Una guida ai fatti della settimana nel Mediterraneo allargato e nel mondo musulmano attraverso la stampa araba

Ultimo aggiornamento: 25/07/2025 10:25:55

Le immagini di bambini e adulti palestinesi ridotti alla pelle e ossa a causa dell’assedio israeliano a Gaza hanno suscitato una reazione di sdegno unanime nella stampa araba. Sul quotidiano indipendente con sede a Londra al-Quds al-‘Arabi, lo scrittore yemenita Mohamed Jamih denuncia l’indifferenza deliberata della comunità internazionale verso le voci dei palestinesi affamati: «Sappiamo solo quel poco che i media riescono a riportare: chi ha fame è senza lingua, e chi è sazio è senza orecchie. E anche se l’affamato potesse parlare, il sazio non rovina il proprio appetito con le parole amare di chi soffre». Jamih si sofferma su quella che definisce «la frase straziante» del giornalista di al-Jazeera Anas Sherif da Gaza: «Barcollo dalla fame», e prosegue lo scrittore: «Un cronista che dovrebbe raccontare il genocidio della fame, si ritrova lui stesso senza cibo, barcollante, come se stessimo assistendo a un film il cui autore è immerso in un incubo».

Sulla testata vicina al Qatar al-Arabi al-Jadid, le critiche si concentrano sui paesi arabi «le cui posizioni hanno superato la resa e la complicità, trasformandosi in un entusiasmo militante al fianco di Israele», afferma l’intellettuale sudanese Abdulwahhab al-Afandi. Pur non esentando la comunità internazionale dalle sue responsabilità, al-Afandi sottolinea che «la complicità araba è doppia, per molteplici ragioni: ha spianato la strada all’estremismo sionista; ha mancato di assumere una posizione chiara; ha partecipato attivamente nel facilitare l’accesso sionista a territori, porti e spazi aerei arabi; e ha infine represso ogni gesto simbolico di solidarietà verso i palestinesi».

Secondo l’autore, il terrore scatenato dalle primavere arabe ha annientato ogni senso di umanità nei leader della regione, ormai arroccati al potere. In questo clima, aggiunge l’articolo: «I leader arabi ritengono che soffocare i palestinesi di Gaza sia un prezzo accettabile pur di proteggere troni decadenti, nella vana speranza di conquistare il favore di popoli addomesticati, incapaci di ordinare il bene o proibire il male».

Sempre su al-Arabi al-Jadid, il giornalista egiziano Ahmed al-Gendi, con un approccio analitico, sottolinea come Israele sembri ormai ignorare il peso dei suoi storici partner arabi, come l’Egitto e la Giordania: «Tutte le dichiarazioni israeliane sull’espulsione dei palestinesi nel Sinai – percepita come un piano concreto di pulizia etnica – rivelano la volontà di imporre soluzioni che minacciano direttamente la sicurezza nazionale egiziana».

Secondo l’articolo, non è da escludere che l’Egitto possa essere preso di mira, perché «qualsiasi sua presa di posizione – che riguardi il gas nel Mediterraneo, un’alleanza con la Turchia, o anche solo decisioni autonome in difesa della sicurezza nazionale – potrebbe fornire a Israele il pretesto per un confronto rimandato nel tempo».

Al-Gendi, mettendo in guardia da letture allarmistiche, chiarisce che uno scontro militare tra Egitto e Israele non è necessariamente imminente. Tuttavia, aggiunge: «L’atteggiamento di Tel Aviv suggerisce che l’accordo di pace di Camp David non è più sufficiente per garantire la neutralizzazione del fronte meridionale di Israele. E anche se Israele oggi non combatte militarmente contro l’Egitto, questo non significa affatto che il Cairo sia escluso dai suoi calcoli per minacce future».

Anche la testata filo-islamista Arabi21 si è soffermata sul ruolo egiziano. In un articolo intitolato “Aprite il valico di Rafah, lo scudo strategico egiziano”, lo scrittore Mostafa al-Khedri descrive Gaza come un «pilastro della sicurezza nazionale egiziana», e sostiene che il Cairo dovrebbe sostenere «la resistenza». Non si tratta di una manovra tattica momentanea, precisa l’autore, ma «di una strategia esistenziale che protegge i confini e la stabilità dell’Egitto, rafforzandone il ruolo regionale. La sicurezza dell’Egitto inizia dalla sicurezza di Gaza, e la vita degli egiziani è strategicamente legata a quella dei palestinesi di Gaza».

In un altro articolo su Arabi21, lo scrittore Ahmed Abdelaziz rivolge «un ultimo appello» dai toni duri al grande Imam di al-Azhar, Ahmed al-Tayyib, che aveva pubblicato – e poi rimosso – un comunicato a sostegno della popolazione di Gaza. Abdelaziz critica duramente l’invocazione dell’Imam affinché la comunità internazionale si attivi per far entrare gli aiuti: «A quanto pare, l’Imam di al-Azhar ha dimenticato di essere egiziano, e di vivere in un Paese in cui il valico di Rafah è chiuso per ordine del suo “re”. Sembra si sia anche dimenticato che l’unico Stato a confinare con Gaza è proprio l’Egitto». Lo scrittore conclude con una richiesta estrema: «Grande Imam, rimedia all’errore commesso il 3 luglio 2013 [quando al-Tayyib appoggiò la destituzione del presidente Morsi] annuncia al popolo la chiamata in aiuto di Gaza, e verranno da te camminando, da ogni parte».

Toni molto diversi emergono invece nella stampa saudita ed emiratina. Sul quotidiano al-Sharq al-Awsat, lo scrittore sudanese Othman Mirghani sposta l’attenzione dai paesi arabi alle responsabilità occidentali, criticando le «coscienze internazionali» e denunciando il ruolo dei media occidentali che «nonostante i massacri quotidiani e le violazioni documentate, esitano a criticare Israele. Spesso adottano la sua narrazione o usano un linguaggio “equidistante” che non descrive accuratamente la realtà, mettendo allo stesso piano il carnefice e la vittima».

A esasperare ulteriormente rabbia e frustrazione, aggiunge Mirghani, sono i doppi standard occidentali: «Se il mondo si è mobilitato in fretta per sostenere l’Ucraina, Gaza non ha ricevuto lo stesso grado di solidarietà morale e umana nei meandri della politica internazionale. Anzi, ha conosciuto solo silenzi, giustificazioni, e condanne che non arrivano mai a un livello d’azione capace di fermare una delle peggiori catastrofi umanitarie e delle più brutali atrocità degli ultimi decenni».

Sulla testata filo-emiratina al-Arab, invece, lo scrittore palestinese Fadel al-Munasfa afferma la necessità di fermare la guerra a prescindere dal futuro politico di Hamas. Secondo l’articolo «l’insistenza nel legare il cessate il fuoco al completo ritiro israeliano dalla Striscia – un punto che spetta ai negoziati finali – blocca tutto e tiene i palestinesi in ostaggio di un gioco che non è il loro». Al-Munasfa aggiunge che la popolazione a Gaza è esausta: «Gaza è stanca dei governi ombra e dei progetti di resistenza che non producono altro che nuove tombe».

Infine, sul quotidiano emiratino al-Ain al-Ikhbariyya, Ali Mohamed al-Amerey propone una lettura diversa, quasi avulsa dalla carneficina in corso. L’autore elogia le missioni umanitarie degli Emirati Arabi Uniti, in particolare la nave Khalifa al-Insaniyya 8, con il più grande carico di aiuti mai inviato da Abu Dhabi verso Gaza. Scrive: «La Khalifa al-Insaniyya 8 non è solo una nave, ma un simbolo arabo che supera confini e calcoli. Salpa da Abu Dhabi verso Gaza carica di cibo, ma porta anche un messaggio: che la Umma non muore finché esistono uomini che si prendono a cuore il dolore degli oppressi e soccorrono i colpiti, senza elemosina e senza contropartite». Al-Amerey conclude onorando il proprio paese: «Onore al popolo degli Emirati, e alla sua guida, per questa gloria umanitaria immensa. In un’epoca d’impotenza, una nave emiratina ha preso il largo per dire: “Noi siamo con l’essere umano… senza condizioni, né riserve”».