Una guida ai fatti della settimana nel Mediterraneo allargato e nel mondo musulmano attraverso la stampa araba

Ultimo aggiornamento: 19/03/2024 10:46:58

Uno Stato formalmente ateo e comunista appiana le divergenze fra la più importante petro-monarchia arabo-sunnita e la repubblica islamica persiano-sciita. È una notizia certamente sorprendente e clamorosa, anche se ancora fresca, quella della ripresa delle relazioni, grazie alla mediazione cinese, tra Arabia Saudita e Iran dopo sette anni dall’interruzione dei rapporti bilaterali. Malgrado l’entusiasmo del momento, molti punti dell’accordo (ittifāq) sono avvolti da un alone di segretezza («molte incognite difficili da risolvere», come dice al-Quds al-‘Arabi) ed è assai arduo prevedere quali saranno le ricadute pratiche. Ne è ben consapevole la stampa araba che, pur nel generale clima di soddisfazione e fiducia, prende le dovute precauzioni mettendo in luce i numerosi caveat del caso. Ma andiamo con ordine.

 

Al-Sharq al-Awsat, giornale panarabo filo-saudita, ha tutto l’interesse a dedicare massima copertura all’evento, come possiamo constatare dal titolo di prima pagina di sabato 11 marzo: «Iran e Arabia…una pagina nuova grazie alla mediazione cinese», seguito, più in basso, da un trafiletto che descrive «l’ampia accoglienza» della notizia da parte dei capi di Stato del mondo arabo-islamico. Per il quotidiano, ciò che rende valido l’accordo è il ruolo di Pechino, una «garanzia di serietà» (p. 2). Nel cartaceo del 12 marzo, l’ex direttore del giornale Tariq al-Hamid si chiede cosa sia cambiato nei rapporti di forza tra le due potenze regionali: «la verità è che l’Arabia Saudita non è cambiata, è piuttosto il regime iraniano che sta attraversando una cisi esistenziale; ma sbaglia chi ritiene che Riyad abbia ora offerto a Teheran un salvagente, perché la crisi iraniana è un prodotto del regime stesso. La crisi dell’Iran è puramente interna». E quindi «la realtà regionale ci dice che l’Arabia Saudita è oggi molto più sviluppata tanto a livello economico quanto politico, mentre l’Iran si trova tra scontri interni ed esterni. Riyad non vuole però intromettersi» in queste crisi, bensì instaurare legami che si basano sulla cooperazione. Al-Sharq al-Awsat non nasconde tuttavia i dubbi e le incertezze presenti nell’Ittifāq, come dimostra la prima pagina del 13 marzo: a destra, l’annuncio del principe ereditario Mohammed bin Salman sull’apertura della tratta aerea Riyad-Teheran; a sinistra, l’intervista al ministero degli esteri saudita, l’emiro Faysal bin Furhan, in cui questi dichiara che «l’intesa saudita-iraniana non significa l’appianamento di tutte le divergenze».          

 

Come detto, la Cina è «garante di questo accordo», mentre «gli Stati Uniti e l’Occidente non si sono dimostrati seri» fin dai colloqui sul dossier nucleare iraniano del 2015. Per Ghassan Sherbel, attuale direttore del giornale panarabo, il ruolo di garante non rende giustizia al gigante asiatico, che sta giocando nello scenario regionale una partita più ampia e ambiziosa, proponendo un nuovo linguaggio: «il Medio Oriente non può affrontare i prossimi decenni con la vecchia lingua. Ha bisogno di un altro vocabolario, dove l’ossessione del progresso prevalga su quello della vittoria. Non c’è obiettivo più eccelso che migliorare il tenore di vita delle persone e dotare la nuova generazione di strumenti moderni incitandola a produrre e a innovare. Si sono sprecate ricchezze e sono stati esauriti fondi nella reciproca paura» di scontri e fratture interne. I cinesi hanno adottato una «espressione magica: “rispetto per la sovranità nazionale e non intromissione negli affari interni”», che in effetti costituirebbe una novità assoluta. «La Cina – prosegue Sherbel – ha svolto questo ruolo a causa di quanto ha fatto negli ultimi quarant’anni. Ha dismesso il progetto di cambiare il mondo con le invenzioni ideologiche prestando attenzione agli affari interni: scuole, fabbriche, lotta alla povertà, convinzione nel portare avanti lo sviluppo scientifico e tecnologico». Il “vocabolario” non è stato dato alle fiamme, preservando quindi la stabilità dello Stato, anzi Pechino «ha curato le voci di questo lessico alla luce di dati di fatto e di necessità», aprendo così le porte al rispetto, raddoppiando l’impegno, l’innovazione e accumulando i successi.       

 

 

«La Cina entra in Medio Oriente passando per la porta principale», titola Al Jazeera: «a sorpresa e senza anticipazioni è avvenuto l’incontro per riprendere le relazioni dopo sette anni. Non si è trattato dell’unica sorpresa di questo annuncio, perché quella più grande – e forse la più importante visto che se ne parla nella regione da almeno mezzo secolo – è che l’accordo è stato firmato a Pechino, grazie alla sua mediazione e al suo pieno sostegno. Gli echi di questa sorpresa risuonano nelle maggiori capitali mondiali, soprattutto a Washington. In termini geostrategici, l’intesa arabo-persiana è come un terremoto politico che ha colpito il cuore degli equilibri mediorientali e sparigliato calcoli e giochi locali». Il sito dell’emittente qatariota sottolinea – sia in senso figurato che letterale, visto che scrive in grassetto – che, in primo luogo, «l’accordo pone freno alle tensioni e allo scontro tra i due più grandi Stati di una delle regioni più sensibili del mondo, ovvero il Golfo arabo, di enorme importanza strategica, economica e politica. In secondo luogo, però, porterà a ridisegnare la mappa dei conflitti e delle alleanze» e, in particolar modo, manda in «confusione Israele nella sua contrapposizione esistenziale all’Iran». In definitiva, «l’accordo rappresenta la rottura dei tentativi di isolamento regionale messi in atto da Tel Aviv e Washington» contro Teheran, e di conseguenza potrebbe convincere gli americani a riprendere i colloqui sull’accordo nucleare. Soddisfazione anche dal qatariota al-Watan, che scrive a caratteri cubitali: «il Qatar accoglie la ripresa delle relazioni tra Riyad e Teheran». Diversa la presentazione della notizia da parte dell’emiratino al-Ittihad, che nella prima pagina del 12 marzo mette in mostra, come prima cosa, il rafforzamento della partnership completa con la Cina e, poi, in uno striminzito trafiletto ripreso a pagina 17, il suo benestare all’accordo.      

 

 

Al-Quds al-‘Arabi sottolinea, in maniera analoga agli altri giornali, come l’iniziativa cinese prenda a picconate i piani americani in Medio Oriente: «il settore principale del piano americano è quello militare, volto alla creazione di un nemico, e alla presentazione di Stati Uniti e Israele come l’unico argine contro questo nemico. Si è quindi passati da una mera alleanza per combattere il terrorismo alla stesura di un piano per costruire una alleanza di carattere militare e anti-iraniana», il cui perno è costituito da Israele. La prospettiva cinese, invece, muove da presupposti diversi, ossia dal fatto che «il mondo sta sperimentando cambiamenti repentini» e che occorre instaurare accordi multilaterali basati su dialogo, cooperazione e rispetto reciproco. È finito il tempo in cui una sola potenza era in grado di risolvere i problemi, dalla questione israelo-palestinese al cambiamento climatico, tanto che la Cina «non intende espellere gli Usa fuori dalla regione», ma solo rafforzare il principio del multilateralismo. Il concetto viene riproposto in un altro articolo della testata, dove «nonostante le difficoltà di fare previsioni sul futuro e senza eccedere nell’ottimismo», l’intesa rappresenta senz’altro un punto di svolta.  A differenza di al-Sharq al-Awsat, al-Quds non è così sicuro che il rapporto di forza penda completamente a favore dei sauditi: «la Cina ha giocato un ruolo decisivo, sfruttando il suo peso economico e strategico, dopo che le sue relazioni col Medio Oriente erano, fino ad ora, basate sul petrolio e sugli interessi economici».     

Per ‘Arabi 21 «la ripresa delle relazioni tra sauditi e iraniani abbisogna di prove concrete». Ciononostante, l’accordo presenta notevoli prospettive economiche che, oltre ai noti accordi commerciali e petroliferi, comprende anche il redditizio settore del turismo religioso, con vantaggi reciproci: da una parte aumenterebbe il flusso degli iraniani nel pellegrinaggio verso la Mecca, dall’altra permetterebbe alla minoranza saudita sciita di visitare i luoghi santi in Iran.  

 

Chiudiamo infine con al-‘Arabi al-Jadid: il quotidiano panarabo di proprietà qatariota non aggiunge niente di nuovo rispetto a quanto detto dagli altri giornali, ma una sua vignetta è degna di menzione: un drago rosso (inutile dire quale nazione rappresenta) con una maschera sul volto a forma di colomba della pace, sulle cui ali-corna sventolano le bandiere saudite e iraniane. Per quanto pacifico appaia, sotto la candida maschera della creatura dardeggiano due occhi rossi tutt’altro che amichevoli...

 

 

 

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