La critica agli hadîth di Gamâl al-Bannâ

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:35:28

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Recensione di Gamâl al-Bannâ, L’Islam, La liberté, la laïcité et Le Crime de la tribu des « Il nous a été rapporté », a cura di Dominique Avon e Amin Elias con la collaborazione di Adbellatif Idrissi, L’Harmattan, Paris 2013

 

Fratello minore del fondatore dei Fratelli Musulmani, Gamâl al-Bannâ nasce nel 1920 in una modesta famiglia del Delta egiziano, profondamente religiosa. Per quarant’anni il padre dedica le sue energie all’ambizioso progetto di riorganizzare tematicamente le centinaia di migliaia di hadîth (tradizioni profetiche) contenuti nel Musnad di Ibn Hanbal (IX secolo), allo scopo di facilitarne l’utilizzo agli studiosi di giurisprudenza islamica. È dunque un’autentica ironia della sorte che proprio Gamâl al-Bannâ abbia pubblicato nel 2008 uno degli scritti più polemici se non verso gli hadîth in sé quanto meno verso i loro cultori. Sostenitore di un Islam liberale, Gamâl al-Bannâ porta agli estremi la critica alle scienze religiose tradizionali che è una delle costanti del pensiero islamico contemporaneo.

L’autore scava in tal modo un fossato tra la Parola di Dio, il Corano, e la parola degli uomini, compresa quella del Profeta dell’Islam. La mossa è duplice: consegnare la tradizione profetica al vaglio critico della storia e, per contrasto, accentuare ulteriormente la centralità del Corano. L’operazione è condotta con grande maestria e i vantaggi sono evidenti: sono de-sacralizzati e dunque relativizzati una serie di hadîth che oggi creano difficoltà ai musulmani nell’organizzare la società («obbedisci al principe anche se ti picchia e ti ruba il denaro») o nel rapportarsi ai credenti delle altre religioni («chi cambia religione, uccidetelo»). Al-Bannâ conclude in effetti la sua serrata argomentazione con un pezzo magistrale sulla giornata tipica di un musulmano passatista, inconsapevole vittima dei crimini della tribù del “Ci è stato riferito” (la formula con cui si apre ogni tradizione islamica).

La condanna è senza appello: «Frutto della superstizione, questi hadîth hanno annientato le anime e resa idiota e non creativa la mentalità dei musulmani» (183). In modo del tutto speculare il Corano viene proiettato in una dimensione assoluta e atemporale: quegli hadîth, valorizzati dalla moderna critica testuale, che sembrano alludere a un processo di progressiva redazione del Testo Sacro vengono scartati e anzi sono portati a esempio della cattiva fede dei tradizionisti.

Ne risulta un’assolutizzazione del Libro, la cui logica conclusione è il rifiuto della dottrina dell’abrogante e dell’abrogato, secondo la quale il versetto coranico più tardo, solitamente più restrittivo, annullerebbe i precedenti, non di rado più universali. Questa duplice mossa – rifiuto degli hadîth e lettura globale del Corano – permette a Gamâl al-Bannâ di sostenere una visione moderna dell’Islam, non più vincolata ai modelli medievali. Ci si può tuttavia domandare se il ritorno alla pura lettera sia realmente possibile o se piuttosto la trascendibilità della storia resti una pericolosa illusione. È infatti da osservare che il tema del puro Corano è molto presente anche nella letteratura di tipo fondamentalista, laddove esponenti del sapere tradizionale, in particolare mistico, appaiono più consci della necessaria mediazione tra credente e Testo.

Di minore portata teorica, ma di grande rilevanza pratica, appare invece il primo testo del volume, centrato sulla libertà e sulla laicità. Non si può che convenire sulla proposta di al-Bannâ di rivitalizzare i valori religiosi contro gli eccessi del laicismo, senza tuttavia rinunciare al principio della libertà di pensiero, una posizione che tra l’altro l’autore difese con grande coraggio durante il processo per apostasia intentato contro Nasr Abû Zayd. Forse proprio questa sua coerenza ottennero all’autore un vasto seguito in Egitto, a differenza di altri pensatori liberali restati tutto sommato marginali. È allora doppiamente triste osservare come al-Bannâ abbia avuto accesso a una visione del Cristianesimo e in particolare della Chiesa cattolica che non è esagerato definire caricaturale.

Che i musulmani liberali affrontino la storia europea attraverso una lente deformante (per al-Bannâ legata alla sua formazione socialista, mentre per altri la matrice è illuminista) è un’autentica tragedia a cui occorre porre al più presto rimedio. Proprio l’esperienza cristiana infatti potrebbe offrire a questi intellettuali riformisti spunti nuovi sia sul piano politico, per esempio riguardo alla “laicità positiva”, sia su quello teologico, ad esempio circa il rapporto tra rivelazione e storia.

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