Una guida ai fatti della settimana nel Mediterraneo allargato e nel mondo musulmano attraverso la stampa araba

Ultimo aggiornamento: 19/03/2024 10:36:23

Il terrificante sisma che la mattina del 6 febbraio ha colpito il sudest della Turchia e il nordovest della Siria ha occupato le prime pagine di (quasi) tutti i giornali arabi. “Per un minuto…è sembrato che il mondo stesse per finire”, titola il quotidiano libanese al-Nahar; “la tragedia siro-turca” scrive a caratteri cubitali al-‘Arabi al-Jadid; “un terremoto lascia dietro di sé una grande distruzione”, l’incipit di al-Quds al-‘Arabi, che allega anche una triste vignetta; “Turchia e Siria sotto shock per il terremoto”, al-Sharq al-Awsat; “L’ultima catastrofe del Medio Oriente: un devastante terremoto”, l’amarissimo commento di al-‘Arab; “Il più grande disastro degli ultimi decenni”, commenta il giornale egiziano al-Ahram; “Il terremoto in Siria e Turchia sconvolge il mondo”, così il saudita al-Makka al-Mukarramah; “Tragedia di sangue” per il bahreinita al-Ayyam.    

 

Se si esclude Al-Jazeera – che con la sua diffusione globale ha offerto una copertura mediatica in presa diretta e con aggiornamenti minuto per minuto – i giornali del Qatar si sono invece serviti della tragedia per rimarcare i meriti del Paese nell’attivazione della macchina dei soccorsi e della solidarietà, oltre che a confermare l’appoggio agli Stati colpiti. “Ponte areo verso la Turchia” campeggia sulla prima pagina del giornale qatariota al-Watan, a ricordare la solida alleanza tra Doha e Ankara; poi, l’aggiunta nell’occhiello delle parole dell’emiro Al Thani: «il Qatar sta con i popoli fratelli turco e siriano». L’articolo che segue, anziché riportare i danni del sisma e il numero di vittime e feriti (brevemente accennati in fondo alla pagina), riferisce come prima cosa la telefonata tra Al Thani e Recep Tayyip Erdoğan, ennesima conferma da parte dell’Emirato «di rimanere al fianco della repubblica turca» in questo momento difficile mediante l’attivazione di un ponte aereo per l’invio di beni di prima necessità. Questi temi vengono ripresi più avanti nel giornale, mentre la notizia del sisma viene data solo a pagina 12 («testimonianze tragiche») e a pagina 16 in cui compare però un titolo non proprio neutrale: «un distruttivo terremoto colpisce la Turchia», senza alcun riferimento alla Siria. Lo stesso approccio sulla stampa emiratina, con  il quotidiano al-Ittihad che va addirittura oltre: nell’edizione cartacea del 7 febbraio il resoconto della tragedia viene relegato alle pagine 34-35, mentre in apertura si parla diffusamente del ruolo di Mohammed bin Rashid al-Maktoum e di Mohammed bin Zayed Al Nahyan nell’invio di aiuti umanitari: «gli Emirati – si legge a pagina due – sono pronti a salvare il fratello e amico» Bashar al-Assad, presidente della repubblica siriana, inviandogli aiuti del valore di 50 milioni di dirham.  

 

Anche il regime siriano coglie l’occasione, attraverso il giornale del partito Ba‘th, per dimostrare che l’isolamento di Damasco è ormai soltanto un vecchio ricordo: “Al-Assad riceve telefonate e telegrammi di cordoglio e sostegno da re e presidenti arabi e stranieri…mentre il governo prepara un piano di emergenza nazionale”, si legge nell’edizione del 7 febbraio. I nomi dei governanti alleati vengono elencati nell’articolo di prima pagina, subito dopo la breve descrizione del disastro e della riunione d’emergenza convocata dal presidente: ringraziamenti speciali vengono indirizzati a Vladimir Putin e a Mohammed bin Zayed Al Nahyan, al quale viene anche dedicata un’intera pagina. Si menzionano inoltre il sultano dell’Oman Haytham bin Tariq Al Sa‘id, il re del Bahrein Hamad bin Isa Al Khalifa, il re di Giordania ‘Abdallah II e diversi presidenti: l’algerino Abdelmadjid Tebboune, l’egiziano al-Sisi, il cinese Xi Jin Ping, l’iraniano Ibrahim Raisi, il bielorusso Lukashenko, il palestinese Abu Mazen e l’iracheno al-Sudani. Nel quotidiano le foto delle devastazioni si alternano a quelle dei ritratti dei capi di Stato e delle riunioni del governo; non mancano, infine, il messaggio di sostegno da parte dei siriani del Golan occupato e la richiesta da parte del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente di togliere le sanzioni alla Siria. Poche e molto concise le menzioni al disastro nei territori turchi.  

 

Naturalmente, molte analisi hanno cercato di prevedere in che modo le onde d’urto del terremoto influiranno sullo scenario politico dei Paesi coinvolti. Sa’id al-Hajj commenta su Al-Jazeera: «il sisma di Kahramanmaraş avrà, in Turchia, per lo più ripercussioni politiche non meno importanti e rischiose delle scosse di assestamento. L’azione del governo da un lato, e le rimostranze dell’opposizione dall’altro saranno in uno stato di competizione febbrile per convincere la popolazione a sposare una delle due cause. Col tempo, questo terremoto diventerà esso stesso uno dei temi portanti nella competizione elettorale».   

 

“Siria: dal terremoto politico a quello naturale”  è invece il titolo di un articolo dello scrittore libanese Kahyr Allah Khayr Allah, pubblicato su al-‘Arab e su altre testate emiratine e saudite. Il sisma colpisce «una regione la cui popolazione non ha bisogno di ulteriori tragedie e sofferenze». In ogni caso, «la Turchia troverà un modo per uscirne fuori» perché non è isolata dal resto del mondo e la sua economia è in grado di farsi carico delle conseguenze derivate dalla calamità. Ce la farà lo stesso, la Turchia, «nonostante quello che ha commesso Erdoğan con il suo pensiero retrogrado legato a quello della Fratellanza Musulmana». Per i siriani, invece, il discorso è completamente diverso: «non è un terremoto naturale quello che la Siria ha affrontato – grazie al quale il regime ha l’opportunità di ricevere aiuti dall’estero – ma è piuttosto il prosieguo di un terremoto politico iniziato nel 1949», anno in cui nel Paese cominciò una lunga serie di golpe militari, seguiti dalla nefasta unione con l’Egitto di Nasser, la Repubblica Araba Unita, e dall’ascesa del partito Ba‘th che, essendo socialista e panarabo solo di nome, è il principale responsabile dell’arretratezza economica del Paese levantino. La conclusione è sferzante: «il terremoto naturale indica il grado di frammentazione che ha raggiunto la Siria», talmente divisa da permettere ad Assad di considerare il sisma come un pezzo di legno a cui aggrapparsi» aprendogli le porte alla riconciliazione con il mondo arabo e con la comunità internazionale; «eppure il regime non sa che il mondo lo considera ancora un burattino iraniano e che non c’è alcuna intenzione, all’infuori di quella umanitaria, negli aiuti» che raggiungeranno Damasco.  

 

Anche Yasin al-Hajj Saleh riflette sul rapporto tra uomo e natura, chiedendosi con fare retorico: “Il terremoto in Siria è naturale o politico?”. Nell’articolo pubblicato su al-Quds l’intellettuale e dissidente siriano ragiona per paradossi, sostenendo che nel suo Paese natale è diventato impossibile sapere se una calamità avviene per mano dell’uomo o della natura: «sembra che le cose si siano ribaltate dopo circa dodici anni di una catena di disastri orrendi», i cui responsabili, pur essendo noti, non hanno reso conto delle proprie azioni né scontato alcuna pena. Infatti «ciò che è successo in ambito politico, ovvero chi si è macchiato di crimini, sembra simile a un cataclisma naturale senza colpevoli e senza responsabili, proprio come un terremoto a cui nessuno può muovere critiche».

 

Al-‘Arabi al-Jadid è ancora più pessimista di Khayr Allah: «nessuno dei due Paesi si riprenderà velocemente, considerata l’entità del disastro», e condanna la linea dura del regime damasceno nel respingere parte degli aiuti umanitari. Emblematica la vignetta che introduce l’articolo: il terremoto e al-Assad sono due sismografi (il primo segna con l’inchiostro, il secondo con il sangue) che rullano sulla bandiera siriana, in una sorta di macabra gara a chi semina più morti e distruzioni. C’è anche un gioco di parole: sul sismografo “naturale” compare la scritta zilzāl (“terremoto”), su quello del presidente mā zāl!, traducibile come “ancora (in carica)!”.     

 

Arabi21 condanna invece “la gioia per la sventura” (in arabo esiste un termine per definire questo sentimento: shamāta, equivalente del tedesco schadenfreude), in altre parole l’islamofobia e il razzismo provato da alcuni europei di estrema destra di fronte alla crisi umanitaria turco-siriana. Si menzionano in particolare commenti, post e tweet circolati in Svezia, Paese già sotto attacco per il rogo del Corano e per la diatriba con la Turchia, ma anche la vignetta di Charlie Hebdo è stata condannata duramente.      

 

C’è anche spazio per qualche riflessione nell’ambito della teodicea. “La comparsa dei terremoti è la punizione di peccati precedenti?” si chiede Mu‘taz al-Khatib, giornalista di Al-Jazeera: vi sono infatti «certi predicatori ed esperti di hadith» che hanno «evocato tradizioni che si concentrano sulle cause religiose che stanno all’origine dei terremoti e che questi avvengono solamente a seguito di azioni riprovevoli, come la zina [rapporti sessuali illeciti], il consumo di alcol eccetera». La questione, avverte l’autore, non è affatto semplice e deve essere analizzata da diversi punti di vista: in primis il profilo storico, con citazioni riguardanti l’interpretazione dei fenomeni sismici contenuta negli scritti degli ulema dal XIII-XIV secolo in poi; in secondo luogo vi è la giurisprudenza islamica che valuta il grado di autenticità degli hadith; infine vi è l’ambito scientifico che prende in considerazione tipologia e intensità del terremoto. 

 

 

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