Le elezioni della Knesset costituiscono un passaggio decisivo per il futuro del Paese e per tutto il contesto mediorientale. I cristiani sono provocati da un lato dall'iniziativa del Governo israeliano che ha creato la nuova nazionalità degli aramei per tentare di includerli, e dall'altro dal primo esperimento elettorale di una lista unica di arabo-palestinesi.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:11:05

Il 17 marzo sarà un giorno decisivo per Israele. Le elezioni della XX Knesset sono infatti un passaggio importante per la futura politica interna ed estera del Paese e uno snodo fondamentale per il suo ruolo nell’arena politica del Vicino Oriente. Per capire la posta in gioco, è utile un passo indietro. Tempo fa i partiti di estrema destra, come Yisrael Beiteinu, hanno proposto una modifica alla legge elettorale della Knesset, volta ad innalzare la soglia di sbarramento dal 2,25% al 3,25%, a danno dei partiti più piccoli e delle diverse minoranze (nazionali e politiche). Lo scopo dichiarato della misura era “purificare” la Knesset dall’instabilità politica; ma altri analisti hanno denunciato il rischio per la democrazia stessa del Paese, in quanto si riduceva o addirittura eliminava la possibilità per gli arabi palestinesi, cittadini di Israele, di essere rappresentati a tutti gli effetti nella Knesset. Dopo un grande dibattito, la modifica di legge è stata accolta, l’opposizione ha fatto ricorso al Tribunale supremo d’Israele, che tuttavia lo scorso marzo ha rigettato il ricorso. A fronte di tale decisione, per la prima volta nella storia politica arabo-israeliana, i partiti arabo-palestinesi hanno deciso di presentarsi alle elezioni in una lista elettorale unica (al-Qa’ima al-Mushtaraka), comune a tutti i partiti arabi in Israele, ovvero al-Jabha (Il fronte [democratico]), al-Tajammu‘ (Il raggruppamento), al-‘Arabiyya li l-taghyir ([Il movimento] arabo per il cambiamento) e al-Haraka al-Islamiyya (Il movimento islamico). Una simile scelta ha scatenato grandi polemiche da parte dei partiti ebraici di estrema destra, che ne hanno chiesto l’esclusione dalla corsa elettorale. Ma il ricorso ha dato ragione ai partiti arabo-palestinesi che, per la prima volta, potranno partecipare compatti alla competizione elettorale. Tuttavia all’interno dello schieramento arabo-palestinese, in particolare nella comunità cristiana, si è creata una divisione, in gran parte per effetto dei giochi politici dell’attuale governo israeliano. Netanyahu, infatti, ha iniziato a incoraggiare in modo sistematico i giovani cristiani a partecipare al servizio militare, sottolineando come una simile iniziativa favorirebbe il senso di appartenenza a uno stesso popolo e quindi permetterebbe un’autentica integrazione degli arabo-palestinesi nel resto della popolazione del Paese. Una propaganda che è riuscita a creare una spaccatura tra arabi cristiani e arabi musulmani che vivono in Israele. Il culmine si è toccato con la creazione da parte di Israele di una nuova nazionalità, quella “aramaica”, riferita soltanto ai cristiani. La decisione è stata presa in una fase in cui il governo cercava di far approvare una legge che definiva Israele come lo Stato-nazione del popolo ebraico e ha contribuito a dividere i cristiani. Da una parte infatti vi sono coloro che si sentono membri della nazionalità arabo-palestinese, sono contrari all’arruolamento nell’esercito israeliano e si oppongono alla definizione di “aramei”; dall’altra coloro che hanno invece accettato di sostituire nelle loro carte di identità la nazionalità araba con quella aramaica e hanno raccolto la chiamata alle armi dell’esercito israeliano. In questo dibattito va tenuto presente il contesto generale del Vicino Oriente, che spaventa anche i cristiani d’Israele. Gli aramei sfruttano questo clima per incoraggiare i propri fratelli cristiani ad entrare nelle file dell’esercito e ad integrarsi nella comunità ebraica, staccandosi da quella araba-palestinese, in modo da sentirsi protetti e cittadini a pieno titolo del Paese in cui vivono. Da questa prospettiva pertanto la definizione di “arabo” viene a coincidere con “musulmano”. Tra l’altro gli aramei denunciano la presenza nella lista elettorale comune arabo-palestinese - che potrebbe diventare la terza forza nella nuova Knesset - del Movimento Islamico, che non si può certo definire amico dei cristiani, come dimostra, ad esempio, il cartello affisso a Nazareth lungo la salita alla cattedrale dell’Annunciazione. Sistemata là dagli islamisti - che peraltro auspicano l’arrivo del califfo in Palestina e la presa di Gerusalemme - l’insegna riporta (in inglese) un versetto coranico dal chiaro tenore polemico: «O Cristiani! Non siate stravaganti nella vostra religione e non dite di Dio altro che la verità! Che il Cristo Gesù figlio di Maria non è che il Messaggero di Dio, il suo Verbo che egli depose in Maria, uno Spirito da lui esalato. Credete dunque in Dio e nei suoi messaggeri e non dite: Trinità! Basta! E sarà meglio per voi! perché Dio è un Dio solo, troppo glorioso e alto per avere un figlio!» (Cor. 4, 171). Stando così le cose, è chiaro che per tanti cristiani risulta molto difficile votare esponenti di un movimento noto per le proprie posizioni fondamentaliste. E su questo insistono i partiti ebraici di estrema destra, attraverso la propaganda degli “aramei” e del Forum, al fine di far fallire una lista che avrebbe grandi possibilità di entrare nel nuovo governo. Gli altri partiti della lista comune, purtroppo, non prendono posizione serie contro le dichiarazioni fondamentaliste del Movimento Islamico e non solo non risolvono il problema, ma anzi tendono a complicarlo. In sostanza, i cristiani di Israele ancora un volta si trovano a dover scegliere tra la fedeltà alla causa palestinese e alla loro “arabità”, da un lato, e la possibilità di considerarsi “aramei” e quindi pienamente inseriti in Israele, dall’altro. In molti, a pochi giorni dalle elezioni, non sanno ancora se riporre la loro fiducia nella lista comune. Non mancheranno quindi le sorprese in queste elezioni, che costituiscono senza dubbio un evento chiave per Israele e tutto il Vicino Oriente. [Sulle elezioni in Israele si segnala l'evento organizzato dal CIPMO e dal Dipartimento di Studi Internazionali, Giuridici e Storico-Politici dell'Università degli Studi di Milano: Israele. Quali prospettive dopo le elezioni nel Paese, in Medio Oriente, nel contesto internazionale. L'incontro si terrà mercoledì 25 marzo 2015, ore 17,30. Tutte le informazioni qui.]