Intervento di Ibrahim Özdemir alla conferenza internazionale “Cambiare rotta. I migranti e l’Europa”

Ultimo aggiornamento: 07/02/2024 11:09:45

Signore e signori,

 

Oggi sono qui con voi per trattare un tema importante e sfaccettato: il ruolo giocato dalle migrazioni nel far fronte alla crisi economica ed ecologica. In un’era segnata da sfide inedite – il cambiamento climatico, le disparità economiche, l’aumento della popolazione mondiale – la migrazione ha assunto un nuovo significato. Spesso osservata attraverso la lente ristretta del discorso politico, la migrazione è in realtà un processo complesso e dinamico, che può svolgere un ruolo fondamentale nel mitigare la crisi economica ed ecologica che il nostro mondo si trova ad affrontare.

Comprendere la portata delle crisi economiche ed ecologiche

 

Prima di immergerci nel ruolo della migrazione, cerchiamo di comprendere la gravità delle crisi che affrontiamo oggi. Da un lato, siamo alle prese con disparità economiche che perpetuano la povertà, privano gli individui di opportunità e peggiorano la disuguaglianza sociale. Dall’altro lato, la crisi ecologica, causata principalmente dal cambiamento climatico, minaccia l’esistenza stessa della vita sul nostro pianeta. L’aumento delle temperature globali, l’innalzamento del livello dei mari, gli eventi meteorologici estremi e la perdita della biodiversità sono solo alcune manifestazioni di questa crisi.

 

Le disparità economiche e il degrado ecologico sono intrinsecamente legati. Spesso sono le comunità più povere a essere maggiormente danneggiate dal degrado ambientale, mentre i pochi benestanti contribuiscono verosimilmente di più al cambiamento climatico attraverso consumi e pratiche molto dispendiose. Questo circolo vizioso richiede una risposta globale che trascenda i confini e gli interessi nazionali.

 

Tutto ciò mi fa tornare in mente l’appello lanciato dieci anni fa dalla filosofa eco-femminista Joanna Macy, che nel suo libro Active Hope ci metteva in guardia con le seguenti parole:

 

“Pericolosa”, “spaventosa”, “fuori controllo”: sono queste le parole che le persone pronunciano quando viene loro chiesto di completare la frase “Quando guardo alla condizione del nostro mondo, penso che la situazione sia...”

Negli ultimi decenni, abbiamo fatto questa operazione con decine di migliaia di persone in un’ampia gamma di contesti. Le risposte che sentiamo riecheggiano i risultati dei sondaggi che mostrano alti livelli di allarme riguardo al futuro verso cui ci stiamo dirigendo.

Un’ansia così diffusa è fondata. Mentre il nostro mondo continua a riscaldarsi, i deserti si espandono e gli eventi meteorologici estremi diventano sempre più comuni. La popolazione umana e i consumi stanno aumentando, mentre le risorse essenziali, come l’acqua dolce, le risorse ittiche, la terra coltivabile e le riserve petrolifere si stanno esaurendo.

 

Un decennio più tardi, possiamo aggiungere a questo fenomeno globale l’ondata migratoria dal Sud verso il Nord del mondo. Nel 2022 il Guardian lo ha definito in questi termini: «Il secolo della migrazione climatica: perché dobbiamo prepararci per la grande sollevazione»:

 

Si avvicina un grande sconvolgimento. I migranti climatici vanno ad aggiungersi alla massiccia migrazione già in atto verso le città del mondo. Negli ultimi dieci anni il numero dei migranti è raddoppiato a livello globale e il tema di come far fronte al rapido aumento della popolazione di profughi è destinato a diventare sempre più importante e urgente. Per sopravvivere al collasso climatico sarà necessaria una migrazione pianificata e ricercata, un’azione che l’umanità non ha mai intrapreso prima d’ora.

 

Mentre cerchiamo di comprendere questa sfida globale e trovare soluzioni creative e costruttive, i politici continuano a spendere miliardi di dollari per fare la guerra. L’economista e premio Nobel Joseph Stiglitz e la collega Linda Bilmes hanno calcolato che gli Stati Uniti hanno speso più di 3mila miliardi di dollari nella guerra in Iraq. È tempo che i decisori ascoltino le voci del mondo accademico e di tutte le parti interessate e collaborino con loro per trovare una soluzione più umana al problema.

 

L’intersezione tra migrazione e crisi economica

 

Storicamente, i fattori economici inducono sia la migrazione interna che quella internazionale. Le persone emigrano alla ricerca di una più alta qualità della vita, di migliori condizioni di lavoro e di una maggiore disponibilità di risorse. Di fronte alle crisi finanziarie, come le recessioni o la scarsità di posti di lavoro, gli individui migrano spesso verso regioni o Paesi che offrono maggiori opportunità economiche. Questo fenomeno ha implicazioni sia positive che negative.

 

La migrazione può aiutare ad alleviare le crisi economiche ridistribuendo la forza lavoro globale. I migranti possono colmare la carenza di forza lavoro nei Paesi ospitanti, contribuire alla crescita economica e aumentare la produttività. Questa situazione non solo apporta benefici ai migranti, ma sostiene anche la stabilità finanziaria e lo sviluppo delle regioni ospitanti. Ad esempio, l’afflusso di migranti qualificati nel settore tecnologico ha determinato il successo della Silicon Valley.

 

Tuttavia, bisogna riconoscere che la migrazione può anche approfondire le disuguaglianze economiche. I migranti spesso lasciano comunità economicamente vulnerabili, provocando una “fuga di cervelli” dai loro Paesi d’origine. Ciò può innescare un ciclo di sottosviluppo, riducendo le prospettive economiche di Paesi che faticano a trattenere la propria forza lavoro qualificata.

 

La migrazione come risposta adattiva alle crisi ecologiche

 

La migrazione svolge anche un ruolo fondamentale nella risposta alle crisi ecologiche, in particolare i cambiamenti climatici. L’innalzamento del livello dei mari, gli eventi meteorologici estremi e il cambiamento delle tecniche agricole costringono le popolazioni vulnerabili a lasciare i propri Paesi. Questo movimento, spesso chiamato “migrazione climatica” o “migrazione ambientale”, è destinato ad aumentare nei prossimi decenni.

 

Ad esempio, le comunità costiere che vivono a basse altitudini devono spostarsi a causa dell’innalzamento del livello del mare. Man mano che intere regioni diventano invivibili, le persone sono costrette a riparare in ambienti più stabili. Sebbene questa migrazione possa alleviare le minacce più urgenti, essa solleva questioni etiche, giuridiche e logistiche per i migranti e le comunità ospitanti.

 

Inoltre, le stesse crisi ecologiche possono essere aggravate dai flussi migratori. Nel momento in cui le popolazioni sfollate cercano nuovi posti in cui reinsediarsi, contribuiscono esse stesse ai processi di deforestazione, di esaurimento delle risorse, di sovraestensione dei centri urbani, aumentando così la pressione su ecosistemi già fragili.

 

Pertanto, come scriveva ancora il Guardian, «questo dramma planetario esplosivo richiede un’energica risposta umana. Dobbiamo aiutare le persone a trasferirsi da zone pericolose e povere ad aree sicure e confortevoli, in modo da costruire una società globale più resiliente a beneficio di tutti».

 

Il ruolo della politica e della cooperazione internazionale

 

Dato il complesso intreccio tra migrazioni, crisi economiche e problemi ecologici, è evidente come sia necessario un approccio coordinato e olistico. L’adozione di politiche nazionali e internazionali sono cruciali per la gestione dei flussi migratori, in modo da massimizzarne i benefici e mitigarne al contempo gli effetti collaterali.

 

  1. Protezione della popolazione vulnerabile. I Paesi dovrebbero sviluppare politiche di ampio respiro per proteggere e sostenere i migranti vulnerabili, inclusi gli sfollati a causa di fattori ambientali. Ciò include il riconoscimento giuridico del migrante climatico, l’invio di aiuti umanitari e l’assistenza al ricollocamento.

 

  1. Resilienza climatica e mitigazione. Affrontare la crisi ecologica deve essere una priorità globale. Investire sulla resilienza climatica, dalla difesa delle coste all’agricoltura resistente alla siccità, può ridurre il bisogno di migrare. Inoltre, la cooperazione internazionale è essenziale per ridurre l’effetto serra e limitare gli effetti del cambiamento climatico.  

 

  1. Mobilità del lavoro e capacità di sviluppo. Le politiche che promuovono la mobilità del lavoro e le capacità di sviluppo possono fare in modo che le migrazioni economiche vadano a beneficio sia dei Paesi di partenza che di quelli di arrivo. In tal senso, gli accordi bilaterali che facilitano gli spostamenti temporanei dei lavoratori possono risultare doppiamente vantaggiosi.  

 

  1. Riforme economiche globali. Per affrontare le disparità economiche occorrono riforme a livello internazionale. Ciò significa adottare misure per ridurre le disuguaglianze di reddito, regolare i mercati finanziari e offrire opportunità di sviluppo economico alle regioni più svantaggiate.  

 

  1. Tutela ambientale e pratiche di sostenibilità. Di fronte alle crisi ecologiche, la protezione degli ecosistemi e della biodiversità gioca un ruolo vitale. L’impegno per la conservazione delle risorse naturali e per la promozione della sostenibilità può ridurre il trasferimento delle comunità che dipendono da quelle risorse.

 

  1. Raccolta dati e ricerca. I governi e le organizzazioni internazionali dovrebbero investire nella ricerca e nella raccolta dei dati in modo da avere una visione più chiara dei fenomeni migratori, delle crisi economiche e delle problematiche ecologiche. Queste informazioni possono costituire la base per interventi e politiche basate su dati empirici.   

 

Per concludere, dovremmo ricordare che, secondo le stime citate dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, nei prossimi trent’anni vi saranno circa un miliardo di migranti economici. Le ultime proiezioni disponibili portano addirittura questo numero a 1,2 miliardi nel 2050 e a 1,4 entro nel 2060. Dopo il 2050, ci si aspetta che questi dati aumentino ancora, dal momento che il pianeta continuerà a surriscaldarsi e la popolazione mondiale a crescere fino a raggiungere il suo picco massimo verso la metà degli anni ’60 di questo secolo.

 

Di qui una domanda per tutta l’umanità: come è fatto un mondo sostenibile? Dobbiamo sviluppare modalità completamente nuove di nutrirci e di utilizzare l’energia, in modo da mantenere i nostri stili di vita riducendo al contempo i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera. Dobbiamo abituarci a vivere concentrati in poche città, ma densamente popolate, riducendo al contempo i rischi dovuti al sovraffollamento, come i cali di corrente, i problemi legati alla raccolta dei rifiuti, il surriscaldamento, l’inquinamento e malattie contagiose.

 

Tuttavia, la migrazione, se trattata con un approccio olistico e con una forma mentis cooperativa, potrebbe offrire delle soluzioni. Per risolvere definitivamente queste crisi, dobbiamo riconoscere la quota di responsabilità di ciascun Paese e l’importanza della cooperazione internazionale. I principi di equità, sostenibilità ed empatia dovrebbero rappresentare i nostri punti di riferimento nella risoluzione della crisi. Soltanto attraverso gli sforzi coordinati su tutti i livelli possiamo sfruttare il potenziale della migrazione per mitigare le disparità economiche, adattarle alle sfide ecologiche e costruire un mondo resiliente più giusto per le generazioni di oggi e di domani.

 

Sono d’accordo con quanto detto da Joanne Macy: «Qualunque situazione affrontiamo, siamo noi a scegliere il tipo di risposta. Quando siamo alle prese con problemi travolgenti, potremmo avere la sensazione che la nostra azione non conti così tanto. Eppure, la tipologia di risposte che diamo, e il livello di importanza che attribuiamo loro, dipendono dal modo in cui pensiamo e percepiamo la speranza».

 

Macy ci ha poi ricordato che esistono due definizioni di speranza, una passiva e l’altra attiva: «La speranza passiva consiste nell’attendere che soggetti esterni realizzino ciò che desideriamo. Quella attiva consiste nel partecipare attivamente a realizzare ciò che speriamo».

 

Io credo che questa conferenza sia un buon esempio di speranza attiva. Grazie.        

 

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
 
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