Una guida ai fatti della settimana nel Mediterraneo allargato e nel mondo musulmano attraverso la stampa araba

Ultimo aggiornamento: 30/09/2024 17:47:32

«Scrivi il tuo testamento, perché chi ieri ti ha comprato oggi ti ha venduto»: queste le parole che il chierico sciita libanese Muhammad ‘Ali al-Husseini, ex membro di Hezbollah e oggi dichiaratamente ostile al Partito di Dio, ha rivolto al suo ex-amico Hassan Nasrallah durante un’intervista con l’emittente saudita al-Arabiya, andata in onda il 25 settembre. Per la sua capacità profetica, il monito è naturalmente diventato virale in poco tempo. E già lo scorso luglio, al-Husseini, che da alcuni anni ha la cittadinanza saudita, aveva messo in guardia Nasrallah in una lettera pubblicata sul quotidiano saudita Okaz: «Io so – scriveva il religioso – che Israele utilizzerà armi non convenzionali, e Dio è testimone di ciò che dico, e so che la guerra non si fermerà in Libano, ma si estenderà a Damasco, la quale cadrà proprio come cadde Beirut nel 1982». Prevedendo sofferenze senza precedenti, Husseini aveva chiuso invitando Nasrallah a un atto di responsabilità: «giuro, la guerra in Libano è dietro l’angolo, e solo tu puoi fermarla e salvare il nostro Paese dalla distruzione, e i nostri cittadini dalla morte».

 

Il chierico sciita è tornato davanti alle telecamere di al-Arabiya subito dopo l’annuncio della morte di Nasrallah, prefigurando un allargamento del conflitto al Libano, alla Siria, allo Yemen e all’Iraq. Ha inoltre detto di conoscere molto bene anche il possibile successore di Nasrallah, il cugino di quest’ultimo Hashim Safi al-Din, definendolo un uomo «dalla personalità decisa e risoluta, molto, molto assetata di sangue» che in più di un’occasione aveva esortato Nasrallah ad attaccare direttamente Tel Aviv. Safi al-Din, ha continuato Husseini nell’intervista con l’emittente saudita, «ha molto a cuore l’Iran; suo figlio ha sposato Zeynab, la figlia di Qassem Soleimani, e suo fratello Abdullah Safi al-Din è la figura diplomatica più importante di Hezbollah, essendo responsabile dell’ufficio centrale di Hezbollah a Teheran». Secondo Husseini Safi al-Din sarà spietato con Tel Aviv, e a sua volta lo sarà Tel Aviv, «che conosce bene Safi al-Din e si muoverà all’improvviso e rapidamente». La conclusione è che «ci stiamo avviando verso una grande violenza nella regione tra Israele, Libano e parte della Siria. Vedremo terra bruciata nel vero senso della parola, Israele invaderà via terra una parte del Libano, dopo aver colpito tutti i leader politici e religiosi di Hezbollah e aver ridimensionato e indebolito l’organizzazione».

 

La tesi del tradimento è condivisa anche dagli editorialisti del quotidiano emiratino al-‘Ayn al-ikhbariyya, per i quali il regime degli Ayatollah ha «venduto» Hezbollah e il suo leader Nasrallah, trasformandoli in facili prede di Tel Aviv. A detta di Ali al-Zohri, le avvisaglie del progressivo allontanamento fra gli alleati sciiti erano già evidenti nelle dichiarazioni rilasciate dal neoeletto presidente iraniano Pezeshkian: «Hezbollah da solo non può resistere allo Stato di Israele, che è molto ben armato e può procurarsi sistemi d’arma di gran lunga superiori a qualsiasi avversario». Nasrallah sarebbe perciò rimasto «vittima di alto tradimento e di una vergognosa sconfitta», e convinto di avere il sostegno iraniano ha trascinato il Libano verso una escalation mortale con Israele.

 

Secondo Muhammad Taqi, forte del sostegno occidentale Netanyahu ha potuto vendicarsi dei suoi rivali con ampia libertà di azione. Ormai l’unico avversario rimasto è l’Iran che, «come dimostra l’uccisione di Ismail Hanyieh nella sua camera da letto», è estremamente vulnerabile ai servizi di intelligence del Mossad. Così vulnerabile che «dopo la notizia dell’assassinio di Nasrallah, la Guida Suprema Khamenei è stata trasferita in un luogo sicuro», scrive il giornalista libanese Nadim Kotheich su AsasMedia. Questo, prosegue il giornalista, «rafforza la fiducia di Israele nelle proprie capacità» e allo stesso tempo segna la fine della teoria della «pazienza strategica» adottata dall’Iran.

 

La superiorità militare israeliana ha «spezzato la spina dorsale» di Hezbollah, che è capitolato nell’arco di dieci giorni, osserva Ghassan Charbel su al-Sharq al-Awsat. L’abisso in cui è precipitato il Libano è stata una sorpresa: «L’impressione era che Hezbollah fosse una forza monolitica difficile da penetrare. […] Mai prima d’ora una fazione armata è stata esposta a ciò a cui è stato esposto il Partito di Dio. Pur essendo accerchiato a Gaza, Hamas non ha subito nulla di simile».

 

Di tono decisamente diverso il commento su al-‘Arabi al-Jadid di Wa’il Qandil: «Se non è un martire, un uomo che ha fatto sacrifici per più di 33 anni, allora che cos’è?», ha scritto il giornalista egiziano lamentando lo stile comunicativo delle televisioni arabe, che nel dare la notizia della morte di Nasrallah hanno parlato perlopiù di «assassinio» o «omicidio», evitando la parola «martirio». La morte di Nasrallah «è una perdita per il Libano, la Palestina e tutti gli arabi. Non è esagerato affermare che la sua assenza avrà un impatto spaventoso sul peso regionale del Libano».

 

Anche i quotidiani filo-Hezbollah insistono naturalmente sull’eroismo del leader del Partito di Dio. Al-Akhbar paragona Nasrallah a Hussein, figlio dell’Imam Ali ucciso a Kerbela nella lotta per la successione al potere temporale e religioso del profeta Muhammad. Come Hussein, Nasrallah ha combattuto «per difendere un diritto pur sapendo che il prezzo da pagare era alto», ed «è diventato un simbolo eterno per tutti coloro che combattono contro l’ingiustizia». Chi «esprime orgoglio, segretamente o pubblicamente, per ciò che il nemico sta facendo in Libano, è lo stesso che è rimasto in silenzio e ha sostenuto il crimine a Gaza. Tutte queste persone vogliono convincere la gente che la resistenza è caduta, che la sua causa è perduta e che la gente deve sottomettersi e arrendersi». Al-Mayadeen ha pubblicato diversi articoli celebrativi di Nasrallah, definito un uomo che «ha lasciato un segno indelebile nella storia, che né i missili né le tonnellate di esplosivi degli Stati Uniti hanno potuto cancellare, un maestro che la morte non può cancellare».

 

Sono tanti, tuttavia, a dissentire da questa lettura. Su al-Quds al-‘Arabi il politologo siriano Sohbi Hadidi spiega le ragioni per cui molti siriani hanno esultato alla notizia dell’uccisione di Nasrallah: «dopo il 2011, i combattenti di Hezbollah hanno invaso la Siria, commettendo vari crimini di guerra» e molti «ritengono Nasrallah personalmente responsabile di aver trasformato un Paese di antica tradizione nella “Siria di Assad”». Hadidi riflette anche sul futuro di Hezbollah e considera due opzioni: se Teheran sceglie come successore di Nasrallah il cugino di quest’ultimo, Hashem Safi al-Din, andrà avanti con «scaramucce limitate»; se invece dovesse scegliere il vice di Nasrallah, Naim Qassem, che è «più vicino a un predicatore di una hawza, seminario sciita, che a quello di comandante militare» significa che «Khamenei avrà bevuto la coppa avvelenata, proprio come Khomeini quando accettò la pace con Saddam Hussein, e avrà accettato, sua malgrado, che Hezbollah possa essere ridimensionato, tornando a giocare un ruolo di “controllo morbido”, come negli anni ’80».