Luciano Fontana, direttore del Corriere ella Sera, introduce alla lettura di Oasis, richiamando l’importanza di mezzi di approfondimento per contrastare il contagio della paura del diverso, senza perdere il senso del valore della verità.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:10:39

Per prima cosa, desidero fare i miei auguri a tutti voi e a Oasis per questa nuova avventura. Chi come me viene da un quotidiano è abituato a uno standard mediatico abbastanza diverso da quello proposto da Oasis, soprattutto in una fase in cui l’informazione fatta da tanti mezzi che ogni giorno ci travolgono. Siamo come sotto assedio, quasi presi d’assalto dalle notizie che ci arrivano da ogni punto dell’universo, attraverso tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione. Questo comporta un tipo di informazione che è spesso frastuono e semplificazione. Lo diciamo spesso parlando di Twitter, che è uno straordinario mezzo di comunicazione. E tuttavia interpretare il mondo in 140 caratteri rimane rischioso, perché spesso si ricorre a facili parole d’ordine o si urlano slogan in una sorta di pura competizione verbale. La sfida di un giornalismo più approfondito nella dimensione quotidiana fa riflettere tutto il mondo dei quotidiani, che continuamente si interrogano: come deve essere fatto oggi, in questo frastuono informativo, un quotidiano? Non sono un giornalista esperto dei temi di Oasis, ma devo dire che imbattendomi in uno strumento come questo, che per la sua cadenza semestrale porta a ragionare, ho trovato una buona combinazione di elementi: approfondimenti storici, documenti che portano alla radice delle problematiche in atto nella regione mediorientale, interviste legate all’attualità, il reportage, ottimo esempio di giornalismo moderno specialmente nella sua parte fotografica, infine schede dettagliate e serie che aiutano ad andare in profondità. Davvero un buon lavoro. Essendo un semestrale è certamente costruito per favorire la riflessione, ma è anche accompagnato da un lavoro che non vuole essere inattuale, grazie a una serie di strumenti e piattaforme digitali che offrono un’informazione più quotidiana e riescono a offrire una proposta complessa che comprende lo studio, l’approfondimento, ma soprattutto di dialogo. Nella presentazione di questa rivista mi ha colpito lo spirito di Oasis, che non è quello di parlare di musulmani ma con i musulmani: un radicale cambio di prospettiva. Infatti, solo nel dialogo e nella comprensione delle ragioni degli altri si riescono a trovare le soluzioni per uscire da un confronto che spesso presenta le caratteristiche della paura. Leggendo i contenuti di questo primo numero rinnovato, si nota che la paura è il tratto distintivo del nostro rapporto con l’Islam per diversi motivi. Il più banale è il fatto che ci confrontiamo con una religione e un modo di approcciarsi al mondo e alle istituzioni che per alcuni aspetti ci è lontano e spesso lo combattiamo. Il secondo è la paura di un conflitto che sta assumendo un carattere globale e ha molte declinazioni: attentati suicidi, attacchi contro le nostre città, dal 2001 fino a Parigi 2015, e da ultimo la nascita dello Stato Islamico in Medio Oriente, luogo in cui l’Occidente ha sicuramente fatto molti errori di valutazione e d’intervento. Questa paura si declina anche nel difficile rapporto che abbiamo con le persone che scappano da quello stesso conflitto: l’immigrazione è uno degli aspetti che in Italia, prima frontiera della fuga dalle zone di guerra, sta generando scontri nelle comunità locali e con il resto dell’Europa. Nelle analisi che ho letto su Oasis è molto interessante capire l’origine di questa paura. Il mondo islamico non è unitario, non esiste un’interpretazione monolitica dell’Islam e molte delle cose che fanno paura a noi, spaventano in realtà anche i musulmani. Un esempio su tutti sono le persecuzioni e i conflitti all’interno del mondo musulmano. Cerchiamo, però, anche di ragionare sulle responsabilità che ricadono su noi occidentali in questa situazione e vorrei per questo chiedere un contributo anche agli altri relatori. Gli esiti di eventi, come, ad esempio, le primavere arabe e i processi di democratizzazione, dipendono anche da noi: perché sono finiti in questo modo? In quanto Occidente, ci ritroviamo spesso a rimpiangere alcuni dittatori, come Gheddafi, che preferivamo rispetto alla situazione attuale, critica e fuori controllo; quanti rimpianti abbiamo per personalità tiranniche, spesso feroci, che hanno contribuito a determinare le basi e l’humus fertile per quei conflitti che oggi ci stanno travolgendo. Infine vorrei proporre un ultimo tema: il meticciato. Chiederei anche al Cardinal Scola di spiegarmi meglio il senso di questa categoria, che implica il sapersi confrontare con società meticce. È un punto interessante che porta alla radice del dialogo con gli altri e della comprensione dell’altro, con un altro che ci spaventa. Si tratta di un tema molto interessante in una situazione come quella italiana, dove il rapporto con l’Islam viene affrontato nelle competizioni elettorali in maniera troppo sbrigativa, sloganistica e tranchant, sventolando parole d’ordine forti, senza proporre soluzioni vere e proprie. Mi è molto piaciuto il reportage dalla città del Kurdistan iracheno, Erbil, perché nel dramma che vive questo Paese, ciò che colpisce maggiormente noi cattolici è una delle derive più terribili di questo conflitto: le persecuzioni che le religioni, soprattutto quella cristiana, subiscono nella regione mediorientale. In una tale complessità di temi, segnati dalla paura, sapere andare alla radice dei problemi e conoscere il contesto storico può certamente aiutarci a comprendere e darci la speranza che qualcosa possa svilupparsi anche in un modo diverso. Per ricevere una copia della rivista o sottoscrivere un abbonamento, clicca qui.