L’ultimo Rapporto sulla Libertà religiosa nel Mondo di Aiuto alla Chiesa che Soffre individua in autoritarismi, estremismi e criminalità i principali responsabili di persecuzioni e discriminazioni. Attacchi e restrizioni crescono anche in Occidente, mentre emergono nuove minacce legate alla tecnologia

Ultimo aggiornamento: 17/11/2025 13:01:11

Dal 1999, la Fondazione Pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre pubblica ogni due anni un Rapporto sulla Libertà religiosa nel Mondo. L’edizione del 2025 è stata presentata il 21 ottobre scorso. Ne abbiamo parlato con Marta Petrosillo, Direttrice del Centro Internazionale per gli Studi sulla Libertà Religiosa di Aiuto alla Chiesa che Soffre e curatrice del documento.

 

Quale quadro emerge dal rapporto?

Il rapporto individua 62 paesi in cui si riscontra persecuzione o discriminazione religiosa. Nello specifico sono 24 i paesi di persecuzione religiosa e 38 quelli in cui vi è discriminazione. Oltre a queste due categorie, già da alcuni anni identifichiamo una terza tipologia, quella dei Paesi sotto osservazione, ovvero quei contesti in cui ancora non vi è una chiara discriminazione religiosa, ma in cui si registrano dei primi segnali allarmanti. Quest’anno ne abbiamo individuati 24. Il rapporto delinea inoltre il profilo dei persecutori e i fattori dietro alla persecuzione e alla discriminazione. Tra questi in primo luogo c’è l’autoritarismo, che riscontriamo in 52 Paesi. Da molto tempo ormai documentiamo l’azione dei regimi autoritari in Asia e in Africa, ma negli ultimi anni osserviamo purtroppo un peggioramento anche in America Latina. Un caso lampante è quello del Nicaragua, che è uno dei 24 Paesi in cui è in atto una vera e propria persecuzione religiosa, ma ci sono anche altri Paesi in cui esistono forme di discriminazione, come Haiti, Cuba e il Venezuela. Un altro fattore determinante è l’estremismo religioso, in particolar modo il jihadismo, che riscontriamo in 25 Paesi. Il documento di sintesi di quest’anno contiene un focus proprio sul jihadismo, un fenomeno che negli ultimi anni sta evolvendo: non solo si sta spostando dal Medio Oriente all’Africa, e in particolar modo al Sahel, ma è sempre più capace di adattarsi alle realtà locale, come spiega un articolo del ricercatore dell’ISPI Francesco Marone. In terzo luogo c’è il nazionalismo etno-religioso, che si manifesta dove una religione si lega all’identità nazionale. Un esempio emblematico di questa tipologia è l’India, dove a partire dal 2014, con l’ascesa al potere di Narendra Modi e del suo partito, si assiste a un numero crescente di attacchi contro le minoranze. Qui si verifica quella che noi definiamo una persecuzione ibrida: non solamente attacchi e violenze a livello sociale, ma una persecuzione che viene dallo Stato, in primis attraverso le leggi anti-conversione, che sono in vigore in 12 Stati dell’India e che dovrebbero in teoria impedire le conversioni forzate, ma vengono utilizzate impropriamente per colpire le minoranze, un po’ come accade con la legge anti-blasfemia in Pakistan. Un ultimo fattore è rappresentato dalla criminalità organizzata. Questo forse è tra le novità, non dico proprio di questa edizione, ma degli ultimi anni, perché vi sono diversi Paesi, ad esempio il Messico, o Haiti, ma anche la Nigeria in Africa, dove la criminalità organizzata colpisce i leader religiosi, ma anche le chiese e le comunità, che si oppongono alle sue attività. Un esempio eclatante è quello del Messico, che è diventato uno dei luoghi più pericolosi al mondo per i sacerdoti.

 

Nel complesso, rispetto ai rapporti precedenti, come possiamo valutare l’entità della persecuzione e della discriminazione? È un fenomeno in crescita?

Abbiamo un Paese in più rispetto ai 61 di due anni fa. Ma dal 1999, cioè da quando abbiamo iniziato a produrre questo rapporto, la tendenza è negativa. Ovviamente ci sono situazioni che possono migliorare, ma i miglioramenti richiedono diversi anni, mentre purtroppo i peggioramenti sono rapidi. Questa edizione del rapporto analizza il periodo che va dal gennaio 2023 al dicembre 2024, una fase in cui si nota il forte impatto sulle comunità religiose di alcuni conflitti, a partire ovviamente da quello in Ucraina e quello tra Israele e Hamas. Il conflitto tra Israele e Hamas, ad esempio, non ha avuto delle conseguenze solamente in Israele e in Palestina. A partire dall’ottobre del 2023 si è riscontrato un aumento esponenziale degli attacchi antisemiti e anti-islamici anche in diversi Paesi europei e nel Nord America.

 

Esistono invece casi di miglioramenti?

Ne abbiamo registrati, in particolar modo in due Paesi, che tuttavia rimangono classificati come Paesi di discriminazione. Uno è il Kazakistan, dove c’è stata l’importante sentenza di un tribunale militare che ha concesso l’obiezione di coscienza per motivi religiosi. È un’apertura molto significativa, perché in alcuni Paesi dell’Asia Centrale l’impossibilità di praticare l’obiezione di coscienza al servizio militare per motivi religiosi è uno dei principali fattori di discriminazione. Un altro Paese in cui la situazione è lievemente migliorata è lo Sri Lanka. Anche qui persistono difficoltà. Però tutti ci ricordiamo gli attacchi di Pasqua del 2019 contro i cristiani. Negli ultimi anni l’attività jihadista in Sri Lanka è totalmente cessata e questo è importante rilevarlo. E c’è stato anche un riconoscimento delle omissioni del governo, che avrebbe potuto fare molto di più per impedire quelle stragi.

 

Parlavi dell’esplosione sia dell’antisemitismo che dei sentimenti anti-islamici a causa del conflitto a Gaza. Abbiamo invece dei dati sulla situazione dei cristiani in Terra Santa?

Dati nello specifico no, ma sappiamo che ci sono stati numerosi attacchi anticristiani. È chiaro che le due parti in conflitto sono identificate principalmente con l’Ebraismo e con l’Islam, ma le comunità cristiane, sia quelle che vivono nei territori palestinesi che quelle che vivono in Israele, hanno subito diversi attacchi. Da un lato c’è stata una crescita dell’estremismo ebraico, ma in generale la violenza della guerra a Gaza e quella che viene impiegata nei territori palestinesi ha fortemente colpito la popolazione cristiana. I bombardamenti hanno peraltro coinvolto le chiese della Striscia, la chiesa di San Porfirio e la chiesa della Sacra Famiglia, che erano diventate un rifugio per molte persone. Senza contare che questo conflitto ha un gravissimo impatto sulla presenza cristiana anche da un punto di vista sociale ed economico, perché i cristiani da sempre vivono anche grazie al turismo e ai pellegrinaggi.

 

Quali sono invece i Paesi sotto osservazione? Che caratteristiche hanno?

Ce ne sono diversi. Ad esempio in Europa c’è la Bielorussia, dove si percepisce un’influenza del conflitto in Ucraina, con un forte controllo dell’attività religiosa da parte del governo. Ma c’è anche il caso del Cile, dove si sono registrati tantissimi attacchi alle chiese. In Medio Oriente pensiamo al Libano, dove la situazione negli ultimi anni è peggiorata, con ripercussioni anche sulle comunità religiose. Non si può pensare a un’unica categoria, perché gli elementi che determinano questa sofferenza sono vari. Purtroppo sappiamo che i Paesi sotto osservazione possono facilmente finire nella categoria della discriminazione. È successo con il Messico.  La Colombia è un altro paese dove la Chiesa soffre. Quest’anno è sotto osservazione. Non possiamo escludere che tra due anni, quando verrà presentato il prossimo rapporto, sarà tra i Paesi di discriminazione.

 

Siamo abituati a considerare le violazioni alla libertà religiosa come un problema che riguarda determinati contesti in Africa o in Asia. Tu citavi poi criticità crescenti in America Latina. Ma anche Europa e più in generale in Occidente esistono forme di discriminazione o addirittura di persecuzione. È così?

Ovviamente non parliamo di persecuzioni gravi e violente come quelle che accadono in altri continenti, ma in Europa e in America del Nord, che noi uniamo nell’etichetta di “Paesi OSCE”, riscontriamo alcune tendenze negative. In primo luogo l’aumento degli attacchi antisemiti e anti-islamici di cui parlavo prima.  Poi ci sono gli attacchi anticristiani e in particolar modo alle chiese. Quando abbiamo presentato il rapporto a Roma abbiamo avuto ospite uno studioso che ci ha delineato un quadro devastante di incendi e atti vandalici che avvengono in diversi Paesi anche dell’Europa. In Francia, tra il 2023 e il 2024 sono stati registrati oltre 1000 attacchi, il 90% dei quali contro le chiese. Oltre a queste tendenze, vi è quella che Papa Francesco definiva la persecuzione educata: da un lato il tentativo di relegare l’espressione religiosa alla sfera privata e dall’altro quello di subordinare il diritto alla libertà religiosa ad altri diritti. Ad esempio in Belgio c’è stata una sentenza contro l’Arcivescovo di Bruxelles perché a una donna è stata negata a possibilità di accedere al corso di preparazione diaconale. È chiaro che qui si vuole far valere il principio della parità di diritti. Ma c’è anche il diritto della Chiesa a rispettare la propria dottrina. Vi sono poi numerosi casi di negazione dell’obiezione di coscienza, ad esempio nell’ambito dell’obiezione di coscienza all’aborto da parte dei medici e del personale sanitario. A Roma abbiamo avuto l’avvocato di Ellinor Grimmark, un’ostetrica svedese che è stata licenziata da ben due strutture perché non vuole praticare l’aborto per motivi legati alla sua fede religiosa.

 

Un altro fenomeno emergente e che il vostro rapporto mette in luce è rappresentato dalle violazioni alla libertà religiosa connesse con la tecnologia, in particolare con l’intelligenza artificiale…

Sì, l’intelligenza artificiale è uno strumento molto potente, che può contribuire a negare la libertà religiosa. Abbiamo dei casi limite, come quello della Corea del Nord, dove ogni tot secondi i cellulari delle persone effettuano degli screenshot che vengono inviati direttamente al governo, il quale controlla se le persone leggono o si documentano su tematiche relative alla religione. O si può pensare all’uso delle telecamere in Cina, che acquisiscono i dati biometrici di coloro che partecipano ad attività religiose. In Pakistan ci sono dei problemi che non sono legati tanto all’intelligenza artificiale, ma alle tecnologie della comunicazione. Abbiamo infatti notato come nel periodo in esame oltre 400 denunce di blasfemia siano legate a contenuti diffusi sui social media. Esiste poi un altro tipo di situazione, in cui tramite l’intelligenza artificiale si usa l’immagine dei leader religiosi per diffondere messaggi che loro non hanno mai pronunciato. È successo con Leone XIV. Un’ultima tematica, da tenere sotto osservazione, riguarda la banalizzazione e l’appiattimento dell’educazione religiosa, un fenomeno favorito dall’utilizzo di strumenti che non possono trasmettere la complessità e la ricchezza di molte tradizioni religiose.

 

Avete appena pubblicato il rapporto biennale. Ora state lavorando già al prossimo o avete in programma altre iniziative?

Quest’anno abbiamo lanciato per la prima volta una petizione in difesa dell’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani e della libertà religiosa di tutti i gruppi di fede, che sarà promossa a livello internazionale dai nostri 24 uffici. Aiuto alla Chiesa che Soffre è una Fondazione Pontificia, ma promuove da sempre un’idea globale della libertà religiosa. In occasione dell’uscita del rapporto di quest’anno stiamo chiedendo a tutti di firmare questa petizione per coinvolgersi direttamente. Raccoglieremo le firme fino al novembre 2026 e poi presenteremo il documento in primis alle Nazioni Unite e al Parlamento europeo, in modo da trasformare il lavoro fatto per la il rapporto in un’azione concreta in difesa della libertà religiosa.