Nonostante gli attacchi iraniani e israeliani subiti nel 2025, Doha non ha solo mantenuto, ma rafforzato la propria centralità nella diplomazia regionale e nei negoziati tra Stati Uniti e attori mediorientali
Ultimo aggiornamento: 22/12/2025 11:47:35
Il 2025 è stato l’anno in cui il Qatar si è ritrovato a fare i conti con i rischi connessi al ruolo di mediatore che esso svolge nei principali focolai di tensione del Medio Oriente e che ha plasmato la politica estera del Paese negli ultimi due decenni. Il 23 giugno, in risposta alla decisione dell’amministrazione Trump di sostenere Israele nella “Guerra dei 12 Giorni” e di bombardare tre siti nucleari a Fordow, Natanz e Isfahan, le autorità iraniane hanno lanciato un attacco missilistico contro la base aerea di Al Udeid, sede del comando avanzato del CENTCOM statunitense. Detriti dei 14 missili intercettati dalla difesa qatariota sono caduti su Doha, prima capitale del Golfo a essere colpita direttamente da missili iraniani. Undici settimane dopo, un raid aereo israeliano ha preso di mira una delegazione di Hamas riunita a Doha per esaminare una proposta di cessate il fuoco avanzata dall’amministrazione Trump. A differenza dell’attacco iraniano, che aveva colpito una struttura militare con un preavviso sufficiente a evitare il più possibile le vittime, l’azione israeliana del 9 settembre ha centrato senza avvertimento un complesso residenziale in pieno pomeriggio, causando la morte di un membro delle forze di sicurezza interne del Qatar.
La partnership tra Stati Uniti e Qatar
Sebbene molti commentatori abbiano interpretato l’attacco israeliano come la campana a morto per i negoziati sul cessate il fuoco a Gaza e per il ruolo del Qatar come mediatore, lo shock dell’aggressione e la sua sfrontatezza hanno spinto la Casa Bianca ad assumere una posizione più assertiva. Il presidente Trump e figure di spicco della sua amministrazione hanno infatti espresso forte irritazione per essere stati colti di sorpresa dalla decisione israeliana di colpire la leadership di Hamas proprio mentre questa stava valutando una proposta sostenuta dagli stessi Stati Uniti. L’attacco ha inoltre rafforzato nella Casa Bianca la percezione di un contenimento insufficiente delle azioni israeliane. Jared Kushner, genero di Trump e già consigliere per il Medio Oriente durante il suo primo mandato, è tornato al centro della scena guidando una rinnovata iniziativa diplomatica statunitense. Venti giorni più tardi, Trump ha presentato il suo piano di pace in 20 punti, che ha poi condotto al cessate il fuoco a Gaza del 10 ottobre, tuttora in vigore seppure in modo molto precario.
Il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti è stato determinante per garantire l’adesione israeliana all’accordo, mentre i funzionari qatarioti hanno svolto un ruolo essenziale nell’assicurare l’impegno di Hamas. Ciò ha confermato il forte partenariato operativo che ha definito negli ultimi anni la relazione tra Washington e Doha, già simboleggiata dalla mediazione del Qatar nei colloqui tra Stati Uniti e Talebani durante il primo mandato Trump e dal sostegno fornito all’amministrazione Biden al momento del caotico ritiro da Kabul nel 2021. In tutte le fasi del negoziato per un cessate il fuoco prolungatosi in modo intermittente nei due anni di conflitto a Gaza, i funzionari qatarioti hanno sondato costantemente le possibilità di concessioni da parte di Hamas, mentre gli Stati Uniti hanno fatto lo stesso con Israele. Questo metodo è stato particolarmente evidente nelle intense trattative che hanno portato al cessate il fuoco del gennaio 2025, quando il Qatar ha collaborato con funzionari di entrambe le amministrazioni – quella uscente di Biden e quella entrante di Trump – oltre che con quelli egiziani, mentre il Primo Ministro del Qatar svolgeva il ruolo del coordinatore attraverso cui transitavano proposte e risposte di tutte le parti.
Le determinanti del potere di mediazione del Qatar
Diversi fattori spiegano la sostanziale riuscita della mediazione del Qatar nel contesto di Gaza. Innanzitutto, i qatarioti godono della fiducia delle parti in conflitto, che li riconoscono come interlocutori affidabili sia per mantenere canali di comunicazione indiretti (una forma di “facilitazione”), sia per assumere un ruolo di mediazione diretta. I mediatori di Doha sottolineano che ogni loro intervento avviene su richiesta esplicita delle parti, come accaduto nei colloqui tra Stati Uniti e Talebani e, più recentemente, tra Israele e Hamas. Nel caso di Gaza, il Qatar aveva sviluppato relazioni pragmatiche sia con la leadership di Hamas – ospitata a Doha dal 2012 con il benestare statunitense – sia con Israele, con cui coordinava dal 2017 aiuti umanitari e finanziari destinati alla Striscia. Questa accettazione del Qatar come terza parte neutrale e credibile gli permette di svolgere un ruolo diplomatico simile a quello esercitato per molti anni dall’Oman nel dialogo tra Stati Uniti e Iran.
La seconda ragione della capacità del Qatar di svolgere produttivamente un ruolo di mediazione consiste nello sviluppo, nel corso dell’ultimo decennio, delle competenze del Ministero degli Esteri qatariota, con la creazione di inviati speciali per la risoluzione dei conflitti e per la questione di Gaza, oltre che di team di supporto dedicati alla mediazione. Questi incarichi, assieme a figure come il ministro di Stato Mohammed Al Khulaifi e Majed Al Ansari, consigliere del ministro degli Esteri Sheikh Mohammed bin Abdulrahman Al Thani (il quale dal 2023 ricopre anche il ruolo di Primo Ministro), hanno dato profondità istituzionale all’apparato decisionale del Qatar. I risultati tangibili ottenuti – come l’Accordo di Doha del 2020 tra Stati Uniti e Talebani e i cessate il fuoco di gennaio e ottobre 2025 – hanno ulteriormente rafforzato la credibilità del Qatar come intermediario e mediatore dedito e capace di ottenere risultati.
Alla prova della crisi
Soprattutto, la solidità dei legami tra Qatar e Stati Uniti – che per un’ironia della sorte sono stati messi alla prova nei primi mesi di ciascuna delle due presidenze Trump – ha fatto sì che la Casa Bianca abbia riconosciuto nell’attacco israeliano del 9 settembre una minaccia gli interessi statunitensi in Medio Oriente. Sia nel 2017, quando Trump inizialmente appoggiò il blocco saudita-emiratino contro il Qatar, sia nell’estate del 2025, quando Doha è stata colpita prima da un avversario e poi da un alleato degli Stati Uniti, i pilastri della sua difesa e della sua sicurezza sono stati messi in discussione. In entrambi i casi, tuttavia, i decisori politici qatarioti hanno risposto intensificando la cooperazione con Washington a ogni livello: politico, diplomatico, economico e militare. Tra questi due momenti, l’ampio sostegno che il Qatar ha fornito all’amministrazione Biden durante il ritiro da Kabul nell’agosto 2021 è stato riconosciuto nel novembre dello stesso anno con la nomina del piccolo emirato a potenza protettrice degli interessi degli Stati Uniti in Afghanistan e con la designazione di “major non-NATO ally” nel 2022.
Il vertice di Sharm el-Sheikh dell’ottobre 2025 ha fornito le prove della centralità del Qatar nella mediazione regionale e del legame eccezionalmente stretto tra Qatar e Stati Uniti. I preparativi per il summit erano stati macchiati dalla morte di tre funzionari qatarioti (appartenenti alla cerchia più vicina all’Emiro) in un incidente stradale in Egitto, che ha ulteriormente accresciuto il tributo umano pagato negli ultimi mesi dal Qatar a causa dei suoi sforzi di mediazione. Una volta avviato il vertice, Trump si è mostrato prodigo di elogi nei confronti della leadership di Doha, e il Qatar si è unito a Stati Uniti, Egitto e Turchia come firmatario-garante dell’accordo di cessate il fuoco. Sebbene lo status di garante attesti la statura del Qatar come peso massimo diplomatico nella regione, esso comporta anche delle sfide qualora il cessate il fuoco dovesse crollare o il piano di pace di Trump non riuscisse a progredire. La gestione di queste incognite, e il compito di chiedere conto a Hamas e Israele del rispetto dei termini del cessate il fuoco, potrebbero esporre il Qatar e gli altri firmatari a contraccolpi politici, soprattutto se Trump dovesse perdere interesse nel processo e rivolgere la propria attenzione ad altre questioni.
Dopo lo stravagante viaggio del maggio 2025, quando Trump ha visitato tre Paesi – Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti – in quattro giorni, nel Golfo c’erano alte aspettative che il presidente avesse compreso le opportunità offertegli da una regione stabile e prospera. Invece, nel giro di quattro settimane, Israele ha attaccato l’Iran, Teheran ha reagito contro il Qatar, e i bombardamenti iraniani e israeliani su Doha hanno segnato il superamento di evidenti linee rosse nelle valutazioni di sicurezza degli Stati del Golfo. L’ordine esecutivo firmato da Trump il 29 settembre, che estende le garanzie di sicurezza al Qatar, rappresenta una risposta significativa, così come le rassicurazioni offerte all’Arabia Saudita durante la visita del principe ereditario Mohammed bin Salman alla Casa Bianca il 18 novembre. Eppure, per il Qatar e per tutti gli Stati del Golfo, la sfida consisterà nel mantenere Trump concentrato sui benefici della stabilità e nell’assicurarsi che il presidente americano non si lasci distrarre né venga trascinato in altri conflitti regionali.
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