I regnanti hanno incaricato il Segretario generale della Lega musulmana mondiale, Muhammad al-‘Issa, di guidare la preghiera principale del pellegrinaggio, suscitando l’indignazione degli islamisti. Chi è al-‘Issa e perché questa polemica

Ultimo aggiornamento: 26/07/2022 13:09:38

La famiglia reale saudita sembra sempre più determinata a lasciarsi alle spalle la tradizione wahhabita. Negli ultimi anni i segnali in questa direzione sono stati innumerevoli. L’ultimo, in ordine temporale, è la decisione di re Salman di affidare il sermone del giorno di ‘Arafa, uno dei momenti cruciali del pellegrinaggio annuale, che pochi giorni fa ha riunito a Mecca un milione di persone, a Muhammad al-‘Issa, ex ministro della Giustizia saudita (in carica dal 2009 al 2015) e attuale Segretario generale della Lega musulmana mondiale. Membro dal 2016 del Consiglio degli Ulema – la più alta istituzione religiosa del Paese, creata da re Faysal nel 1960 e composta da esperti di sharī‘a perlopiù sauditi, ma non solo, nominati direttamente dal re –, da qualche anno al-‘Issa è diventato il volto del rinnovamento dell’Islam saudita, definito dal quotidiano nazionale al-Riyādh «il modello di spicco della ‘moderazione’».

 

Inizialmente, il Consiglio era una sorta di collegio delle personalità più influenti del clero wahhabita, ma la situazione è cambiata dopo l’ascesa al trono di re Salman nel 2015 e del figlio di questi Muhammad Bin Salman (MbS). Teoricamente, questa istituzione sarebbe incaricata di consigliare i governanti sulle questioni religiose ed emettere fatwe attraverso il Comitato permanente per la ricerca e la fatwa. Negli ultimi anni però la prima di queste due prerogative è stata fortemente ridimensionata, mentre resta preponderante la seconda. Quest’evoluzione si inserisce nel processo più ampio di accentramento del potere e di depotenziamento dell’autorità e dell’influenza dei religiosi messi in atto dall’erede al trono. Inoltre, dopo i cambiamenti introdotti dai regnanti, oggi all’interno del Consiglio convivono due anime: quella conservatrice, meglio rappresentata dal suo presidente nonché Gran muftì dell’Arabia Saudita dal 1999, shaykh ‘Abdulaziz bin Abdullah Āl al-Shaykh (discendente da un ramo della famiglia di ‘Abd al-Wahhab, fondatore del Wahhabismo), e quella riformista, di cui Muhammad al-‘Issa è la massima espressione.

 

Per più di trent’anni, precisamente dal 1982 al 2015, il sermone nel giorno di ‘Arafa è stato pronunciato ogni anno da shaykh ‘Abdulaziz bin ‘Abdullah Āl al-Shaykh, dunque dal rappresentante della linea conservatrice del Consiglio degli Ulema. Dall’anno successivo, re Salman ha affidato l’incarico ogni anno a una persona diversa: nel 2016 il compito è stato assegnato ad ‘Ali ‘Abd al-Rahman al-Sudays, imam della moschea di Mecca, nel 2017 è stata la volta di shaykh Saad bin Nasir al-Shathri, nel 2018 è toccato all’imam della moschea di Medina Hussein Āl al-Shaykh, al quale sono seguiti shaykh Muhammad bin Hasan Āl al-Shaykh nel 2019, shaykh ‘Abdullah bin al-Mani‘ nel 2020 (negli anni ’70 ricoprì la carica di Vice dell’ex gran muftì Ibn Baz) e shaykh Bandar bin ‘Abdulaziz Balila nel 2021, uno dei più celebri recitatori sauditi del Corano. Tutte figure che si collocavano, chi più, chi meno, nel solco della tradizione. La nomina di Muhammad al-‘Issa segna dunque un cambio di passo importante nella politica religiosa del Paese e verso quella che può definirsi un’ulteriore rottura con il clero wahhabita.

 

Chi è Muhammad al-‘Issa

 

Con una laurea e un dottorato in Giurisprudenza islamica conseguiti all’Università islamica Imam Muhammad bin Saud di Riyad, uomo di fiducia del Principe ereditario saudita Muhammad bin Salman, al-‘Issa ha assunto una statura internazionale dopo essere stato nominato Segretario generale della Lega musulmana mondiale nel 2016. Sotto la sua leadership, la Lega ha assunto un ruolo nuovo. Fondata nel 1962 da re Faysal, essa è stata per molti decenni il principale organo preposto alla diffusione del salafismo all’estero. Dopo l’11 settembre la Lega musulmana ha conosciuto un forte ridimensionamento delle proprie prerogative e del proprio prestigio ma oggi sta vivendo un momento di forte visibilità ed è diventata uno dei principali vettori della nuova narrazione di MbS sulle questioni religiose. Ad essa spetta il compito di riabilitare l’immagine dell’Arabia Saudita all’estero promuovendo un «Islam moderato» e favorendo il dialogo interreligioso. L’evoluzione deL consiglio saudita degli ulema si inserisce nel più ampio processo di accentramento del potere da parte di MbSAl-‘Issa è diventato il protagonista assoluto di questo nuovo orientamento. Nel 2017 ha incontrato in Vaticano papa Francesco e il Cardinale Jean-Louis Tauran, all’epoca presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso (l’anno successivo il Cardinale ha ricambiato la visita ed è stato ricevuto da re Salman in persona a Riyad), nel 2018 è stato insignito del premio Galileo a Firenze per la promozione del dialogo interreligioso e interculturale e ha partecipato al Meeting dell’Amicizia tra i Popoli di Rimini (e parteciperà anche a quello di agosto 2022), mentre nel 2021 ha ricevuto il premio norvegese Bridge Builders per il suo impegno nel costruire ponti tra religioni e culture differenti. In questi anni, il Segretario generale della Lega ha aperto un canale di comunicazione anche con la Chiesa ortodossa russa e il patriarca di Mosca Kirill, con cui nel 2019 ha firmato un accordo di cooperazione, e soprattutto, ha coltivato i rapporti con diverse istituzioni ebraiche negli Stati Uniti e nel mondo. Nel 2020 al-‘Issa ha guidato una delegazione formata da oltre 60 musulmani (25 dei quali leader religiosi) nella visita al campo di concentramento di Auschwitz in occasione del 75esimo anniversario della liberazione dal nazismo. Un atto che gli è valso una pioggia di critiche dal fronte islamico e un grande apprezzamento da parte del mondo ebraico, soprattutto americano. 

 

Tra le iniziative volte a promuovere un “Islam moderato” rientra anche la Dichiarazione di Mecca, firmata il 28 maggio 2019 da re Salman e da 1200 ulema provenienti da 139 Paesi al termine di una conferenza patrocinata dalla Lega islamica mondiale. Tra gli obbiettivi proclamati dalla Dichiarazione (che sembra fare in parte eco al Documento sulla Fratellanza umana, firmato soltanto pochi mesi prima ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dal Grande imam dell’Azhar Ahmad al-Tayyib) c’è, per l’appunto, quello di promuovere «i valori islamici della tolleranza, della pace e della convivenza» (punto 27 della Dichiarazione), e la «cittadinanza globale» (punto 22). Nel suo intervento durante il primo forum internazionale della Dichiarazione di Mecca, tenutosi a Washington nel novembre 2021, al-‘Issa ha definito la Dichiarazione «un’estensione della Costituzione di Medina, che stabilisce i valori della tolleranza religiosa e della fratellanza umana». Quello della cittadinanza peraltro è un tema piuttosto ricorrente nel nuovo discorso della Lega, tant’è vero che anche alla cerimonia di apertura dell’VIII Forum per la promozione della pace nelle società musulmane tenutosi a Expo Dubai lo scorso dicembre, al-‘Issa ha menzionato la «cittadinanza inclusiva» facendo riferimento, ancora una volta, alla Carta di Medina. 

 

L’ira degli islamisti

 

La Lega garantisce dunque al Regno saudita una proiezione islamica internazionale attraverso la persona di al-‘Issa, che rappresenta il volto del rinnovamento religioso auspicato da MbS in più di un’occasione. Ciò rende molto significativa la scelta di re Salman di affidare al Segretario generale di questa istituzione la guida della preghiera in una delle occasioni più importanti dell’anno per i musulmani di tutto il mondo, soprattutto se si pensa che la preghiera di ‘Arafa viene tradizionalmente diffusa dalle televisioni e dalle radio di tutti i Paesi a maggioranza islamica e che quest’anno il sermone è stato tradotto in ben quattordici lingue. La Lega musulmana è uno dei principali vettori della nuova narrazione di MbS sulle questioni religiose. Al-‘Issa ne è il protagonista La nomina di al-‘Issa tuttavia ha scatenato un’ondata di protesta tra gli islamisti, che su Twitter hanno lanciato l’hashtag “Fate scendere al-‘Issa dal pulpito”. A renderlo impresentabile ai loro occhi è il suo impegno per il dialogo interreligioso e soprattutto i suoi rapporti con il mondo ebraico. Gli islamisti, che hanno ribattezzato al-‘Issa «l’imam sionista», temono che la sua nomina sia un espediente della famiglia reale per spianare la strada alla normalizzazione con Israele. In questo senso è abbastanza eloquente la vignetta che circolava su Twitter pochi giorni fa: al-‘Issa sul pulpito della moschea di Nimra, sul monte ‘Arafa, intento a leggere un sermone retto da un rabbino alle sue spalle.

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Vignetta che circolava su Twitter: al-‘Issa intento a leggere un sermone retto da un rabbino alle sue spalle

 

Oltre alle ragioni politiche, i suoi detrattori hanno addotto anche motivazioni di carattere giuridico: l’imam incaricato di guidare la preghiera nei giorni più importanti del calendario islamico dev’essere una persona integerrima, che aderisce all’insegnamento profetico, dal momento che è investito dell’importante compito di «preservare le credenze, l’etica e il pensiero dei pellegrini dall’inganno, dalla confusione e dalla sedizione» – tutte qualità di cui al-‘Issa sarebbe però privo.

 

Muhammad al-Saghir – Segretario generale dell’Organizzazione internazionale a sostegno del Profeta dell’Islam e membro dell’Unione mondiale degli Ulema di Doha – ha anche emesso una fatwa il giorno prima della celebrazione secondo cui non era lecito pregare dietro Muhammad al-‘Issa. Nonostante la pioggia di contestazioni, il Segretario generale della Lega ha guidato, come previsto, la preghiera e pronunciato un sermone piuttosto convenzionale.

 

Al di là delle obiezioni sollevate dalla galassia islamista, la decisione del Custode dei due luoghi santi – titolo di cui si fregia il sovrano saudita e che ricorda il compito di cui è investita la famiglia reale – ha sicuramente una forte valenza simbolica e politica. A livello interno essa riafferma la volontà della monarchia di emarginare il clero wahhabita conservatore, che quest’anno si è visto privato di una grande occasione di visibilità, mentre a livello internazionale mira a offrire l’immagine di un Paese riformista e moderato, che si sta gradualmente lasciando alle spalle le intransigenze della dottrina wahhabita ed è pronto a diventare un interlocutore per il dialogo interreligioso e interculturale, ponendosi in diretta “concorrenza” con gli Emirati, che negli ultimi anni sono stati i massimi interpreti della politica della tolleranza religiosa.

 

 

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