Una guida ai fatti della settimana nel Mediterraneo allargato e nel mondo musulmano attraverso la stampa araba
Ultimo aggiornamento: 11/07/2025 15:30:29
Gaza è ritornata al centro dell’attenzione dei media arabi, soprattutto in seguito alla terza visita del premier israeliano Benjamin Netanyahu a Washington, durante la quale si è discusso un possibile cessate il fuoco con Hamas.
Su al-Arabi al-Jadid, il politologo palestinese Hani al-Masri esprime forte scetticismo sull’efficacia dei negoziati in corso, che potrebbero portare a una tregua di 60 giorni durante la quale l’attenzione internazionale si allontanerebbe inevitabilmente da Gaza. Secondo al-Masri, «il governo israeliano, con il sostegno degli Stati Uniti, otterrà successi politici che porteranno alla prosecuzione del genocidio, rendendo Gaza invivibile. Saranno avviati sforzi diplomatici per completare ciò che i massacri attuali non sono riusciti a ottenere». Il politologo evidenzia la fragilità del fronte palestinese, dovuta all’assenza di una visione politica chiara e alla mancanza di una mobilitazione internazionale efficace. Sul fronte israeliano, invece, nonostante i limiti emersi nel conflitto con l’Iran, Netanyahu sembra avviato verso una riconferma elettorale, vista l’assenza di alternative politiche credibili. In questo quadro, scrive al-Masri, «Israele si concentrerà sulla questione palestinese. E quando capirà che è difficile raggiungere obiettivi massimi, come l’occupazione totale di Gaza o l’imposizione di un’autorità militare, si accontenterà di obiettivi minimi, come l’annessione della Cisgiordania e il controllo delle zone cuscinetto e strategiche a Gaza, in particolare lungo il confine con l’Egitto».
Toni amari caratterizzano anche l’analisi del politologo libanese Gilbert Achcar, che su al-Quds al-Arabi respinge l’idea che Trump voglia davvero promuovere la pace a Gaza, o che ci siano reali tensioni con Netanyahu. Queste narrazioni «si addicono ai due uomini: il primo, che cerca di interpretare il ruolo di “pacificatore” promesso in campagna elettorale e coltiva il sogno di vincere il premio Nobel, spinto dall’invidia infantile che prova nei confronti di Obama […]. L’altro, Netanyahu, trova conveniente fingere di essere sotto pressione dell’alleato americano, così da zittire i suoi alleati a cui aveva promesso una linea più radicale». Achcar critica poi chi crede che i negoziati «vedranno Trump “tagliare le ali” a Netanyahu per imporgli una “pace” con i palestinesi». Il politologo ricorda che è stato proprio Trump «a spalancare le porte al governo di Netanyahu affinché potesse immaginare liberamente e pubblicamente una pulizia etnica a Gaza». Secondo l’articolo, l’obiettivo reale dei colloqui – che coinvolgono l’Egitto, la Giordania e i Paesi del Golfo – non è la fine delle ostilità, ma la creazione di «un’entità palestinese frammentata, composta da enclave palestinesi sparse per il territorio, circondate da basi militari e insediamenti israeliani, sul modello di quanto già esiste in Cisgiordania». Il nodo centrale, osserva il giornalista, è capire «chi amministrerà questi agglomerati, se l’attuale Autorità di Ramallah, una sua versione riformata, oppure una nuova struttura ancora da definire, e chi eserciterà il controllo diretto sulla popolazione di Gaza: se l’esercito israeliano o contingenti arabi dispiegati temporaneamente, in attesa che forze locali, formate da collaboratori palestinesi del nuovo ordine regionale, ne prendano il posto».
Di segno opposto sono invece i commenti pubblicati dalla stampa filo-saudita e filo-emiratina. Su al-Sharq al-Awsat, quotidiano panarabo di proprietà saudita, l’intellettuale libanese Ahmed Mahmoud Ajaj intravede nella fase attuale un’opportunità per una soluzione politica guidata dagli Stati Uniti: «Trump ha ora un’occasione storica nella regione, poiché l’assenza dell’influenza russa o iraniana offre a Washington un margine d’azione senza precedenti. L’ostacolo principale, però, resta Netanyahu e la sua visione di un “Grande Israele”». Ajaj mette inoltre in guardia contro le ambizioni turche, respinte da molti leader arabi, e ripone tutte le sue speranze nel presidente americano, «l’unico che può imporre una pace giusta, seppellire il progetto del “Grande Israele” e archiviare quello del “secolo turco”, dopo aver già neutralizzato il disegno rivoluzionario iraniano».
Su al-Arab, lo scrittore egiziano Mohamed Abu Fadl si sofferma sulla nuova strategia israeliana nei confronti di Hamas. Se da un lato il movimento islamista punta a restare a Gaza, colmando il vuoto lasciato dall’Autorità Palestinese – vista da Tel Aviv come un attore debole e gestibile –, dall’altro Israele trae vantaggio dalla presenza ambigua di Hamas, «né al potere, né del tutto esclusa da esso». Questo consente a Israele di «esercitare forti pressioni e impedire qualsiasi riflessione su un futuro reale per la causa palestinese. Questa dinamica si intensifica con i conflitti e le crisi che attraversano la regione: la questione iraniana è ancora aperta, il Libano è in stallo e la Siria si avvia verso tempi difficili. Tutto ciò contribuisce a distogliere l’attenzione dalle questioni fondamentali».
Infine, sul sito d’informazione libanese Asasmedia, il giornalista palestinese Ahmed Sadeq afferma con pessimismo che il processo di pace ha perso ormai qualsiasi credibilità e che la soluzione dei due Stati è diventata impraticabile: «I palestinesi sanno che il cosiddetto processo di pace e la soluzione a due Stati sono divenuti impossibili, per l’imposizione del fatto compiuto da parte di Israele e dell’assenza di pressioni internazionali». Sadeq ricorda come, nel recente incontro fra Trump e Netanyahu, il presidente americano abbia evitato qualsiasi riferimento alla formula dei due Stati, mentre il premier israeliano ha dichiarato che «la sovranità in materia di sicurezza resterà israeliana». Nel frattempo, spiega il giornalista, il progetto di colonizzazione della Cisgiordania prosegue ininterrottamente: secondo il rapporto semestrale 2025 della Commissione per la resistenza al Muro e agli insediamenti, i coloni israeliani hanno compiuto 2.153 attacchi, causando la morte di quattro civili palestinesi. Alti funzionari israeliani, tra cui il ministro della Giustizia Yariv Levin, hanno chiesto l’annessione ufficiale della Cisgiordania, mentre il ministro dell’Economia Nir Barkat ha auspicato lo smantellamento dell’Autorità Palestinese. Riprendendo le parole del cartografo Khalil Tafakji, intervistato da Asasmedia, Sadeq conclude: «Israele ha sfruttato decenni di processo di pace per raggiungere il proprio obiettivo strategico: impedire la nascita di uno Stato palestinese».