conciliare la sharī‘a con la cittadinanza? (Gregorio Laham). Nel futuro occorrerà sicuramente distinguere tra due componenti della cittadinanza: il piano giuridico dell’uguaglianza dei diritti, della libertà e della partecipazione, e quello della cultura della cittadinanza, dei comportamenti civici e della socializzazione delle nuove generazioni. Si sottolinea poi che “la cittadinanza si fonda sull’istruzione” (Khaled Ziadé, diplomatico libanese) e che sarà necessario “ripensare i programmi d’insegnamento” (Mar Louis Raphäel Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei). Dal 2013 sono stati formati comitati per perseguire questo obiettivo, compresa la riforma dei programmi di al-Azhar. Un insegnamento religioso dogmatico, spesso privo della spiritualità della fede, non contribuisce alla formazione dei giovani. Saranno soprattutto la necessità di reti e di partenariato a consentire di operare dei cambiamenti concreti, perché “dobbiamo collaborare per un futuro comune” (mons. Paul Matar, Arcivescovo di Beirut dei Maroniti). Si tratta di “costruire dei ponti tra al-Azhar, la Chiesa e le istituzioni cristiane” (Ibrahim Isaac Sidrak, Patriarca d’Alessandria dei copti) e “radicare la partecipazione cristiana” (rev. Habib Badr, Chiesa nazionale evangelica di Beirut). Ridwan al-Sayyid sottolinea che “siamo responsabili, ma dire che non stiamo lavorando non è corretto”. Nell’ottica futura l’Egitto occupa un ruolo di pioniere, come il Libano – “polo di incontro dei libanesi, diversi e complementari, che gli ha consentito di risollevarsi dalle catastrofi” (Hares Chehab, Segretario generale del Comitato nazionale islamo-cristiano per il dialogo). Un partecipante giordano dice: “Quando i maroniti sono stati tacciati d’isolazionismo ho iniziato a preoccuparmi” (Saleh al-Kalab, ex-ministro dell’Informazione e della Cultura giordano). A dispetto del complesso di inferiorità di intellettuali e accademici che propagano un’ideologia alienata e alienante del nation-building, il Libano rimane normativo nonostante le molte rigidità e l’azione laboriosa di esperti nel manipolare il pluralismo con il pretesto della partecipazione, del consenso e del dialogo. Occorrerà anche pensare a un progetto arabo di rinascimento, “essere all’altezza delle sfide del nostro tempo, mettere in pratica la verità, vivere in un tempo di cambiamento” (Vittorio Ianari). Il rappresentante di Sant’Egidio pone infine la questione se dopo Il dramma dell’umanesimo ateo (opera di Henri de Lubac, 1944) e il declino di tutte le ideologie, “sia possibile all’inizio del XXI secolo fondare un umanesimo senza la fede”. Che fare? La Dichiarazione di al-Azhar del 1 marzo 2017, letta e proclamata dall’imam di al-Azhar in persona al termine della conferenza, promuove nel mondo l’arabo, nelle università e nella ricerca, nelle azioni delle istanze religiose, civili, culturali ed educative, nei media e nei dialoghi islamo-cristiani sette prospettive di lavoro.

  1. Promuovere un discorso nuovo, portatore di novità e autenticità. Si tratta di porre fine al discorso reattivo che, per quanto sia ben argomentato, contribuisce alla diffusione del discorso ideologico in voga sul mercato dell’ignoranza e dell’estremismo. Questa prospettiva si rivolge principalmente agli accademici, agli intellettuali, ai ricercatori e ai giornalisti che, sprovvisti di idee nuove e profonde, rimuginano, ricamano e reagiscono a quello che dicono gli altri. Stato “islamico”, tre “D” dell’Islam (Dīn, Dunya, Dawla, ovvero religione, vita temporale, stato), confessionalismo, comunitarismo, settarismo: sono slogan lanciati nelle tesi e nei convegni che creano tanto trambusto per nulla. Basta!
  2. Ognuno è responsabile della propria immagine. Basta con l’islamofobia, con l’immagine negativa dell’Islam, con l’accusare gli altri di diffondere un’ideologia e un’immagine negativa dell’Islam nel mondo! Scaricare la responsabilità sull’altro è un pretesto. Correggere un’immagine alterata dell’Islam presso gli altri e produrre libri e manuali per migliorare la comunicazione serve soltanto a de-responsabilizzarsi. Ognuno è responsabile della propria immagine. Friedrich Nietzsche a proposito dei cristiani diceva: “Perché io possa credere al loro Salvatore dovrebbero avere l’aria da salvati”. Ciò significa che l’Islam e i musulmani devono riflettere su loro stessi.
  3. La gerarchia dei valori nell’Islam. Non possiamo continuare a parlare alla rinfusa dei valori nell’Islam e a produrre, spesso con buone intenzioni, manuali di pedagogia interculturale per la conoscenza reciproca senza vivere e approfondire il problema centrale della gerarchia dei valori nell’Islam. A che cosa serve se due sposi hanno cento valori in comune, ma la moglie perdona mentre lo sposo è vendicativo? Al vertice della gerarchia dei valori dell’Islam c’è la rahma (misericordia). Infatti la giustizia (‘adl) senza misericordia sfiora l’ingiustizia (summum ius, summa iniuria – recita l’adagio romano). La tolleranza (musāmaha) senza misericordia diventa compiacenza e cortesia sociale. La pietà (taqwā) è per sollecitare la misericordia. La libertà (hurriya) può deviare dalla sua finalità e ritrovare la sua rettitudine nella misericordia. L’amore cristiano e la misericordia musulmana sono le due espressioni di uno stesso valore trascendente.
  4. La distinzione nell’Islam tra mu‘āmalāt (organizzazione sociale) e ‘ibadāt (culto). Per la natura stessa delle cose, è tempo ormai di operare questa netta distinzione, altrimenti come risolvere problemi concreti e spinosi riguardo la famiglia, la condizione della donna, l’uguaglianza, la successione dei beni, le abitudini alimentari e dell’abbigliamento? Questa prospettiva si colloca pienamente nell’esigenza di tafakkur (l’equivalente di ripensare, riprendere il proprio pensiero, secondo l’espressione di Paul Valéry). Il termine “tafakkur” ricorre decine di volte nel Corano.
  5. La nascita del principio di legittimità nell’Islam e nella storia del mondo arabo. Questa nascita, fenomeno antropologico naturale in tutte le società, è stata spesso occultata. Ciò ha creato confusione tra sharī‘a e tashrī‘ (legislazione), anche tra gli esperti e nei lavori accademici. La legge in quanto testo esecutivo, positivo e imperativo è una produzione esclusivamente umana, le cui fonti sono religiose, filosofiche, ideologiche… L’approccio storico e pragmatico in vista dell’acculturazione del diritto genera conseguenze gravi nella scrittura della storia del mondo arabo, nella socializzazione del diritto e nell’educazione alla cittadinanza.
  6. Chi sono i munāfiqūn (ipocriti, impostori)? Il termine compare quasi venti volte nel Corano senza che gli esegeti abbiano approfondito più di tanto chi sono gli impostori, come è il caso di molti farisei e dottori della Legge nel Vangelo. Oggi, con il declino delle grandi ideologie di un tempo, gli impostori e i mercanti del tempio hanno invaso e invadono tutti i templi in una politologia della religione che non ha nulla a che vedere con la religione e la fede.
  7. Il patrimonio musulmano e arabo di gestione del pluralismo religioso e culturale. Questo patrimonio, non insegnato nelle università, denigrato da un’ideologia alienata e alienante di nation-building, infarcito degli slogan del confessionalismo, del comunitarismo e del settarismo lanciati da intellettuali e accademici perseguitati da un complesso di inferiorità, è completamente sfasato rispetto alle esigenze diverse e multiple di gestione del pluralismo religioso e culturale nel mondo odierno.