Dopo la fuga della premier Hasina, costretta alle dimissioni da ampie proteste studentesche, il Paese asiatico sta vivendo una transizione turbolenta. Il governo ad interim, guidato dal premio Nobel per la pace Muhammad Yunus, sta deludendo le attese, mentre cresce l’influenza dell’Islam politico

Ultimo aggiornamento: 07/07/2025 15:20:05

Quarto Paese al mondo per numero di musulmani, il Bangladesh è anche sempre più connesso all’Europa attraverso la sua diaspora. L’Italia è peraltro toccata molto da vicino da questo fenomeno, dal momento che negli ultimi due anni i bangladesi hanno rappresentato e continuano a rappresentare il gruppo più consistente tra i migranti che sbarcano sulle nostre coste. Le turbolenze che questo Stato asiatico sta attraversando ci riguardano dunque più di quanto si possa pensare.

L’ultimo mandato della prima ministra Sheikh Hasina, durato appena sei mesi dopo la rielezione a gennaio 2024, si è concluso ad agosto con le dimissioni forzate e la fuga in India a causa di ampie proteste studentesche scoppiate nella capitale, Dhaka, e in altre città. L’origine delle manifestazioni è da ricercare nel controverso sistema di quote nel pubblico impiego, in base al quale il 30% dei posti di lavoro erano assegnati ai discendenti di coloro che avevano combattuto nella guerra di indipendenza del 1971 (in genere sostenitori della premier Hasina), mentre una più piccola percentuale era riservata agli appartenenti alle minoranze religiose.

In realtà le proteste hanno fatto emergere un ampio malcontento contro la Lega Awami, il partito di cui Hasina era leader e che in 15 anni al potere ha reso sempre più autoritario il suo governo. Nello stesso periodo l’opposizione, rappresentata in primis dal Partito nazionalista del Bangladesh (BNP), era stata progressivamente emarginata, e ora sta cercando di anticipare le elezioni nel tentativo di tornare al potere.

 

Il governo ad interim di fronte alla rinascita islamista

Dopo la fuga di Hasina in India, i giovani manifestanti hanno fin da subito invocato la figura dell’economista e Premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus come guida per il Paese. Yunus ha giurato come consigliere capo, cioè come guida del governo ad interim, l’8 agosto 2024, ma nei mesi successivi la popolazione ha cominciato a provare un certo disincanto anche nei confronti del “padre del microcredito”. E questa transizione, salutata da molti come una “seconda liberazione”, ora rischia di accrescere l’influenza dei partiti islamisti e aprire una nuova fase di instabilità in Bangladesh. Un segnale inquietante di questa instabilità è stato, il 23 giugno, l’aggressione da parte di una folla inferocita all’ex capo della Commissione Elettorale K.M. Nurul Huda, che aveva supervisionato le controverse elezioni del 2018: un episodio che evidenzia come la violenza di massa sia diventata un mezzo per la resa dei conti politica nel Bangladesh post-Hasina.

Pochi giorni dopo l’insediamento, il governo ad interim ha revocato il bando imposto da Hasina alla Jamaat-e-Islami (JI), il maggiore partito islamista del Bangladesh, e alla sua organizzazione giovanile. Il bando era stato imposto dal governo Hasina nei giorni precedenti alla fuga, con l’accusa che i membri del Jamaat avessero fomentato disordini durante le proteste studentesche. Una commissione d’inchiesta voluta dal nuovo esecutivo non ha però riscontrato prove specifiche che giustificassero la decisione e ha riabilitato il partito. Il JI, escluso dalle elezioni a partire dal 2013 con l’accusa di aver adottato uno statuto contrario ai principi laici della Costituzione, sta ora cercando di riottenere la registrazione ufficiale per partecipare alle prossime votazioni, previste – secondo le ultime dichiarazioni di Yunus – nella prima metà di aprile 2026.

Parallelamente, altri gruppi religiosi e ultraconservatori stanno rafforzando la loro presenza. Anche all’interno del governo provvisorio sono stati cooptati esponenti provenienti da questi ambienti, come A.F.M. Khalid Hossain, vicepresidente del movimento Hefazat-e-Islam, un influente gruppo di chierici e studenti delle madrase, noto per aver condotto in passato una campagna per una maggiore islamizzazione delle leggi statali.

Anche al di fuori delle istituzioni l’attivismo islamico è in fermento: si contano almeno una dozzina di partiti o movimenti di ispirazione religiosa attivi nel Paese, tra cui l’Islami Andolan Bangladesh (IAB) e il Bangladesh Khelafat Majlis, che chiedono l’introduzione della shari‘a. Storicamente, il BNP ha mantenuto una posizione nazionalista e conservatrice ma meno incline all’islamismo ideologico rispetto a queste formazioni. Tuttavia, la caduta di Hasina ha aperto uno spazio per queste sigle islamiste, generando una certa preoccupazione. In passato, infatti, la presenza di gruppi islamisti nelle coalizioni di governo ha generato un clima di maggiore radicalizzazione e un aumento degli attentati terroristici di matrice jihadista, soprattutto tra il 2001 e il 2006. Anche la riapparizione di gruppi banditi per estremismo, come Hizb-ut-Tahrir, che invoca l’istituzione di un califfato islamico, ha generato una certa preoccupazione.

 

Le sfide del governo Yunus

L’iniziale entusiasmo per la nomina di Muhammad Yunus a capo del governo transitorio si è affievolito con il passare dei mesi. Dopo essere stato perseguitato a lungo da Hasina, che lo vedeva come una minaccia politica, il padre del microcredito si era assunto la responsabilità di ricostruire il Paese dalle macerie. Ma in poco tempo la sua amministrazione ha cominciato a essere criticata per la lentezza con cui ha attuato diverse riforme strutturali. Yunus ha inoltre chiarito che non intende partecipare a nessun nuovo governo che si formerà dopo le prossime elezioni.

A quasi un anno di distanza, il Bangladesh continua ad affrontare significative difficoltà economiche e una crescente instabilità sul fronte della sicurezza interna. Il Paese è alle prese con una crescita del PIL in rallentamento (prevista al 3,9% nell’anno fiscale 2025) e un’inflazione elevata, che a maggio si aggirava intorno al 9%. Il debito estero è raddoppiato in sette anni, raggiungendo i 103 miliardi di dollari a dicembre 2024. Il governo è stato così costretto a chiedere ulteriori aiuti finanziari al Fondo Monetario Internazionale, con cui ha raggiunto un accordo a maggio per sbloccare nuove tranche di prestiti in cambio di riforme fiscali e il rafforzamento della Banca centrale del Bangladesh. Yunus stesso ha definito la crescita economica vantata da Hasina come una “narrazione falsa”, sostenendo che si sia trattato di uno sviluppo ineguale all’interno della società, che non ha avvantaggiato equamente tutte le fasce della popolazione.

La sicurezza interna rappresenta una delle maggiori preoccupazioni. Dieci mesi dopo la caduta di Sheikh Hasina, la polizia del Bangladesh è ancora lontana dalla piena funzionalità e non ha recuperato la fiducia della popolazione, una situazione che ha generato episodi di violenza contro le forze dell’ordine. A febbraio, per esempio, un sottufficiale di polizia è stato brutalmente picchiato da una folla a Chittagong dopo aver tentato di fermare dei giovani che fumavano cannabis. Similmente, un mese dopo, alcuni uomini hanno tentato di prendere d’assalto le stazioni di polizia a Dhaka per liberare sospetti e hanno attaccato gli agenti che cercavano di effettuare gli arresti.

Questi incidenti sembrano riflettere una profonda crisi di autorità. Durante le rivolte studentesche dell’estate del 2024 che portarono alla fuga di Hasina, circa 1.400 persone furono uccise dalle forze dell'ordine, mentre 44 agenti di polizia persero la vita per mano dei manifestanti. In seguito a questi disordini, più di 450 stazioni di polizia e circa 1.000 veicoli della polizia vennero presi d’assalto in tutto il Paese. Inoltre, un rapporto delle Nazioni Unite, ripreso da Human Rights Watch, ha evidenziato ampie violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza e ha criticato l’operazione “Operation Devil Hunt” del governo ad interim che ha portato all’arresto di quasi 2.000 persone, in gran parte sostenitori della Lega Awami.

Con l’arrivo del nuovo governo è stata istituita una Commissione di Riforma della Polizia, che a gennaio di quest’anno ha prodotto un rapporto per promuovere una serie di riforme all’interno delle forze dell’ordine. Proposte che sono finora rimaste perlopiù disattese o al massimo circoscritte ai centri urbani, mentre la criminalità continua a dilagare. Omicidi, rapine, violenze di massa e regolamenti di conti tra cittadini hanno registrato tendenze in crescita a partire da agosto dello scorso anno.

Anni di polizia schierata politicamente con il governo Hasina e un sistema giudiziario lento hanno inoltre alienato molti cittadini. Un sondaggio del 2024, per esempio, rivela che il 72% dei cittadini del Bangladesh non crede che la polizia risponda efficacemente ai crimini, mentre all’interno della società è aumentata la polarizzazione tra blocchi ideologici contrapposti, chiamati “Shapla” (coloro che si autodefiniscono protettori dell’Islam) e “Shahbag” (difensori dei valori liberali). Si tratta di movimenti che hanno cominciato a formarsi dopo l’indipendenza del Paese e che si sono anche scontrati in maniera violenta tra il 2013 e il 2014.

 

Il ruolo del BNP

In questo scenario, il BNP, storico partito di opposizione, ha cercato di ridefinire il proprio ruolo. Fondato dall’ex dittatore Ziaur Rahman negli anni ’70 e guidato per decenni dall’ex premier Khaleda Zia, il BNP era stato ridotto ai minimi termini durante l’era Hasina: la sua leader era stata incarcerata nel 2018 per corruzione e interdetta dalla vita politica, mentre altri dirigenti erano finiti in esilio o ai domiciliari. Alle elezioni del 2018 il BNP ottenne appena 7 seggi su 300, denunciando brogli massicci, e a gennaio 2024 il partito scelse la strada del boicottaggio, non riconoscendo la legittimità dell’ennesima vittoria della Hasina, segnata anche dall’arresto in massa di candidati e oppositori.

La caduta di Hasina nell’agosto 2024 ha rappresentato per il BNP una sorta di rivincita storica, ma paradossalmente il partito si è trovato spiazzato dagli eventi, perché la rivoluzione dello scorso anno è nata come movimento studentesco e della società civile a cui il BNP ha aderito opportunisticamente. Adesso, con un governo tecnico in carica, il BNP resta ancora lontano dal potere anche se le condizioni per una rinascita politica ci sono tutte: Khaleda Zia è stata rilasciata dal carcere (in realtà era già in libertà condizionata per motivi di salute) e il nuovo clima potrebbe consentire anche il ritorno in patria del figlio Tarique Rahman, erede politico della dinastia del BNP che vive in esilio a Londra dal 2008.

Pur essendo più conservatore della Lega Awami, il BNP non ha mai avuto come proprio programma l’instaurazione della shari‘a o misure simili, ma ora si trova fianco a fianco con movimenti che spingono in quella direzione. Secondo diversi analisti, il partito potrebbe scegliere la via della coabitazione tattica, tollerando e appoggiando la crescente influenza di Jamaat, Hefazat e altri gruppi religiosi per capitalizzare sulla spinta anti-Hasina, ma dovrà cercare al contempo di presentarsi sulla scena internazionale come un partito affidabile e non integralista.

Per ora, comunque, il BNP sembra intenzionato a sostenere il percorso del governo Yunus fino a nuove elezioni, traendo vantaggio dalla messa al bando della Lega Awami. Il partito di Khaleda Zia potrebbe preferire prendere tempo prima di tornare alle urne, in modo da riorganizzarsi. Un’eventualità che coinciderebbe con gli interessi della Jamaat, che ha anch’essa bisogno di tempo per rimettere in piedi la propria macchina politico-elettorale dopo anni di clandestinità.

 

Le tensioni con le minoranze religiose

Questa turbolenta transizione in Bangladesh ha modificato anche gli equilibri con i Paesi vicini. Con l’India, per esempio, i rapporti sono diventati sempre più tesi. Non solo Delhi ha subito accolto l’ex premier Hasina dopo la caduta del suo governo in Bangladesh, ma l’estrema destra nazionalista che sostiene il primo ministro indiano Narendra Modi ha promosso la diffusione di notizie false relative ad attacchi contro le minoranze religiose e in particolare contro gli indù.

Tuttavia, al di là delle esagerazioni e delle invenzioni propagandistiche, episodi di violenza settaria contro le minoranze si sono realmente verificati in Bangladesh come segno di ritorsione: gli indù e i cristiani, infatti, spesso erano identificati come elettori della Lega Awami. Secondo il governo provvisorio di Dhaka, tra agosto e dicembre 2024 si sono registrati almeno 88 attacchi o casi di violenza settaria a danno di minoranze religiose, prevalentemente contro gli indù.

Un episodio di particolare gravità è stato l’arresto a Dhaka di un monaco indù, Chinmoy Krishna Das, accusato di sedizione. Un episodio, avvenuto a dicembre 2024, che ha generato scontri e accuse da parte di ambienti indù e della stessa Hasina (dall’esilio) circa l’incapacità di Yunus di proteggere le minoranze, mentre in India le proteste contro il nuovo governo del Bangladesh, nello stesso periodo, sono culminate con l’assalto al consolato del Bangladesh ad Agartala.

 

Nuovi allineamenti geopolitici

Il cambio di governo a Dhaka sta avendo un impatto molto ampio anche sulle altre alleanze regionali: se con l’amministrazione Hasina il Bangladesh aveva mantenuto una relazione privilegiata con l’India ma una stretta cooperazione economica anche con la Cina e rapporti distaccati con il Pakistan, ora questi equilibri stanno cambiando.

Con Islamabad si è verificata una certa distensione. Già ad agosto dello scorso anno il primo ministro pakistano Shehbaz Sharif aveva inviato messaggi di felicitazioni a Yunus, auspicando una maggiore cooperazione. A dicembre Yunus e Sharif si sono incontrati, annunciando l’intenzione di rafforzare le relazioni bilaterali e risolvere le questioni rimaste in sospeso dal 1971, anno in cui il Bangladesh ottenne l’indipendenza dal Pakistan. Negli stessi mesi, una nave cargo pakistana ha attraccato a Chittagong per la prima volta in decenni, ristabilendo una rotta commerciale diretta.

Ma ancora più marcata è stata l’apertura verso la Cina. Già il 9 agosto 2024, il portavoce del Ministero degli Esteri cinese esprimeva rispetto per la scelta “indipendente” compiuta dal popolo del Bangladesh. Da allora, i rapporti bilaterali sono andati incontro a un’accelerazione. A gennaio di quest’anno una delegazione del governo Yunus guidata dal consigliere per gli affari esteri Md. Touhid Hossain ha visitato Pechino per negoziare aiuti economici: Dhaka ha chiesto alla Cina di alleggerire le condizioni dei crediti d’aiuto, riducendo i tassi d’interesse dal 2-3% all’1%, abolendo alcune commissioni e allungando le scadenze da 20 a 30 anni, e di sostenere il settore sanitario bangladese. La risposta cinese è stata positiva e, tra le varie misure, le autorità cinesi hanno promesso la costruzione di un nuovo ospedale da 1.000 posti letto a Dhaka e un accesso facilitato alle cure mediche in Cina.

Del resto, la Cina aveva già investito massicciamente in Bangladesh anche sotto il precedente governo, finanziando infrastrutture e progetti energetici, e ora mira a consolidare la partnership. A fine marzo, in occasione del 50º anniversario delle relazioni diplomatiche sino-bangladesi, il presidente Xi Jinping ha incontrato di persona Muhammad Yunus a Pechino. A riprova di questi cambiamenti nelle dinamiche regionali, il 19 giugno si è tenuto a Kunming, in Cina, un significativo incontro trilaterale a livello di vice-ministri degli Esteri tra Cina, Bangladesh e Pakistan. La riunione ha ufficialmente inaugurato un meccanismo strutturato di cooperazione trilaterale, basata sui principi di buon vicinato, uguaglianza, fiducia reciproca, apertura, inclusività e sviluppo comune.

Molti analisti hanno interpretato l’incontro come una mossa strategica della Cina per aumentare la sua influenza in Asia meridionale e potenzialmente erodere lo spazio strategico dell’India, creando una “triangolazione geopolitica” con il Pakistan e il Bangladesh. Dhaka, tuttavia, per il momento ha mantenuto una posizione più cauta: il consigliere per gli affari esteri del governo ad interim del Bangladesh ha chiarito che l’incontro non era finalizzato alla formazione di alcuna alleanza né mirava a escludere terze parti.

 

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