Il resoconto di Ibn Jubayr che visitò la città nel XII secolo: "Corteggiata dai sovrani, molte battaglie sono state scatenate per lei"

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 08:56:41

Nel 1183, Ibn Jubayr intraprese un lungo viaggio che da Ceuta, dove s’imbarcò su una nave genovese, lo condusse dopo varie peripezie alla Mecca e, sulla via del ritorno, a Baghdad, Mosul, Aleppo, Damasco… Incantato dalla bellezza architettonica di Aleppo, dove giunse nel giugno 1184 – un anno dopo la presa della città da parte di Saladino – il viaggiatore descrive la cittadella che sorge fino ai giorni nostri nella parte orientale della città, il mercato coperto, la grande moschea e la madrasa hanafita, tutti luoghi gravemente danneggiati dal conflitto che dal 2012 imperversa nella città. Ibn Jubayr (1145-1217) fu un viaggiatore arabo di origini andaluse, pioniere della letteratura di viaggio, genere letterario che sarebbe andato diffondendosi particolarmente nel Trecento con gli scritti dell’esploratore marocchino Ibn Battuta. Dopo la visita ad Aleppo, Ibn Jubayr si imbarcò ad Acri per tornare in patria, ancora una volta su una nave genovese. Durante una tempesta la nave fece naufragio nello stretto di Messina. Tratto in salvo, attraversò tutta la costa settentrionale della Sicilia e a Trapani riprese il mare verso Granada, dove fece ritorno nel 1185. Di questo lungo viaggio durato due anni Ibn Jubayr stese un resoconto, la Rihlat Ibn Jubayr (“Il viaggio di Ibn Jubayr”), diventato un classico della letteratura araba medievale. L’estratto che abbiamo tradotto dall’originale offre un suggestivo spaccato della città di Aleppo. [Per leggere l’estratto dedicato alla città di Mosul clicca qui] Aleppo è una città di grande importanza, celebre in ogni circostanza; fu corteggiata da molti sovrani ed è cara alle anime degli umani. Quante battaglie ha scatenato, quante lame bianche ha sollevato! Aleppo possiede una fortezza inaccessibile, che spicca per altezza, irraggiungibile […]. Tra i motivi di onore di questa fortezza si cita il fatto che nell’antichità fu la collina sulla quale Abramo, l’amico di Dio, la preghiera e la pace siano su di lui e sul nostro Profeta, cercò rifugio assieme alle sue greggi. Qui Abramo munse (yahlib) gli animali e distribuì in elemosina il loro latte. Questa è la ragione per cui la città fu chiamata Aleppo (Halab)1. Ma Dio ne sa di più. Nella fortezza sorge un venerato mausoleo dedicato ad Abramo, dove le persone si recano in preghiera a chiedere benedizioni. Tra le qualità indispensabili che garantiscono l’inespugnabilità della fortezza vi è l’acqua che sgorga al suo interno. [La fonte] è sovrastata da due cisterne dalle quali fuoriesce acqua sicché non si teme mai la sete. Dentro la fortezza si conserva sempre anche del cibo. Non vi sono condizioni più importanti e sicure di queste due per garantire l’inespugnabilità. Attorno alle cisterne, sul lato che affaccia sulla città, si ergono due mura fortificate ai cui piedi si trova un fossato dove sgorga l’acqua e la cui profondità l’occhio non riesce quasi a cogliere. L’inespugnabilità e la bellezza di questa cittadella sono più grandi di quanto le parole riescano a descrivere. Sulla parte più elevata delle mura sorgono torri disposte ordinatamente con punti di osservazione dominanti e gallerie maestose in cui si aprono archi. Tutte le torri sono abitate; all’interno vi sono gli appartamenti del sultano e gli alloggi dei dignitari reali. Quanto alla città, è imponente, diligentemente costruita, di una bellezza stupefacente, con grandi mercati disposti in lunghe file così che si passa da una fila di botteghe all’altra fino ad esaurirle. Un tetto in legno protegge i mercati offrendo la sua ombra agli avventori. La bellezza di questi mercati cattura gli sguardi e i passanti si fermano estasiati. La qaysāriyya [mercato coperto] è simile a un giardino per pulizia e bellezza e circonda la venerata moschea del venerdì. Chi siede nella qaysāriyya non desidera altra visione, fosse anche di verdi prati. La maggior parte delle sue botteghe sono magazzini in legno dall’eccellente fattura; ciascuna fila si sviluppa in un unico magazzino diviso da finestre in legno meravigliosamente intarsiate che si aprono sulle botteghe formando un meraviglioso colpo d’occhio. Ciascuna fila di magazzini è collegata a una delle porte della venerata moschea. Questa moschea è la più bella delle moschee. L’ampio cortile è circondato da porticati larghi in cui si aprono delle porte belle quanto quelle di un palazzo. Sono oltre cinquanta e per la loro bellezza catturano gli sguardi. Nel cortile sono presenti due pozzi alimentati da due sorgenti. Il porticato sud è privo di maqsūra [spazio nella moschea riservato al sultano] e perciò spicca in tutta la sua ampiezza. L’arte dell’intaglio ha esaurito tutto il suo sforzo nel minbar [pulpito]; in nessun’altra città vidi mai un pulpito di una così meravigliosa fattura. Da qui, la lavorazione lignea si estende al mihrāb [nicchia rivolta a Mecca che indica la direzione della preghiera] decorandone splendidamente le superfici nello stesso modo meraviglioso, e sale oltre, a mo’ di grande corona, fino a raggiungere il soffitto. La parte più alta del mihrāb forma un arco decorato con merli lignei ed è intarsiata in avorio ed ebano. L’intarsio si estende ininterrottamente dal minbar al mihrāb alla parete sud offrendo allo sguardo la più bella visione del mondo. La bellezza di questa venerata moschea è superiore a qualsiasi descrizione. Sul lato occidentale si erge una madrasa hanafita simile alla moschea per bellezza e perfezione della fattura tanto che i due edifici sembrano due mausolei, uno accanto all’altro. Questa è una delle madrase più decorate che abbia mai visto, sia per la costruzione sia per la lavorazione rara. Una delle cose più belle che vidi in essa è la parete meridionale, nella quale si aprono camere e stanze con finestre ad arco collegate l’una all’altra, e lungo la quale corre un pergolato di vite. Ogni finestra ha la sua parte di uva che pende di fronte e chi abita [la stanza] può coglierla allungando la mano senza fatica né difficoltà. Oltre a questa madrasa, in città ve ne sono altre quattro o cinque. Vi è anche un ospedale. Aleppo è una città superba che si addice al califfato. Tutta la bellezza è dentro la città, non fuori, con l’eccezione di un piccolo fiume [il fiume Quwayq] che scorre da nord a sud e attraversa l’ampio sobborgo che circonda la città. Aleppo infatti ha un grande sobborgo con numerosissimi caravanserragli. Sul fiume sorgono mulini collegati alla città, in mezzo al sobborgo. In esso vi sono alcuni giardini lungo le rive del fiume. Comunque sia, all’interno o all’esterno, Aleppo è una città senza pari e potremmo dilungarci ancora nella sua descrizione. Abbiamo soggiornato in un caravanserraglio noto come Khān Abū al-Shukr dove siamo rimasti quattro giorni. Siamo ripartiti giovedì 17 del mese di Rabī‘, cioè il 28 giugno [1184]. Traduzione dall'arabo di Chiara Pellegrino 1 Aleppo si dice in arabo Halab, termine che è anche l’infinito del verbo halaba, “mungere”. L’accostamento però è solo apparente perché il toponimo Halab è di origini amorrite ed è attestato già nel 2000 a.C. Per saperne di più sulla storia urbanistica di Aleppo: Jean Sauvaget, Alep. Essai sur le développement d’une grande ville syrienne des origines au milieu du XIXe siècle, Geuthner, Paris 1941.