Una guida ai fatti della settimana nel Mediterraneo allargato e nel mondo musulmano attraverso la stampa araba
Ultimo aggiornamento: 30/04/2025 15:40:52
La decisione del governo giordano di sospendere le attività della Fratellanza Musulmana (al-Ikhwan al-Muslimun) ha attirato l’attenzione di gran parte della stampa araba, come sempre divisa in due blocchi: la parte filo-qatariota sostiene, seppur con sfumature diverse, il movimento islamista difendendone l’operato; l’altra vicina alle posizioni di Emirati e Arabia Saudita giustifica la posizione di Amman, meritevole di aver finalmente preso provvedimenti nei confronti di una forza considerata destabilizzatrice e troppo vicina ad Hamas.
Per quanto riguarda la stampa filo-qatariota, su al-‘Arabi al-Jadid l’accademico e politico giordano Muhammad Abu Rumman spiega come questa misura sia stata però male interpretata: «c’è grande confusione nella copertura mediatica e politica riguardo al provvedimento del governo giordano di interrompere l’attività» dell’organizzazione. Per cominciare, «c’è chi crede che la decisione sia nuova, ma si tratta di un vecchia disposizione giuridica». Altri invece, in una sorta di «allarmismo mediatico», hanno diffuso l’idea che «il “movimento islamista” abbia terminato tutte le sue attività in Giordania» e che la misura colpisca anche il Fronte dell’Azione Islamica, un partito con cui i Fratelli Musulmani hanno stretto una «partnership informale». «Non c’è niente di vero in tutto ciò» sostiene l’autore, che precisa: «la mossa del governo si iscrive all’interno di un lungo contesto e quadro storico, tra cui figura la crisi interna alla stessa Fratellanza – che si è divisa tra un’ala delle colombe guidata dai leader storici e la corrente dei falchi – emersa a seguito dell’entrata in vigore di una legge che richiedeva a tutte le associazioni di rinnovare i permessi sulla base di nuovi requisiti». Abu Rumman conclude spiegando che «la decisione del governo giordano non intende rifarsi a quelle di altri modelli o esperienze arabe che hanno giudicato il movimento come un gruppo terrorista, gettando i suoi membri in prigione e stigmatizzando l’appartenenza al gruppo. La politica giordana è lontana da tutto ciò; si tratta piuttosto di mettere sotto pressione il movimento per farlo rientrare nel perimetro regolamentare del gioco politico» nazionale. Al contrario, al-Quds al-‘Arabi, ritiene che l’obiettivo consista nel disfarsi di un attore scomodo e traccia un parallelismo con le decisioni prese in passato da altri Paesi arabi (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Egitto, Siria e Mauritania) che hanno messo al bando il movimento: «la Fratellanza è abituata a essere dissolta o a venir messa fuori legge. Nonostante desideri lavorare alla luce del sole, spesso è stata costretta a operare clandestinamente, soprattutto in presenza di una tendenza internazionale che prende di mira ogni forma di Islam politico nella regione araba. Ma questo avrà gravi ripercussioni e chi ne trarrà maggior beneficio sarà Israele». Un altro articolo di al-Quds aggiunge che Amman si stia ispirando al modus operandi del Marocco: l’obiettivo è quello di «separare la corrente islamista locale, rappresentata in Giordania dal Fronte d’Azione Islamica, dall’organizzazione madre» che, essendo presente in altri Paesi, ha una vocazione maggiormente internazionalista.
La testata islamista ‘Arabi 21 pubblica un articolo di carattere apologetico, presentando la Fratellanza come una formazione sotto attacco e vittima di una cospirazione mondiale: «il colpo subito in Giordania non è il primo e non sarà l’ultimo […]. A muoverle guerra vi è un’alleanza composta dalle autocrazie arabe, dal sionismo mondiale e dalle potenze coloniali», visto che fin dalla sua nascita, quasi cent’anni fa, ha rappresentato una «spina nel fianco del colonialismo occidentale». Per quanto riguarda il caso giordano, l’articolo evidenzia come il movimento abbia giocato per molto tempo un ruolo di primo piano nella vita politica e sociale del Paese, almeno fino agli accordi di Wadi Araba del 1994; tuttavia, «le pressioni regionali» subite da Amman a seguito del “Diluvio di al-Aqsa” e il «grande ruolo avuto dall’organizzazione nel mobilitare la gente a sostegno della “Resistenza”» hanno portato a un graduale deterioramento dei rapporti.
Opposta la visione dei giornali vicini alle posizioni degli Emirati, da sempre detrattori degli Ikhwan e dell’Islam politico. Al-‘Arab sostiene che le autorità giordane hanno agito dopo anni di «pazienza strategica» per sventare un «piano terroristico» che «intendeva minare la pace e la sicurezza sociale del Regno, destabilizzandolo in un momento molto delicato a livello regionale. Ciò che preoccupa e stupisce è il coinvolgimento di Hamas in questo piano, un movimento che ha da tempo trovato in Giordania una base popolare» stabilendo un vero e proprio «legame organico con la Fratellanza Musulmana». Sulla stessa linea anche il giornalista libanese Khayrallah Khayrallah: «è chiaro che Hamas, che non ha ancora compreso le conseguenze della caduta del regime siriano, sta cercando di trasferire la sua esperienza da Gaza al Regno. Ma Hamas non ha capito che Gaza è una cosa e la Giordania un’altra, in quanto quest’ultima è dotata di istituzioni solide e durevoli». Il concetto viene ribadito anche dalla testata emiratina al-‘Ayn al-Ikhbariyya: «è giunto il tempo che alcuni leader di Hamas si rendano conto che la Giordania non è il cortile di nessuno, né una zona in cui certe organizzazioni possono estendere la loro influenza, bensì uno Stato sovrano». Più equilibrata e “possibilista” l’analisi della piattaforma libanese Asas Media: anche se la Fratellanza è stata messa fuori legge, il destino del Fronte Islamico d’Azione è ancora sconosciuto; potrebbe infatti continuare a operare, magari accogliendo la parte più moderata degli Ikhwan. Secondo l’articolo, la strategia governativa «esclude la rottura completa, perché il Palazzo ha sempre cercato di indebolire il movimento, ma mai di abbatterlo, soprattutto quando si parla di un gruppo che ha impedito più volte» la proliferazione di movimenti radicali. Molto duro il giornale al-Sharq al-Awsat, di proprietà saudita, che non condivide l’analisi di Asas e ribatte: nonostante la delicata situazione del Paese, circondato dalle più gravi crisi regionali (Siria, Palestina e Libano), «il regime ha concesso spazio politico agli islamisti che alle ultime elezioni parlamentari hanno ottenuto, grazie al Fronte dell’Azione Islamica, 31 seggi. Una mossa che aveva lo scopo di mantenere l’equilibrio politico e sociale». In realtà, osserva con disappunto al-Sharq al-Awsat, «la vittoria degli islamisti non ha comportato l’accettazione delle regole del gioco politico, ma ha imbaldanzito la Fratellanza», portandola a «sfidare lo stesso establishment». L’articolo si chiude con un gioco di parole: la partita in Giordania non è solo fra un sistema statuale (nizam) e un’organizzazione (tanzim), ma è anche una «guerra ideologica e di visioni» opposte che determinerà il futuro dell’intero Medio Oriente.