Nel corso del tempo il leader ceceno ha costruito una vasta rete di rapporti con i Paesi del Golfo e si pone come intermediario tra Mosca e il Medio Oriente. Oggi è tra i più accesi sostenitori della guerra in Ucraina, che considera un jihad

Ultimo aggiornamento: 14/03/2024 14:34:03

Comandante, guerriero, ribelle, ma anche servitore dello Stato, capo politico, conferenziere, diplomatico e persino autorità religiosa. Tutto questo è, o vorrebbe essere, Ramzan Akhmatovič Kadyrov, il generale musulmano di etnia cecena che, insieme all’ex presidente della Federazione Dmitrij Medvedev e al ministro della difesa Sergej Šojgu, è considerato dagli esperti di cose russe come uno dei “fedelissimi” di Putin, nonché figura chiave dell’invasione dell’Ucraina e tra i più accesi sostenitori della guerra insieme all’oligarca Yevgeny Prigozhin, capo della compagnia mercenaria Wagner. A differenza degli altri, però, Kadyrov non è un uomo di palazzo o di affari, tutt’altro: inizia la sua carriera combattendo proprio contro il Cremlino, per poi diventarne un prezioso alleato.

 

Andiamo con ordine. Ramzan, adattamento fonetico di Ramadān, nasce nel 1976 a Tsentaroy, un modesto villaggio alle pendici del Caucaso distante una cinquantina di chilometri da Grozny, capitale dell’allora Repubblica Socialista Sovietica di Cecenia-Inguscezia, territorio autonomo dell’Unione Sovietica. Suo padre è Akhmat-Khadzhi Abdulkhamidovič, nato nel 1951, membro di un influente clan del luogo che ha sofferto il dominio sovietico, subendo le collettivizzazioni e il processo di russificazione. Durante la Seconda Guerra mondiale, nell’ambito di una politica di ricollocamenti forzosi attuata da Stalin, i Kadyrov vengono deportati, insieme ad altre famiglie cecene, in Asia centrale. Le conseguenze risulteranno drammatiche anche per l’intera comunità che alla fine dell’esilio, nel 1957, conterà migliaia di morti e sfollati, un’esperienza che segnerà in maniera indelebile la memoria collettiva della minoranza etnico-religiosa.

 

E infatti Akhmat approfitta della dissoluzione dell’URSS per sostenere la causa del leader separatista Dzhokhar Dudayev, il quale proclama nell’agosto del 1991 la “Repubblica cecena di Ichkeria”. Grazie alla sua formazione teologica – in gioventù ha frequentato una madrasa di Bukhara e si è laureato in Studi islamici all’Università di Tashkent – viene nominato Gran Mufti del neonato Stato. Quando Mosca invia le sue truppe nella provincia ribelle per ristabilire il controllo del governo centrale, egli dichiara il jihād contro i russi e manda i suoi figli, incluso il diciottenne Ramzan, a combattere.

 

Occorre, a questo punto, aprire una breve parentesi e spiegare l’importanza per i ceceni del legame tra religione e coscienza nazionale, in quanto il jihād del Gran Mufti rievoca un preciso precedente storico. Negli anni ’30 e ’40 del XIX secolo, periodo in cui il Caucaso cade definitivamente sotto il controllo dell’impero russo, la popolazione cecena, situata in una zona periferica del mondo musulmano e praticante un Islam spurio, mescolato a locali tradizioni pagane, viene “riconvertita” all’ortodossia da due carismatiche figure: la prima è l’imam Shamil, che si pone a capo della resistenza contro le truppe dello Zar appellandosi al concetto di ghazawat, molto simile a quello del jihād offensivo; la seconda è il mistico Kunta-haji Kishiev, fondatore della corrente sufi “zikrista” che, pur opponendosi agli invasori, predica la non-violenza e la resistenza passiva. Come si vedrà, jihad(ismo) e sufismo sono le due facce dell’Islam ceceno, legate a doppio filo alle vicende politiche e alle istanze indipendentiste della minoranza.   

 

Torniamo a Kadyrov. Il giovane Ramzan segue le orme paterne e cresce in un ambiente violento, segnato da una guerriglia contro i russi che si protrae per tutti gli anni ’90. I separatisti non si limitano a difendere la “patria”, ma mettono in crisi il potere centrale compiendo una serie di sanguinosi attentati, in linea con il modus operandi delle organizzazioni salafite-jihadiste. Il fenomeno estremista si aggrava nel 1998, quando dal vicino Daghestan arrivano mujāhidīn simpatizzanti del wahhabismo, una sottocorrente del salafismo estranea alla tradizione religiosa cecena[1], ma che trova terreno fertile in parte della popolazione locale, afflitta dalle precarie condizioni socioeconomiche causate dal difficile periodo post-sovietico e dal conflitto.   

 

Vladimir Putin, eletto presidente della Federazione nel 2000, comprende che l’insurrezione non è più una crisi periferica, bensì un problema di sicurezza nazionale da risolvere il più rapidamente possibile. Opta quindi per un cambio di strategia e attua la famosa “cecenizzazione”: si tratta di una politica di controinsorgenza volta a normalizzare le relazioni fra ribelli e Stato, cooptando le figure apicali all’interno dell’apparato statuale e incorporando i battaglioni islamisti nei ranghi dell’esercito regolare. Kadyrov padre, dismessi i panni religiosi, viene nominato capo dell’amministrazione, dietro la promessa di riappacificare la regione e porre un freno all’avanzata del salafismo tra la sua gente. La scelta del Cremlino di legarsi a Kadyrov non risponde soltanto a esigenze di carattere strategico e securitario, ma risulta anche coerente con la nuova ideologia di Stato: l’eurasiatismo. Questa corrente, teorizzata negli anni ’20 del XX secolo e poi riproposta tra gli altri dal filosofo Aleksander Dugin per colmare il vuoto ideologico post-comunista, assegna alla Russia caratteristiche culturali “eccezionaliste” a metà tra il mondo occidentale e quello asiatico. In Cecenia il principale sostenitore di questa Weltanschauung è Khoj Ahmed Nukhaev, un gangster in contatto con ex elementi del KGB che nei primi anni 2000 diventa l’intermediario fra Mosca, Kadyrov e il mufti locale. Nei suoi scritti e discorsi Nukhaev sostiene la necessità di creare una convergenza tra l’identità regionale cecena e quella russa, una sorta di alleanza tra Ortodossia cristiana e Islam sunnita che plachi, nel nome di un comune spirito eurasiatico, i sentimenti indipendentisti e si opponga ai due grandi nemici dello Stato e della minoranza: l’Occidente globalista e liberale da una parte, l’Islam estremista e “wahhabita” dall’altro[2].

Vladimir Putin e Ramzan Kadyrov nel 2015 (fonte: www.kremlin.ru)

 

Malgrado questa cornice ideologica, la nomina di Akhmat, che instaura fin da subito un regime dispotico e basato sul culto della personalità, genera forti risentimenti all’interno della popolazione cecena. Le fazioni più oltranziste e pro-salafite, irritate dalla svolta religiosa “moderata”, reagiscono intensificando gli attentati suicidi nel Paese, i più gravi dei quali sono l’assalto delle “vedove nere” al teatro Dubrovka di Mosca nell’ottobre 2002, in cui perdono la vita 129 civili, e la strage alla scuola di Beslan del 2004, con 334 morti, molti dei quali minorenni. Anche i clan filorussi, come quello dei Basaev, rimangono molto delusi dal nuovo capo, nel frattempo eletto presidente della Cecenia, poiché visto come un voltagabbana e un arrivista interessato unicamente al potere. Sono probabilmente gli stessi Basaev a pianificare l’attentato dinamitardo nello stadio di Grozny in cui il 9 maggio 2004 perde la vita Akhmat, pochi mesi dopo la vittoria alle elezioni presidenziali.

 

Ramzan, desideroso di vendicare la morte del padre e di ereditarne la carica (per la Costituzione regionale deve attendere il compimento del trentesimo anno per assumere la leadership), si inserisce nella faida intra-cecena scoppiata subito dopo l’assassinio e comincia la scalata verso il potere, conclusasi il 15 febbraio 2007 con la nomina alla presidenza. La chiave del suo successo, al netto di efferatezze e violenze, risiede nella sua capacità di mescolare e armonizzare i vari orientamenti presenti tra i miliziani – filo-russismo, islamismo, identità nazionale – in una retorica coerente ed efficace. Come già accaduto nella storia della regione, l’elemento religioso gioca un ruolo fondamentale nel mantenimento del potere: abbandonato il jihād delle insurrezioni, Kadyrov si presenta come pio governante e musulmano conservatore, evitando di scadere, almeno in apparenza, nell’estremismo salafita. Significative, a tal proposito, la visita e la preghiera in stile sufi presso le tombe di personalità storiche, tra cui Kheda, la madre del mistico Kunta-haji[3].  

 

Richiamandosi al movimento sufi ottocentesco, Kadyrov promulga una legislazione di stampo moraleggiante e devota ai valori tradizionali del suo popolo: approva ordinanze che proibiscono il consumo di alcol e il gioco d’azzardo, rende obbligatorio l’hijāb per le donne impiegate nel settore pubblico, incoraggia il culto dei santi e degli antenati, stanzia fondi per la costruzione di maestose moschee (la prima viene inaugurata nel 2008 e intitolata al padre, l’ultima nel 2019 ed è considerata “la più grande d’Europa”)[4]. In realtà, dietro la sottile patina del moderatismo, si cela un regime illiberale e brutale che viola i più basilari diritti umani e politici e ricorre regolarmente, grazie all’impunità garantitagli dallo Stato, a torture, rapimenti ed esecuzioni di oppositori e “deviati”. Le agenzie umanitarie sottolineano con costernazione come il governo locale si accanisca contro gli omosessuali che, nelle parole del presidente, sono nie-liudi, dei «‘non-uomini’ che infettano la purezza del sangue ceceno»[5].

La moschea Akhmad Kadyrov, anche nota come La moschea Akhmad Kadyrov, anche nota come "Il Cuore della Cecenia"

 

Il riferimento al zikrismo, oltre a ingentilire la figura del leader, è premessa di un altro punto cardine della sua politica: l’accettazione della sovranità russa sulla regione, che in Kadyrov si traduce nell’alleanza con Mosca e nel giuramento di fedeltà eterna a Putin. Questi, soddisfatto del processo di pacificazione della Cecenia, gli affida delicate missioni militari all’estero. I pretoriani di Ramzan, i cosiddetti kadirovsky, sono presenti nelle crisi di Ossezia e Ucraina, rispettivamente nel 2008 e nel 2014, anche se il loro ruolo è secondario. Quando nel settembre 2015 la Russia entra direttamente nel conflitto in Siria, Kadyrov invia un battaglione per dimostrare al Cremlino il valore dei suoi uomini. Inoltre, il consigliere del leader e il Gran Mufti di Cecenia si recano nel Paese arabo: visitano Aleppo, appena strappata dall’esercito governativo al controllo dei ribelli dopo un lungo e devastante assedio, e incontrano il generale Maher Assad, fratello del presidente Bashar, e alcune figure religiose locali[6]. Si instaura una partnership siro-cecena che prevede l’invio di aiuti umanitari agli sfollati, l’attivazione di corsi di formazione e lo stanziamento di fondi per la ricostruzione della Moschea degli Omayyadi[7].   

 

Parallelamente agli impegni bellici, Kadyrov apre canali diplomatici e religiosi con i Paesi del Golfo, che considera modelli da imitare per il compromesso raggiunto tra autoritarismo, conservatorismo e benessere socioeconomico. A partire dal 2010, compie una serie di viaggi in Medio Oriente, nel (poco riuscito) tentativo di accreditarsi come autorevole leader musulmano e di rendere la Cecenia uno strategico trait d’union tra mondo arabo e Russia. Dopo un’iniziale intesa con l’Arabia Saudita, Ramzan rompe i legami, anche a livello internazionale, col wahhabismo e crea un’intesa con i principali avversari dell’“islam politico”: Emirati Arabi Uniti ed Egitto. Strategia che diventa esplicita nei giorni tra il 25 e il 27 agosto 2016, quando il leader organizza a Grozny la “Conferenza Islamica Mondiale”, che ha l’obiettivo di elaborare una definizione chiara e univoca del sunnismo. All’evento, co-organizzato con due istituzioni emiratine, la Fondazione Taba e il Consiglio dei Saggi musulmani, partecipano centinaia di personalità musulmane (si segnalano tra gli altri i Gran Mufti di Egitto, Giordania, Siria, Yemen, Caucaso e Cecenia e il Grande Imam di al-Azhar); non viene invitato, invece, alcun esponente del wahhabismo e del salafismo, correnti giudicate estranee alla tradizione islamica[8]. Con questa conferenza Kadyrov consolida i legami con gli Emirati Arabi Uniti e, a partire dalla fine del 2016, si reca più volte ad Abu Dhabi, ospite dello sceicco Mohamed bin Zayed in eventi sia religiosi che mondani. L’obiettivo è duplice: creare, da una parte, un fronte comune dell’Islam “moderato” che si opponga alla Fratellanza Musulmana e all’“islamismo estremista” già condannato dall’incontro di Grozny e avviare, dall’altra, una serie di partenariati e attività imprenditoriali per favorire lo sviluppo della Cecenia, che nei sogni di Kadyrov dovrebbe trasformarsi, sul modello degli Emirati, in una terra di start-up, centri commerciali, grattacieli avveniristici e maestose moschee. Quello che a Mosca interessa maggiormente, però, è il fatto che egli mantenga buone le relazioni con i Paesi del Golfo, inclusa l’Arabia Saudita, che nella guerra civile siriana sostiene le milizie ostili al presidente Assad. Già pochi mesi dopo la conferenza di Grozny, Kadyrov attenua le sue posizioni anti-wahhabite[9]: nell’agosto 2018 va in pellegrinaggio alla Mecca e incontra il principe ereditario Mohammad bin Salman e importanti esponenti politici.

                        

Malgrado questo protagonismo, che a volte sfocia in una vera e propria megalomania, Kadyrov possiede un certo pragmatismo e acume strategico, persino un discreto tatto diplomatico, come dimostra la vasta rete di alleanze e contatti stretta negli ultimi dieci anni con i Paesi del Golfo e gli esponenti del sunnismo arabo. Il saper conciliare gli interessi di Mosca a quelli della Cecenia, che nei piani del leader dovrebbe diventare un ponte tra la Russia e il Medio Oriente, ha certamente contribuito alla sua ascesa politica, anche se la situazione è lungi dall’essere stabile. In attesa dell’annunciato piano di modernizzazione finanziato dagli Emirati e dall’Arabia Saudita, la repubblica caucasica rimane una regione povera e poco sviluppata rispetto al resto del Paese. Lo stesso Kadyrov ammette che la sua terra natale, senza i sussidi multimilionari del governo centrale, non sopravvivrebbe nemmeno un mese, dichiarazione che suona come un atto di fedeltà a Mosca e che liquida le istanze indipendentiste[10].

 

In effetti il rapporto con Putin, da sempre fondamentale per le fortune del presidente ceceno, dopo l’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022 è diventato simbiotico. Emblematico, infatti, l’annuncio di Kadyrov di proclamare il “jihad russo” contro l’intera nazione ucraina[11], agendo in maniera analoga, ma in direzione opposta, a quanto aveva fatto il padre quando negli anni ’90 aveva invocato la lotta contro Mosca. Rispetto alla campagna in Siria, i kadirovsky svolgono nel Donbass un ruolo di primo piano e lo stesso leader sembra godere di un canale privilegiato con il presidente della Federazione, al punto da permettersi di criticare in maniera piuttosto schietta l’operato dell’alto comando, e in particolar modo quello di Šojgu. La recente promozione a “generale colonello” sembra confermare il nuovo status acquisito, anche se la tetra fama che lo avvolge, il carattere poco accomodante, le frasi un po’ troppo a effetto sulle bombe nucleari sono elementi che, sommati alla competizione interna all’establishment moscovita, potrebbero compromettere, qualora venisse meno la protezione del presidente russo, la sua carriera militare e politica.

 

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[1] Il wahhabismo comincia a diffondersi nel Caucaso all’inizio degli anni ’90 per mezzo di associazioni caritatevoli e di missionari. Inoltre, alcuni soldati ceceni e daghestani che avevano partecipato all’invasione sovietica dell’Afghanistan erano rimasti influenzati dall’ideologia saudita. Col tempo il termine “wahhabita” viene impiegato in Russia per definire i fondamentalisti o quei sunniti che non seguono l’islam tradizionale della regione caucasica, legato al sufismo.      
[2] Françoise Thom, Poutine ou l’obsession de la puissance, Litos, Paris 2022, p. 100.
[3] Anrej Smirnov, Kadyrov Turns to Zikrism to Legitimize His Rule, «North Caucasus Weekly Volume», vol. 8, n. 11, The Jamestown Foundation, https://jamestown.org/program/kadyrov-turns-to-zikrism-to-legitimize-his-rule-2/
[4] Liz Fuller e Aslan Doukaev, Chechnya: Kadyrov Uses ‘Folk Islam’ For Political Gain, «Radio Free Europe Radio Liberty» 6 dicembre 2007, https://www.rferl.org/a/1079237.html
[5] Intervista della HBO a Kadyrov, https://www.facebook.com/watch/?v=682985102279478, dal minuto 16:12 a 16:52 e da 17: 08 a 17:22, dal documentario “Welcome to Chechnya” di David France.
[6] Maxim A. Suchkov, What’s Chechnya doing in Syria?, «Al-Monitor», 26 marzo 2017, https://www.al-monitor.com/originals/2017/03/russia-syria-chechnya-ramzan-kadyrov-fighters.html
[7] Neil Hauer, Russian diplomacy in Syria bolstered by Muslim minority, Middle East Institute, 6 febbraio 2018, outreachhttps://www.mei.edu/publications/russian-diplomacy-syria-bolstered-muslim-minority-outreach
[8] Kristin Smith Diwan, Who Is Sunni?: Chechnya Islamic Conference Opens Window on Intra-Faith Rivalry, The Arab Gulf State Institute in Washington, 16 settembre 2016, https://agsiw.org/who-is-a-sunni-chechnya-islamic-conference-opens-window-on-intra-faith-rivalry/. La dichiarazione finale della conferenza è disponibile al seguente indirizzo: https://chechnyaconference.org/material/chechnya-conference-statement-english.pdf  
[10] Chechnya ‘Won’t Survive’ Without Moscow’s Money, Kadyrov Says, «The Moscow Times», 25 gennaio 2022,  https://www.themoscowtimes.com/2022/01/25/chechnya-wont-survive-without-moscows-money-kadyrov-says-a76141
[11] Kadyrov calls for Russian ‘Jihad’ across all of Ukraine, «The Moscow Times», 26 ottobre 2022, https://www.themoscowtimes.com/2022/10/26/kadyrov-calls-for-russian-jihadacross-all-of-ukraine-a79192

 

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