Rassegna stampa ragionata sul Medio Oriente e sul mondo musulmano

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:03:32

La sera di lunedì 15 febbraio una raffica di razzi ha colpito una base americana nei pressi dell’aeroporto di Erbil, nel Kurdistan iracheno, e le zone circostanti. Tra le persone che stazionavano nella base militare un contractor è morto, mentre si contano nove feriti, tra cui un soldato americano. I razzi hanno colpito anche la zona residenziale nei dintorni, provocando almeno cinque feriti. L’attacco è stato rivendicato da una milizia sciita poco nota, che si fa chiamare Saraya Awliya al-Damm (“i guardiani delle brigate del sangue”), scrive l’Agi, e il comunicato emesso dal gruppo armato specifica che «l’occupazione americana non sarà al sicuro dai nostri attacchi da nessuna parte, nemmeno in Kurdistan».

 

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Come sottolinea Le Monde, l’attacco è il più grave da quando le milizie sciite irachene dichiararono l’inizio di una tregua, ad ottobre 2020, necessaria per comprendere le intenzioni degli Stati Uniti dopo la campagna elettorale conclusasi con la vittoria di Joe Biden. Si tratta inoltre, prosegue il quotidiano francese, del primo messaggio che questo tipo di gruppi armati vicini a Teheran invia alla nuova amministrazione statunitense.

 

Secondo la CNN l’attacco complica i piani di Biden di rientrare nell’accordo sul nucleare iraniano, anche se il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Saeed Khatibzadeh ha negato qualsiasi coinvolgimento di Teheran. È notizia di ieri sera, però, che gli Stati Uniti hanno confermato la loro disponibilità a riattivare i canali diplomatici con l’Iran e hanno tolto le restrizioni ai viaggi presso le Nazioni Unite che l’amministrazione Trump aveva imposto sui diplomatici iraniani (NPR).

 

Lara Seligman su Politico analizza il problema da un’altra prospettiva: i nuovi attacchi iraniani, insieme a quelli degli houthi contro l’Arabia Saudita, mettono in dubbio l’efficacia della presenza militare americana nella regione, volta primariamente proprio a proteggere Riyad. Davanti a Biden si prospettano dunque scelte difficili: è nota la sua volontà di ricalibrare la relazione con i sauditi (segnando una differenza significativa con il suo predecessore), ma d’altro canto l’establishment militare americano spinge in direzione opposta, preoccupato dall’avanzamento iraniano. Al Pentagono la discussione è iniziata, in un periodo in cui è la presenza militare americana a livello globale a essere in fase di revisione, con un occhio di riguardo, scrive Seligman, alla crescente minaccia cinese.  

 

Secondo quanto affermato dalla portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, l’intenzione dell’amministrazione statunitense è di rafforzare le comunicazioni dirette con Re Salman, aggirando almeno in parte il principe ereditario Mohammed bin Salman (Reuters). Tuttavia l’analista saudita Ali Shihabi ritiene che scavalcare MbS sia in realtà impossibile: «gli americani sanno che è il “CEO” del Paese e non può essere ignorato», ha affermato Shihabi a Le Point. Si tratterebbe dunque soltanto di cambiamenti cosmetici utili per dare delle garanzie agli alleati politicamente alla sinistra di Biden.

 

Le relazioni tra Washington e Riyad potrebbero comunque essere messe nuovamente alla prova la settimana prossima quando, come ricorda il Washington Post, la Casa Bianca dovrebbe rendere noto il report dell’intelligence sull’uccisione di Jamal Khashoggi.

 

Riyad contro Dubai?

 

L’Arabia Saudita nel frattempo muove le sue pedine sia a livello domestico che regionale. È notizia di questa settimana che il governo saudita a partire dal 2024 non concederà più contratti alle compagnie straniere che non abbiano il proprio quartier generale regionale all’interno del Regno. La mossa, specifica il Financial Times, si applica in particolare ai contratti stipulati dalle grandi realtà saudite come la compagnia petrolifera ARAMCO e il Public Investment Fund. Khalid al-Falih, ministro saudita per gli Investimenti, ha affermato che questa scelta, che rientra nel programma voluto da MbS “Programme HQ”, contribuirà a creare «migliaia di posti di lavoro».

 

Tuttavia, la decisione annunciata questa settimana è importante non solamente per le ricadute sulla situazione interna dell’Arabia Saudita, ma anche per le relazioni con i suoi vicini, Dubai in particolare. L’emirato è infatti a oggi il principale hub finanziario e commerciale nel Golfo e sarebbe pesantemente penalizzato dall’entrata in vigore di questa iniziativa saudita. Nasser Al-Shaikh, ex direttore generale del dipartimento delle finanze di Dubai, si è scagliato contro la decisione presa da Riyad, affermando che «contraddice i principi del mercato unico del Golfo» (CNBC). Bloomberg sottolinea invece come sia proprio questo genere di scelte improvvise e arbitrarie a rendere gli investitori diffidenti verso lo spostamento delle proprie attività in Arabia Saudita.

 

Dubai intanto ha anche altre preoccupazioni. La BBC ha infatti diffuso alcuni video della principessa Latifa, figlia dell’emiro Mohammed bin Rashid al Maktoum. Nel 2018 Latifa aveva tentato la fuga dall’emirato, a bordo di uno yacht che fu intercettato al largo delle coste indiane. La principessa venne riportata con la forza a Dubai e da allora è tenuta in ostaggio in una villa, come lei stessa afferma in uno dei video, girati grazie a un telefono che segretamente le ha fatto avere un’amica. Ora il flusso dei video registrati da Latifa si è interrotto e la BBC ha proceduto con la pubblicazione. Come riporta il Washington Post, l’alto commissario Onu per i diritti umani si farà carico della vicenda, chiedendo agli Emirati Arabi Uniti di far luce sulla sorte della principessa.

 

Parigi approva la legge sul “separatismo”

 

Martedì 16 febbraio l’Assemblea Nazionale ha approvato in prima lettura la legge sul separatismo religioso con 347 voti a favore e 151 contrari. France24 offre una breve sintesi del contenuto del disegno di legge. Mentre in un comunicato congiunto Gérald Darmanin, ministro degli Interni, e Marlène Schiappa, ministro delegato per la cittadinanza, hanno applaudito al provvedimento e riaffermato l’impegno contro l’islamismo, da destra e sinistra sono arrivate critiche all’iniziativa di Macron. Alexis Corbière , deputato di estrema sinistra, denuncia la legge come semplicemente «contro i musulmani», mentre da destra la legge è ritenuta «senza coraggio», scrive Le Monde.

 

Teoricamente il provvedimento ha come obiettivo quello di «garantire il libero esercizio del culto» eppure, afferma lo storico Jean-Paul Scot, i suoi articoli «mirano a controllare il culto per rafforzare l’ordine pubblico». Ma l’«ossessione» degli estensori del disegno di legge è il finanziamento delle associazioni islamiche e la necessità di limitare le influenze estere. Il punto però, sostiene Scot, è che «per riconquistare i territori abbondonati all’islamismo, occorre ripristinare servizi pubblici di qualità in materia di educazione, formazione, sanità, trasporti, moltiplicare i posti di lavoro e le attività locali, […] lottare contro la violenza della polizia».

 

Il governo però non si ferma qui e questa settimana ha chiesto, tramite la ministra per l’Insegnamento superiore e la Ricerca Frédérique Vidal, un’indagine sugli studi accademici che, contribuendo alla diffusione di tendenze «islamo-gauchistes», corromperebbero la società francese. Forti critiche si sono levate dal Centro nazionale delle ricerche e dal mondo universitario. L’iniziativa, scrive il New York Times, rientra in una più ampia “guerra culturale” in atto in Francia, dove negli ultimi anni sono emersi profondi contrasti su «razzismo e violenza della polizia, diverse visioni del femminismo, ed esplosivi dibattiti sull’Islam e sull’islamismo».

 

Proteste e scioglimento del Parlamento in Algeria

 

A Kherrata, nel nord dell’Algeria, più di 5.000 persone si sono riunite per manifestare contro il governo del presidente Tebboune, sperando di ridare così vigore al movimento dell’Hirak, che era cominciato nella medesima città esattamente due anni prima (qui trovate un utile glossario sui termini che caratterizzano il movimento). Le manifestazioni dell’Hirak erano poi proseguite per circa un anno, prima di essere fermate anche per l’arrivo della pandemia. Durante le manifestazioni uno degli slogan più ricorrenti è stato «uno Stato civile, non militare», riporta al-Jazeera. È proprio sulla dicotomia tra potere civile e potere militare nello Stato algerino che si sofferma il sociologo e politologo Lahouari Addi, intervistato da Jadaliyya.

 

Una novità è arrivata giovedì sera quando il presidente Tebboune ha annunciato lo scioglimento del parlamento algerino, l’indizione di nuove elezioni «libere dai soldi corrotti e aperte ai giovani», un rimpasto di governo e la creazione entro 15-20 giorni di un Alto Consiglio per i giovani. Non ultimo, il presidente ha espresso anche l’intenzione di liberare dozzine di membri dell’Hirak detenuti nelle prigioni algerine (Al Jazeera).

 

In una frase

 

Dopo una lunga attesa Joe Biden e Benjamin Netanyahu si sono parlati telefonicamente (The Jerusalem Post).

 

Il PKK ha giustiziato 13 soldati turchi che teneva prigionieri nel nord dell’Iraq. Il fatto ha ravvivato le tensioni tra Turchia e Stati Uniti, accusati di essere troppo timidi nel sostegno alla Turchia (Foreign Policy).

 

Le autorità egiziane, con una mossa che sfida l’amministrazione americana, hanno arrestato due cugini di Mohamed Soltan, attivista per i diritti umani residente in Virginia (Washington Post).

 

Al-Sisi ha incontrato il nuovo primo ministro libico Abdulhamid Dbeibah. Sisi si è detto pronto ad offrire il sostegno egiziano per la stabilizzazione della Libia (Al Jazeera).

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
 
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