Madawi al-Rasheed, A History of Saudi Arabia, Cambridge University Press, Cambridge, 2010 (seconda edizione)

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:41:31

Malgrado la sua importanza, l’Arabia Saudita rimane poco conosciuta ai più. Messe a parte le pubblicazioni di taglio celebrativo, sono poche le opere che mettono a tema le vicende del Regno, che affonda le sue radici nell’alleanza tra un predicatore rigorista (Ibn ‘Abd al-Wahhâb) e un emiro dell’Arabia orientale (Ibn Sa‘ûd), a metà del Settecento. Torna perciò a merito dell’autrice, saudita e docente al King’s College di Londra, aver fornito un’esposizione sintetica e al tempo stesso documentata della storia del Paese. «KSA [Kingdom of Saudi Arabia] is a country of contradictions, dear sister». L’osservazione, tratta da un blog, si presta bene a riassumere molte delle conclusioni cui giunge l’autrice. La prima e più stridente è la contraddizione tra l’ideologia wahhabita ufficiale e il desiderio di promuovere una “cultura del dialogo” da opporre alla “cultura del terrorismo” che negli ultimi anni ha scatenato una campagna di violenza nel Paese, dopo aver contribuito in maniera decisiva agli attentati dell’11 settembre 2001. Al termine di un’articolata analisi, l’autrice conclude che «[il governo] è impegnato in una battaglia religiosa con le sue stesse fonti di legittimità, l’insieme di principi wahhabiti su cui fu fondato lo stato» (233). Una seconda contraddizione risiede nel contrasto tra la ricchezza che è seguita al primo e al secondo boom petrolifero (quest’ultimo iniziato nel 2004 e tuttora in corso) e la povertà in cui versano alcune aree del Paese, in particolare le periferie urbane e la regione orientale abitata dalla minoranza sciita. Ancora si può constatare una disparità tra l’influenza che l’Arabia Saudita esercita a livello mondiale attraverso le numerose fondazioni islamiche e la fragilità a livello locale, evidenziatasi in particolare durante la Guerra del Golfo. Il volume documenta lo sviluppo progressivo di uno Stato moderno a partire dai tempi eroici di ‘Abd al-‘Azîz Ibn Saʽûd (r. 1902-1953), quando l’intero archivio governativo, depositato in alcune casse, seguiva il re nei suoi spostamenti, fino all’attuale strutturazione in ministeri, benché di fatto il potere rimanga diviso tra circoli informali spesso in concorrenza. Da ultimo si registra la crescente tensione tra società civile e movimenti ultra-conservatori preoccupati di conservare le tradizioni islamiche (spesso proprie alla sola Arabia Saudita, come il controverso divieto per le donne di guidare automezzi), questi ultimi sostenuti dal governo finché non pongono in questione la legittimità del sistema, in un’alleanza che l’autrice definisce «non così santa» (p. 59). Diverse sono state nell’ultimo decennio le richieste di riforme, ma il governo ha avuto buon gioco nel dividere i suoi oppositori, d’estrazione in parte liberale e in parte islamista. Sul futuro pesa l’incognita della successione: l’attuale re Abdallah ha stabilito nel 2007 che dopo il suo successore designato, principe Sultan, sia un comitato di 35 membri a scegliere i futuri monarchi. Molto interessanti risultano le considerazioni sul significato dei più di 100 matrimoni contratti dal fondatore dello Stato moderno, Ibn Sa‘ûd, e la critica al luogo comune per cui l’emirato saudita sarebbe nato su base tribale, mentre si può osservare che manca quasi ogni accenno alla presenza di minoranze religiose non islamiche, prima fra tutte la comunità d’immigrati cristiani che si stima ammontare a quasi un milione di persone. Alcune aperture del re ‘Abdallah, come le elezioni municipali, l’inclusione di rappresentanti di tutte e quattro le scuole giuridiche sunnite nel Consiglio degli ‘ulamâ’ o la visita in Vaticano sembrano preludere a un percorso di riforma. Peraltro – conclude l’autrice – «è certamente prematuro concludere che l’Arabia Saudita inaugurerà a breve un quarto stato nel quale il Paese sarà governato da istituzioni elettive piuttosto che da alcuni principi» (277).

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