Di fronte all’attuale crisi ecologica si sono moltiplicate le iniziative di ritorno alla campagna messe in atto da comunità religiose. Un fenomeno ambivalente che oscilla tra autonomia e autarchia. Il caso dei musulmani in Francia

Ultimo aggiornamento: 02/10/2023 14:56:14

La crisi ecologica che attraversa il mondo contemporaneo è una delle grandi sfide dei prossimi anni, ed è una questione che richiede la collaborazione di tutte le generazioni e di tutte le civiltà. L’ecologia suscita movimenti di protesta e provoca reazioni eclatanti: il 22 aprile scorso, nella Giornata mondiale della Terra in cui si celebra l’ambiente, un attivista climatico buddista si è dato fuoco sui gradini della Corte suprema degli Stati Uniti a Washington.

 

La Conferenza sul clima tenutasi a Parigi nel 2015 (COP 21) ha evidenziato la necessità e l’urgenza di avviare delle iniziative per far fronte ai cambiamenti climatici nell’ambito di una riflessione che coinvolge anche le religioni. In quest’ottica, lo stesso anno è stata pubblicata l’enciclica Laudato si’, in cui Papa Francesco invita tutti gli abitanti della «casa comune» a una conversione spirituale che lui fonda sul Vangelo, e a sviluppare delle «virtù» in vista di un’«ecologia integrale» e al fine di evitare un «ecocidio».

 

Questa presa di coscienza collettiva ha messo in moto una serie di collaborazioni che vanno da azioni concrete come i pellegrinaggi interreligiosi, al lancio, in Francia, dell’espressione «chiesa verde», «moschea verde» ed «eco-sinagoga». Queste iniziative sono occasioni concrete di dialogo interreligioso sull’ecologia. La crisi ecologica, in questo senso, può essere intesa come l’occasione per una conversione che riporti gli esseri umani alle origini, al senso religioso e al senso ecologico, innescando una duplice dinamica in cui convergono la ricerca spirituale e l’aspirazione a un rapporto più armonioso con la Terra. Per le religioni si tratta di attingere al proprio patrimonio etico e ritornare alle proprie fonti per meglio rispondere all’emergenza climatica in quanto «strumenti di Dio» per la salvaguardia del creato.

 

L’isolamento dovuto alla pandemia di Covid-19 ha favorito questa conversione ecologica e rafforzato la legittimità degli eco-villaggi, realtà nelle quali si vive insieme cercando nella lettura dei Testi sacri un legame tra l’uomo e la natura. Di fatto, sono sempre più numerosi i giovani che decidono di trasferirsi negli eco-borghi, a volte con lavori che possono svolgere a distanza, per mettere in atto una transizione ecologica e un nuovo dinamismo sociale. Tra loro ci sono atei “ecoresponsabili”, induisti vegetariani, musulmani fautori della permacultura e cristiani che hanno sposato la “decrescita”. Le motivazioni che spingono i neo-rurali a insediarsi in oasi spirituali sono molteplici: la ricerca di significato, il rifiuto dell’economia capitalista e la necessità di impartire ai bambini un’educazione ecologica, religiosa e spesso linguistica immersiva.

 

Il «ritorno alla terra» si lega così al «ritorno alle fonti», un principio al quale si sono ispirati alcuni musulmani e alcune musulmani francesi per costruire un habitat dedicato alla permacultura. In questo doppio percorso di conversione, alcuni musulmani sviluppano una maggiore consapevolezza delle problematiche ambientali e difendono la necessità di passare da una dieta a base di carne a una dieta vegetariana, giustificando questa scelta sulla base dell’etica islamica. Per esempio, la macellazione rituale musulmana comincia a essere percepita come un atto di sgozzamento inaccettabile per il rispetto degli animali e considerata la manifestazione di una «barbarie».

 

L’eco-jihad

 

In occasione del salone della permacultura, organizzato nell’ambito dell’Incontro annuale dei Musulmani di Francia del 2019, è stato allestito un grande stand ecologico finalizzato a lanciare il concetto di eco-jihad, la promozione cioè di un «jihad ecologico» nelle aree rurali francesi e in particolare all’estero. Il concetto di «eco-jihad» si basa su tre principi: un modello economico alternativo, il riconoscimento di un posto di primo piano assegnato all’ecologia e una vita comunitaria musulmana attiva.

 

Questi cambiamenti nei riferimenti etici e nelle pratiche dei musulmani in Francia sono visibili nel funzionamento dell’associazione Inaya permaculture & Beyond, una fattoria eco-islamica in Giordania fondata da emigrati francesi (muhājirūn) di fede musulmana, nella cooperativa sociale Îlot des Combes, una fattoria eco-islamica in Borgogna, e nell’associazione Sakana nell’Ile-de-France. Tali iniziative offrono diversi corsi di formazione alla permacultura musulmana e assistenza a chiunque desideri creare degli “eco-luoghi” in Francia o all’estero. L’obiettivo dichiarato dal loro statuto associativo è sensibilizzare i musulmani all’ecologia e a una vita più sana e naturale, migliorare «l’immagine» dei musulmani agli occhi dei «non musulmani» e creare una «rete di supporto» internazionale tra permacultori alla luce dell’islam. Talvolta queste attività sono accompagnate, per chi lo desidera, da iniziative promosse dalla comunità musulmana: un giro in bicicletta alla scoperta di una trentina di moschee attraverso la Francia, ritiri spirituali (misti o femminili), o corsi di arabo e di lettura del Corano.

 

Nonostante il forte radicamento islamico di queste proposte, atei e credenti, uomini e donne di varia obbedienza vi si ritrovano per seguire i corsi di formazione in permacultura, apicoltura e fitoterapia, o laboratori di «meteo interiore», durante i quali il gruppo viene invitato a riflettere sul proprio stato emotivo a contatto con la natura. Queste attività hanno una risonanza anche sul sito ufficiale per il turismo della regione interessata o sui social network, con pagine musulmane come Consomouslim, Oum’Naturel, Iqna’, Hijabin, o pagine ecologiche come Ethical Minds o Hello Organic.

 

In Francia, la diffusione eclettica di queste iniziative islamiche di permacultura ha prodotto l’introduzione nel mercato dell’etichetta di certificazione «halāl-bio». Diversi versetti del Corano incoraggiano una relazione armoniosa con gli animali, le piante e il cielo. Questa convergenza inedita tra dimensione halāl e dimensione bio sembra essere un tentativo di attenuare il dibattito francese sul tema. Il modello «halāl-bio» si manifesta nelle abitudini alimentari, oltre che nella ricerca di indumenti e accessori per l’igiene. Un esempio lampante è la vendita della radice di un arbusto – noto in arabo come siwāk – quale alternativa naturale ed ecologica al tradizionale spazzolino da denti.

 

Questi modelli testimoniano il tentativo di riattualizzare i principi coranici fondamentali nell’ottica della tutela ambientale. Le chiavi della «salvezza ecologica» trovano espressione in diverse nozioni: 1) tawhīd: l’unicità di Dio e quindi l’interdipendenza tra tutti gli elementi del creato; 2) fitra: la natura originaria della creazione; 3) mīzān: l’equilibrio armonioso di tutte le componenti del creato; 4) khilāfa: la custodia del creato di cui Dio ha incaricato gli uomini, alla luce del fatto che l’uomo è stato promosso da Dio come Suo khalīfa (luogotenente); 5) tashkīr: la gratitudine per l’accesso alle risorse dell’universo e la loro equa condivisione.

 

I campi e le scelte lessicali sono certamente equivoci. I termini eco-jihad, eco-mujāhid e khilāfa vanno necessariamente contestualizzati e intesi come una provocazione ironica per attenuare il panico che queste parole suscitano. Al di là delle analisi semantiche, le fattorie di permacultura a cui abbiamo accennato non sono né ghetti né tanto meno delle enclave nello spazio geografico in cui sono inserite. Queste associazioni sono impegnate nella lotta contro l’abbandono delle terre e nell’abbellimento del paesaggio in nome di una spiritualità religiosa. Esse contribuiscono al mantenimento e alla riabilitazione del territorio e della sua specificità ecologica, e rafforzano la solidarietà tra le generazioni e tra gli autoctoni e i neo-rurali attraverso una condivisione quotidiana.

 

Il rischio di estremismo

 

Tuttavia, è importante valutare sempre i fondamenti autarchici o di autonomia di queste iniziative per evitare che si generino dinamiche controproducenti. Si può infatti osservare come l’estremismo si intrecci con l’ecologia: Brenton Harrison Tarrant, autore degli attentati di Christchurch del 2019, nel suo manifesto spiegava le motivazioni dietro al suo gesto terrorista richiamandosi all’ecofascismo, un termine che indica un fenomeno di ritorno alla terra e al villaggio accompagnato dalla lotta contro le «orde» di migranti «non bianchi» e «invasori». Gli ecofascisti ammirano tanto il neonazista norvegese Anders Breivik, autore degli attentati di Oslo e Utøya (2011), quanto l’americano Ted Kaczynski, meglio noto con lo pseudonimo Unabomber, autore della campagna “Salviamo le api, non i rifugiati”. Queste posizioni estreme sono minoritarie, ma rivelano un’ideologia ibrida, che fonde l’ecologia con altre cause.

 

Peraltro, l’attenzione al rapporto tra ecologia ed estremismo è profondamente radicata nell’agenda sicuritaria dello Stato. L’istaurazione di contro-società con l’intento di isolarsi in uno spazio protetto e costruire un modello di purezza per proteggere la propria comunità da ogni contaminazione con l’Altro può manifestarsi nella forma dell’ecofascismo o dell’eco-islamismo. La Comunità della rosa e della spada (nota come Clan dei Briganti), per esempio, è un gruppo settario che vive nel dipartimento dell’Hérault, nel Sud della Francia, con un approccio a metà tra i movimenti hippie e la galassia identitaria. Nonostante sia stato sciolto nel settembre 2021, il gruppo continua a essere sospettato dalla Missione interministeriale di vigilanza e lotta contro le derive settarie (MIVILUDES) per le sue attività occulte. I timori per la sicurezza hanno riguardato anche la fattoria Artigat di Olivier Corel, sospettato di aver radicalizzato una generazione di jihadisti, da Mohamed Merah, a Sabri Essid, a Fabien Clain, autori di diversi attentati in Francia.

 

Il modello dei Briganti della rosa e della spada da un lato, e dall’altro il modello del borgo dell’Ariège, nei Pirenei, dove si è stabilito Olivier Corel, sono precursori di fenomeni di autarchia. Entrambi proteggono e difendono la propria comunità rimettendo al centro l’immaginario religioso-ideologico, attraverso un ritorno al villaggio «bianco-cristiano» nel primo caso, e al villaggio «puramente islamista» nel secondo.

 

In conclusione, è fondamentale comprendere la motivazione che sottende la decisione di ritirarsi in campagna e verificare la formula e l’obiettivo ultimo di questi progetti di «conversione ecologica», che possono oscillare tra autonomia e autarchia. L’autonomia resta aperta all’incontro con l’Altro perché non pretende di soddisfare tutti i bisogni del gruppo, visto che lo scambio gli è indispensabile tanto a livello di elementi materiali, quando a livello educativo e per l’arricchimento umano. L’autarchia, invece, predispone al confinamento come regola di vita e alla difesa del territorio per giustificare il rifiuto dello straniero e la salvaguardia della natura.

 

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
 
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