Chi sono e che cosa vogliono i partiti che stanno minando la democrazia in Israele e puntano all’annessione della Cisgiordania

Ultimo aggiornamento: 15/03/2024 11:41:52

Il 25 Aprile del 1925, in un caffè del Quartiere Latino di Parigi, tenne la propria conferenza fondativa l’Unione dei Sionisti Revisionisti. Nasceva così la destra sionista e quella che in seguito sarebbe diventata la destra israeliana. Leader e fondatore del movimento era Ze’ev Jabotinsky, un attivista, oratore, scrittore e poeta nato nel 1880 a Odessa, allora parte dell’impero russo, e formatosi all’Università La Sapienza di Roma.

 

Jabotinsky si era staccato dal movimento sionista più ampio, al quale aveva aderito nel 1903 dopo i pogrom antisemiti in Russia, a causa di quello che considerava un atteggiamento remissivo della leadership nei confronti del governo inglese. Questi si era infatti impossessato della Palestina nel 1917, ma aveva disatteso la promessa di stabilirvi un “focolare nazionale” ebraico. Fervido nazionalista, Jabotinsky credeva che soltanto una «muraglia di ferro di baionette ebraiche» avrebbe garantito lo Stato ebraico, ma allo stesso tempo era un liberal-democratico autoproclamato che scriveva frasi del tipo «dalle ricchezze della nostra terra prospereranno gli arabi, i cristiani e gli ebrei». Nei suoi testi rifiutava il fascismo e il culto della personalità, anche se durante i primi anni del movimento alcuni membri di quest’ultimo furono apertamente identificati come fascisti, e la sua leadership rimase di fatto indiscussa fino alla sua morte nel 1940.

 

Noto inizialmente come Unione dei Sionisti Revisionisti, diventato Partito Hirut con la fondazione d’Israele nel 1948 e infine Likud in seguito alla fusione con altre formazioni nel 1973, nei suoi novantotto anni di esistenza il movimento ha aggregato diverse correnti nazionaliste, liberali, laiche, conservatrici, religiose e proto-fasciste. Talvolta queste correnti sono riuscite a convivere, in altri momenti si sono staccate dal Likud, spostandosi verso l’estrema destra o verso il centro della politica israeliana.

 

Il 29 dicembre del 2022 il Likud ha formato un nuovo governo guidato dal primo ministro Benjamin Netanyahu, completamente diverso dai precedenti governi dello stesso partito. Nella coalizione non ci sono infatti formazioni centriste, ma solo quelle di estrema destra e quelle religiose ultraortodosse, gruppi con cui questa versione del Likud si trova a proprio agio.

 

La scelta istituzionale di Begin

 

Nella prima Knesset (il parlamento israeliano), eletta nel 1949, non c’erano partiti di estrema destra. Menachem Begin, l’uomo che era succeduto a Jabotinsky come leader dei Revisionisti, aveva scelto di far parte della politica israeliana istituzionale. Come in passato, però, nel movimento erano presenti elementi più estremisti favorevoli all’organizzazione di un golpe militare contro il nuovo Stato, da compiere con i combattenti dell’Irgun, la milizia clandestina che Begin aveva comandato di persona.

 

Ma Begin decise altrimenti. Accettò di consegnare le armi dell’Irgun e di integrare i suoi combattenti nel neonato esercito israeliano, che all’epoca era controllato dal suo rivale politico, il partito Mapai (Laburista) di David Ben Gurion. L’Irgun fu sciolto e i Revisionisti divennero parte della struttura democratica con il nome di Herut, trascorrendo gran parte dei successivi trent’anni all’opposizione.

 

In tutto quel periodo il Likud fu l’unico partito di destra, ed era tale principalmente nel senso che conservava il sogno di creare uno Stato ebraico su entrambe le sponde del Giordano e si opponeva al controllo che il Mapai esercitava sull’economia nazionale grazie alla sua federazione sindacale, l’Histadrut. Su altre questioni, come la separazione tra Stato e religione e l’abolizione dello stato d’emergenza in vigore dal periodo del mandato inglese, era in realtà più liberale del Mapai al governo.

 

Nei primi anni di vita d’Israele, l’estrema destra consisteva in pochi e minuscoli gruppi clandestini. Alcuni erano Revisionisti che avevano rifiutato di accettare lo smantellamento delle proprie milizie, continuando per un po’ a fantasticare di un golpe. C’era anche un gruppo ultrareligioso clandestino che pianificava di sostituire lo Stato laico con uno Stato che avrebbe aderito alle leggi della Torah. Nessuno di questi godeva di sufficiente sostegno o rappresentanza alla Knesset, e i loro membri furono arrestati non appena ebbero tentato di compiere un attacco armato. Fintantoché il Likud rimase il principale partito d’opposizione alla destra del Mapai, l’estrema destra ebbe pochissimo spazio per crescere. Soltanto nel 1981, quattro anni dopo che il Likud fu finalmente giunto al potere, un partito di estrema destra riuscì a entrare alla Knesset.

 

Tre sviluppi chiave

 

Tre eventi chiave portarono alla crescita dell’estrema destra in Israele. Il primo fu la sensazionale vittoria nella Guerra dei Sei Giorni del 1967 e la conseguente occupazione dei territori sottratti a Giordania, Egitto e Siria. Nei diciotto anni precedenti, le dispute sugli effettivi confini d’Israele erano state del tutto teoriche, dal momento che il Paese esisteva all’interno delle ristrette linee del cessate il fuoco raggiunto nel 1949. Dal 1967 in poi Israele ha controllato ampie fasce di territori, alcune delle quali abitate da numerosi palestinesi: il dibattito su cosa fare di quelle terre e delle persone che vi vivevano aprì un crescente spazio politico all’estrema destra.

 

Il secondo sviluppo si verificò un decennio dopo, quando alle elezioni del 1977, le none nella storia del Paese, il Likud di Menachem Begin riuscì finalmente a formare una coalizione che lo catapultò al potere. Cinquantadue anni dopo la fondazione del movimento da parte di Jabotinsky, finiva il lungo periodo trascorso da outsider del movimento sionista, la traversata nel deserto politico dell’opposizione israeliana. Ma con il potere arrivarono anche le responsabilità e soprattutto la necessità di dimostrare pragmatismo. Così a destra emerse la delusione dei “veri fedeli”, per i quali il Likud non avrebbe mai potuto fare abbastanza. Solo quando la destra arrivò al potere si aprì dunque uno spazio per una vera estrema destra.  

 

Il terzo sviluppo fu graduale, e si manifestò nel corso di circa sei decenni. Le comunità ortodosse d’Israele, prima gli ortodossi moderni (o come spesso vengono chiamati in Israele i nazional-religiosi) e poi gli ultraortodossi, che nei primi anni dello Stato non erano schierati né a destra né a sinistra, iniziarono a spostarsi inesorabilmente prima verso destra e poi ancora più oltre. Avrebbero fornito buona parte, se non la maggior parte, dei sostenitori della nuova estrema destra israeliana.

 

 

L’estrema destra in parlamento

 

Il primo partito di estrema destra venne eletto alla Knesset nel 1981, un successo elettorale dovuto a tutti e tre gli sviluppi che abbiamo menzionato. I fondatori di Tehiya furono i primi a lasciare il Likud dopo la sua ascesa al potere. La causa della scissione fu l’accordo di pace firmato da Menachem Begin con il presidente egiziano Anwar Sadat, che prevedeva la restituzione della penisola del Sinai conquistata da Israele nel 1967 in cambio del ripristino delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi.

 

I membri del Likud che avevano fondato Tehiya erano inorriditi dal fatto che a cedere dei territori che loro consideravano parte del Grande Israele fosse un primo ministro di destra. Si trattava del tradimento di tutto ciò a cui tenevano, tanto più che lo stesso Begin aveva promesso, poco prima di diventare premier, che in pensione si sarebbe ritirato in un insediamento nel Sinai. Il loro problema era che persino a destra erano in minoranza. L’euforia per le prospettive di pace con l’Egitto aveva contagiato molti israeliani e solo una manciata di membri del Likud lasciò il partito per unirsi a loro. Per avere numeri sufficienti, Tehiya invitò rabbini nazionalisti e leader dei coloni che in precedenza non erano iscritti al Likud e che trovarono la loro collocazione naturale in un partito che si opponeva alla pace con l’Egitto. Il concetto di un partito di estrema destra, o almeno di un partito alla destra del Likud, sembrava piacere agli elettori israeliani, e alle elezioni successive, quelle del 1984, tre deputati entrarono alla Knesset. L’idea ebbe un successo tale che a partire dalla tornata elettorale del 1992 troppi partiti si contendevano il voto della destra e Tehiya, il loro pioniere, non riuscì a superare lo sbarramento: la sua fine e la perdita dei suoi voti aiutarono il leader dei laburisti, Ytzak Rabin, a vincere le elezioni.

 

La coalizione al governo

 

Da che cosa è dunque caratterizzata l’“estrema destra” nella politica israeliana attuale? Non esiste una definizione netta. È una combinazione di posizioni radicali sul conflitto israelo-palestinese e sul futuro dei territori occupati, sul rapporto tra Stato e religione, sui poteri della Corte Suprema e sui diritti LGBT.

 

L’attuale coalizione di Netanyahu è composta da sette partiti eletti alla Knesset nelle ultime elezioni del novembre 2022[1]. Possono essere considerati tutti di estrema destra, almeno su alcuni grandi temi. I tre partiti che si sono presentati insieme nella lista “Sionismo Religioso” hanno ottenuto 14 seggi su 120. Potere Ebraico è l’elemento più radicale della lista. Le sue origini risalgono al partito Kach, fondato dal rabbino di origine americana Meir Kahane, entrato alla Knesset nel 1984. Il Kach propugnava la negazione della cittadinanza agli arabo-israeliani e nelle elezioni successive gli fu impedito di candidarsi perché accusato di incitare al razzismo. Nel 2004 fu vietato come organizzazione terrorista e obbligato a sciogliersi. Potere Ebraico è stato fondato da ex membri del Kach e il suo leader Itamar Ben-Gvir, in passato indagato per incitamento alla violenza e accusato di atti terroristi, si è dato da fare per rendere il partito presentabile. I cambiamenti nel programma e nei toni che usa (i suoi membri non gridano più “morte agli arabi!”, ma “morte ai terroristi!”), hanno permesso a Potere ebraico di partecipare alle elezioni, anche se da solo non è mai riuscito a superare lo sbarramento elettorale del 3,25%. La situazione mutò alle elezioni del 2021, quando Netanyahu convinse Potere Ebraico a formare una lista con altri partiti dell’estrema destra. Ben-Gvir riuscì finalmente a farsi eleggere alla Knesset e a essere rieletto nella tornata elettorale del novembre 2022, sempre all’interno della lista “Sionismo Religioso”, insieme ad altri cinque membri di Potere Ebraico. Nel governo di Netanyahu è ora ministro della Sicurezza nazionale e in tale veste ha invitato l’esecutivo a intraprendere una serie di operazioni militari su larga scala in Cisgiordania (finora un’operazione del genere ha avuto luogo a Jenin a inizio luglio), a far approvare una legge sulla pena di morte per i terroristi palestinesi e a formare una guardia nazionale sotto il suo controllo.

 

Ai tempi di Rabbi Kahane, questi veniva evitato dal Likud e dalla maggior parte della destra israeliana. Durante il suo unico mandato come membro della Knesset (1984-88), ogni volta che si alzava per parlare all’assemblea tutti gli altri membri lasciavano l’aula in segno di protesta a causa delle sue posizioni razziste. Il Likud attuale, sotto Netanyahu, ha fatto dei successori di Kahane dei partner con cui condividere il potere.

 

La più consistente componente di “Sionismo Religioso” è, con sette parlamentari, l’Unione Nazionale (Tkuma), che ora si autodefinisce Partito del Sionismo Religioso ed è guidata da Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze in carica. Attualmente è il principale partito a rappresentare sia la comunità ortodossa sionista che i coloni della Cisgiordania. Si tratta dell’evoluzione del vecchio Partito Religioso Nazionale (NRP), un tempo partito centrista che aveva partecipato a quasi tutti i governi israeliani nei decenni successivi all’Indipendenza ed era noto per le sue posizioni moderate. Nel 1967, quando il governo laburista decise di attaccare preventivamente l’Egitto nella guerra dei Sei Giorni, i ministri del NRP furono riluttanti ad accettare tale decisione.

 

Dopo la guerra, quando i giovani attivisti religiosi diventarono l’avanguardia del movimento per la creazione di insediamenti ebraici nei nuovi territori occupati, la comunità iniziò a spostarsi verso l’estrema destra. Nel 1979 il NRP votò ancora a favore degli accordi di pace con l’Egitto, facendo infuriare i membri più giovani della destra, alcuni dei quali confluirono in Tehiya. Un’altra fazione si staccò e alle elezioni del 1984 formò il partito religioso di estrema destra Morasha, ma alla fine tornò nell’NRP e ne assunse il controllo.

 

Il Partito del Sionismo religioso di oggi rappresenta il culmine di quello spostamento generazionale: una formazione chiaramente religiosa e di estrema destra, determinata a realizzare l’annessione de facto della Cisgiordania e a moltiplicarvi gli insediamenti ebraici, creando al contempo un ethos ebraico più religioso all’interno d’Israele. Dopo un attentato in cui rimasero uccisi due coloni, il suo leader Smotrich dichiarò di essere a favore della distruzione delle città palestinesi dove si era verificato l’attacco. La componente più piccola della lista “Sionismo Religioso” è Noam, che al momento ha un unico seggio alla Knesset e condivide gran parte delle posizioni religiose e nazionaliste degli altri due partiti, anche se con un accento diverso. Il padre spirituale di Noam, il rabbino Zvi Thau, crede che esista una campagna globale delle “forze progressiste” per eliminare la famiglia tradizionale e ha perciò fondato un partito per proteggere Israele da queste idee. Al leader parlamentare di Noam e unico suo membro alla Knesset è stato assegnato un posto da viceministro nel gabinetto del primo ministro, dove è incaricato di supervisionare i programmi scolastici e cerca di estirpare le idee progressiste sull’uguaglianza di genere e sui diritti LGBTQ.

 

Nessuno di questi tre partiti avrebbe potuto disporre di poteri tanto ampi. Se non fosse stato per Netanyahu, che ha spinto perché si unissero in una lista e poi li ha inclusi nella sua coalizione, solo uno di loro sarebbe stato forse in grado di superare lo sbarramento e di entrare in parlamento. Una mossa dettata tuttavia dalla necessità politica: Netanyahu non avrebbe ottenuto la maggioranza senza il sostegno dell’estrema destra. Nel frattempo, il suo Likud, che ufficialmente si descrive ancora come un “partito nazional-liberale”, ha virato sempre più verso l’estrema destra. Molti dei suoi membri e parlamentari più giovani vengono dalla comunità religiosa e dai gruppi di estrema destra. Nel 2009, all’epoca del suo discorso di Bar Ilan, Netanyahu sembrava in procinto di spingere il Likud verso il centro, accettando la soluzione dei due Stati. Il Likud di oggi e lo stesso Netanyahu sono invece a favore dell’annessione di parte della Cisgiordania e sostengono le politiche religiose e ultraconservatrici dei loro alleati di estrema destra.

 

Il terzo elemento della coalizione di Netanyahu sono i partiti ultra-ortodossi: Shas, che rappresenta gli ebrei ortodossi mizrahi originariamente provenienti dal mondo musulmano, e i due partiti ashkenaziti haredi, Agudath Yisrael, fondato nel 1912 nell’Europa Orientale e che attualmente rappresenta principalmente le comunità chassidiche, e il non-chassidico Degel Ha’Thorah, separatosi dal primo nel 1988 (dal 1992 i due partiti corrono per le elezioni parlamentari nella lista “Ebraismo Unito della Torah”).

 

Ufficialmente, i partiti ultraortodossi non si definiscono parte della destra o del centrosinistra. Dal punto di vista ideologico, i loro fondatori o si opponevano al sionismo o erano agnostici in merito, in quanto lo ritenevano un movimento laico. Il loro obiettivo era utilizzare il poco potere politico che avevano per garantire l’indipendenza della loro comunità come gruppo semiautonomo all’interno d’Israele. In passato avevano cooperato con i governi di centrosinistra, ma negli ultimi decenni anche loro si sono spostati in maniera decisa a destra. La ragione ufficiale e ideologica per rifiutare le loro precedenti alleanze è che “il Likud è più vicino all’ebraismo” o, in altre parole, non è così marcatamente laico come i partiti di centrosinistra. Nella sua lunga carriera politica, Netanyahu ha costruito una solida alleanza con questi partiti, sommergendoli di fondi pubblici e posti di lavoro, vincolandoli così alla destra. Nel corso di questo processo anche gli Haredi, in particolar modo le generazioni più giovani, hanno sviluppato posizioni di estrema destra sulla questione israelo-palestinese (molti di loro vivono in insediamenti urbani ai margini della Cisgiordania, anche se la principale ragione di questo fenomeno va ricercata nella crisi immobiliare israeliana piuttosto che nell’ideologia). Le loro tendenze autoritarie sono ora molto più pronunciate, in conseguenza dell’aumento del loro peso specifico nella popolazione a causa del loro alto tasso di fertilità e del potere che hanno ricevuto da Netanyahu. Le loro politiche non puntano più soltanto a mantenere la loro autonomia, ma anche a esercitare una sorta di coercizione religiosa sul resto della società.

 

Tutti e tre gli elementi della coalizione di Netanyahu – il Likud, i tradizionali partiti di estrema destra e gli ultraortodossi – partecipano al tentativo di indebolire drasticamente la Corte Suprema israeliana, un baluardo dei valori liberali e una garanzia fondamentale all’interno di un sistema politico che non ha una Costituzione scritta. Le leggi che limitano i poteri di revisione giudiziale della Corte sono diventate l’oggetto di proteste di massa e di disordini civili senza precedenti. Tutti i partiti che formano il sesto governo di Benjamin Netanyahu, a prescindere dal loro programma e nonostante le loro tradizioni moderate, sono ora parte di una coalizione che sta promuovendo e allo stesso tempo mettendo in pratica l’agenda dell’estrema destra israeliana e devono perciò essere considerati partiti di estrema destra.

 

 

*Traduzione dall’originale inglese a cura della redazione di Oasis

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
 
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[1] È importante notare che alle elezioni israeliane si possono candidare più partiti in liste comuni. La coalizione di Netanyahu è composta da quattro liste che in tutto comprendono sette partiti.

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