Intervento di Maurizio Lupi alla conferenza internazionale “Cambiare rotta. I migranti e l’Europa”
Ultimo aggiornamento: 07/02/2024 11:06:31
Ho avuto la fortuna di ascoltare l’ultimo pezzo della tavola rotonda che mi ha preceduto o, meglio, le testimonianze e il giudizio che ci avete offerto. Saluto anch’io il Rettore della Cattolica, Sua Eminenza il Cardinal Scola e tutti voi. Vi devo chiedere scusa di non essere lì, ma, come è stato detto, sono cambiati i programmi della Camera e fra mezz’ora, alle dodici e mezza, c’è il voto di fiducia. Mi sembrava dunque giusto, corretto e responsabile essere qui a dare il mio voto di fiducia. Ben volentieri ho accettato il vostro invito, saluto Matteo [Renzi], Paolo [Alli] e tutti voi.
Parto anch’io da una riflessione che credo sia lo scopo del vostro convegno internazionale e del luogo dove siete. La realtà ci interroga personalmente e come responsabili politici, che hanno nelle mani il governo o la rappresentanza dell’Italia e del Paese. È evidente che siamo di fronte a cambiamenti epocali. La migrazione e i flussi migratori sono certamente uno dei pilastri di un cambiamento epocale, che non potrà mai essere affrontato solo con una risposta all’emergenza di oggi, ma richiede un cambio di politica e di visione. Lo ha accennato anche Matteo Renzi. Credo anche però – permetti Matteo – che la riflessione debba essere, proprio a ragione del luogo in cui siamo e del soggetto che propone questa riflessione ad ampio raggio, un po’ più ampia del solo immediato, su cui dobbiamo confrontarci e su cui è giusto avere visioni e risposte diverse. Il principio che io condivido è che l’accoglienza è un dovere, l’accoglienza è dignitosa o non è accoglienza, l’accoglienza illimitata non è accoglienza. È importante capire come affrontare questi cambiamenti, quali risposte dare, capire quali sono le cause che hanno creato e che creano quest’apocalisse, questo flusso migratorio incontrollato. Prima Asmae Dachan diceva che la via di fuga non è una via semplice. Ma diventa l’unica via per scappare da colpi di Stato, da persecuzioni, da fame, da condizioni che sono ovviamente inaccettabili.
È evidente che ci sono delle risposte nell’immediato e ci sono delle risposte di medio termine. Ma quello che noi dobbiamo capire e credo sia esattamente il titolo del vostro convegno, che a me ha fatto riflettere e su cui io vorrei dare il mio contributo – perché non spetta a me e non credo che questo sia il luogo in cui difendere le politiche che si stanno facendo – è che cosa vuol dire cambiare rotta, perché cambiare rotta, e come cambiare rotta può indicarci una strada su cui lavorare, non nel breve, ma nel medio e lungo periodo. Il compito che hanno i governanti, i politici – con Matteo quando si governava abbiamo affrontato questa sfida – è costruire ponti per costruire il futuro dei luoghi dove siamo, il futuro dell’Italia e dell’Europa. Ci sono però anche delle questioni di breve periodo. Io ero ministro delle Infrastrutture quando purtroppo accadde la prima grande tragedia nel 2013 a Lampedusa: 368 bare. Io andai, insieme ad altri colleghi e all’allora Presidente del Consiglio Letta, a vivere quella drammatica tragedia. Nel breve, la risposta fu l’operazione Mare nostrum e, sotto il governo di Matteo Renzi, prima la missione Triton e poi la missione Sophia. Le prime risposte avevano cercato di governare nell’immediato il flusso migratorio, in particolare combattere l’immigrazione clandestina. Oggi stiamo vedendo dei passi in avanti nella presa di coscienza di un tema che va affrontato insieme con l’Europa. Si parla di una missione navale europea, dobbiamo lottare senza se e senza ma contro i trafficanti della morte, contro gli schiavisti della morte.
Dall’altra c’è una sfida che Matteo ha affrontato, che io condivido e che il governo di centro-destra, proprio per la cultura che può rappresentare, dovrebbe vincere. È la sfida che viene denominata decreto flussi e che consiste nel governare e nel capire come questa possa essere un’opportunità enorme per l’Italia, proprio per la fotografia che ha fatto Matteo sulla natalità e sulla situazione del momento. Basta vedere i dati di quando si fanno i click day sul decreto flussi: a fronte di 90.000 posti arrivano, in una sola notte, 220.000-230.000 richieste di forza lavoro da parte delle nostre piccole e medie imprese in tutta Italia. Credo quindi che anche su questo bisogna avere la serietà e il coraggio di una visione e di una risposta immediata, ma anche di offrire una formazione. Il decreto flussi è stato portato a 500.000 posti per i prossimi tre anni. Io credo che questa potrebbe essere una grande sfida. L’Italia si apre a formare, ad accogliere in maniera dignitosa, si apre perché ha bisogno di contributi positivi e quindi la forza lavoro è un elemento di discussione.
Il contributo che volevo darvi è esattamente su che cosa vuol dire cambiare rotta. Il governo Meloni ha proposto il cosiddetto Piano Mattei. Credo che questa proposta non vada sottovalutata, perché evoca il ruolo che l’Italia ebbe allora nello sviluppo del continente africano, ma anche una modalità e forse un compito reale che noi oggi abbiamo. Io penso che la vera, grande responsabilità dell’Italia e dell’Europa sia di aver abbandonato il Mediterraneo. Questa è la responsabilità criminale che abbiamo in termini politici. Non abbiamo capito che l’Italia e l’Europa, ma in particolare l’Italia, sono determinanti per la storia ma anche per il presente e il futuro di quel luogo e di quella cultura che si chiama Mare Nostrum, cioè il Mediterraneo. Lo abbiamo fatto tutti con atti politici insensati. Penso alla Libia, alla questione di Gheddafi, alla Francia…ma non voglio addentrarmi su questo. In particolare, lo abbiamo fatto da un punto di vista economico cambiando l’asse dello sviluppo politico, istituzionale ed economico del nostro continente. A un asse Nord-Sud abbiamo sostituito un asse con l’Est del mondo e oggi ne paghiamo le conseguenze. L’asse Nord-Sud ci chiedeva, secondo quella che è la tradizione del nostro Paese, il Piano Mattei, di aiutarci reciprocamente nello sviluppo di un continente, di crescere insieme. L’asse che ha sostituito quello Nord-Sud ha avuto delle conseguenze che stiamo pagando adesso drammaticamente con la crisi energetica e con gli effetti che questa ha sull’economia reale. Per questo credo che cambiare rotta significhi, per le istituzioni e per i partiti, e con il contributo di tutti, tornare a essere protagonisti nel mondo, ma in particolare in questo pezzo del mondo che è fondamentale e che oggi bussa fortemente alla nostra porta, dicendoci «ci siamo, dovete fare i conti con noi». Questo ci dice la situazione drammatica che stiamo vivendo.
Da ministro delle Infrastrutture sotto il governo Renzi andai in Algeria. Incontrai i governanti di allora, che mi ricordarono come tutti gli altri Paesi andassero in Algeria per sfruttare, prendere e portare via. L’Italia invece è sempre stata considerata il Paese che andava in Algeria per sviluppare sé stesso, ma anche per sviluppare il luogo dove andava, che poi è l’esperienza fatta da Enrico Mattei. Claudio Descalzi dell’Eni raccontava che, se l’Eni è ancora presente in Libia, se l’Eni è ancora fortemente presente in quel continente, è perché da sempre rappresenta un modello di sviluppo e di interlocuzione con quel continente totalmente diverso. Parlando a duecento ragazzi della Scuola di formazione della Fondazione Costruiamo il Futuro, Descalzi diceva: «Il problema di noi occidentali con l’Africa è che non siamo credibili. È un problema di credibilità. Come possiamo diventarlo? Io divento credibile ai tuoi occhi se mi prendo un rischio con te, non un giorno, un anno, ma per cinquant’anni. Se ti dimostro che per lavorare con te riduco il mio profitto. Non basta solo trovare il gas, estrarlo, venderlo in Europa. Perché questo lo fanno tutti. Dobbiamo aiutarci a creare delle professionalità. Devo aiutare a diventare agricoltore, dottore, a occuparmi di sanità, diventare insegnante, occuparmi, l’abbiamo detto prima, di educazione e cultura. Devo fare tutti questi passi». Insomma, abbiamo una strada tracciata. Ce l’abbiamo certamente nella storia dell’accoglienza del nostro Paese, della nostra tradizione culturale occidentale. Il “meticciato” di cui ha sempre parlato Sua Eminenza il Cardinal Scola è la sfida delle sfide: costruire senza perdere la nostra identità – e su questo sono d’accordo con quello che diceva Matteo.
L’idea del Piano Mattei, o del Piano Marshall o comunque lo si voglia chiamare, è che l’Italia, l’Europa e l’Occidente tornino a essere protagonisti dello sviluppo di quello che è una delle risorse più importanti del mondo, ma che al momento è un continente che sembra abbandonato. Lo abbiamo abbandonato ai turchi, ai cinesi e ai russi – vediamo, per esempio, che cosa fa la Wagner in quei posti o come la Cina sfrutta le materie prime per poi portare uno sviluppo economico insensato.
Il secondo aspetto del cambiare rotta è determinato da uno dei principi che per me è assolutamente fondamentale e di cui abbiamo già testimonianza: il principio della sussidiarietà. Mentre noi siamo qui a discutere e a confrontarci, negli ultimi anni c’è chi questa rotta l’ha già cambiata. Ne abbiamo avuto testimonianza anche dall’intervento di monsignor Martinelli. Voglio dire che la presenza delle ONG, delle imprese e dei volontari in quel continente indica anche a noi una strada e un tratto distintivo dell’azione che lo stesso governo italiano, se vuole essere credibile nell’attuazione del Piano Mattei, deve applicare fin da subito. Queste organizzazioni non sono dei nemici, sono l’opportunità di una testimonianza reale e concreta. Voglio citare alcuni dati perché la settimana scorsa c’è stato un convegno all’Università Cattolica proprio su questo tema, ed è stato presentato un rapporto che ha raccontato in maniera molto chiara la realtà di questa presenza nel continente africano. Nel 2021 Save the Children ha investito 133 milioni di euro, Avsi 92 milioni di euro con 178 progetti in gran parte educativi, Intersos 82 milioni di euro e così via. In quell’anno c’erano 1.100 progetti in corso. Senza parlare dei contributi delle missioni religiose. Quindi, non c’è il deserto, c’è una strada indicata, che è la storia di tutti questi anni. È una storia imprenditoriale, una storia fatta di protagonismo reale, che considera l’opportunità di sviluppo, di accoglienza e di reciproca crescita in quel continente. Credo che questa possa essere la strada per cambiare rotta in una direzione di medio e lungo termine. Non si affronta il presente se non si ha questa visione e questo sguardo per il futuro. O la storia illumina il nostro futuro e ci fa agire nel presente, o è semplicemente un grande ricordo del passato. Il luogo dove siamo, l’università, ci indica che questo è il nostro compito.
Credo quindi, e concludo il mio contributo, che una cooperazione, un Piano Mattei, uno sviluppo che non sia predatorio debba andare in questa direzione. La Cina, per esempio, in Katanga ha preso l’80% delle terre rare e il 20% l’hanno preso gli USA, e poi ci lamentiamo se la povertà esiste e se la via della fuga diventa l’unica via della speranza e della prospettiva. Insomma, gli esempi per cambiare rotta non mancano: vanno messi a sistema e va assunta una responsabilità reale e seria, anche in termini di risorse che si mettono a disposizione, in termini di intervento da parte di tutti noi. C’è qualche nemico rispetto a tutto questo? Certamente, e credo che Matteo ve lo possa testimoniare. Questo cambio di asse non vede protagonisti contenti o convinti tra i Paesi del Nord Europa, ma va da sé che chi è fondatore dell’Europa e rivendica con orgoglio di esserlo potrebbe e deve fare un lavoro di questo genere.
E infine c’è il tema della risposta immediata: certo, non si alzano i muri, l’accoglienza è doverosa, ma abbiamo anche il dovere di capire. Gli strumenti ci sono. Io credo, per esempio, che una nuova missione navale europea possa essere certamente una strada. Poi ci sono fenomeni che riguardano le crisi del continente africano, in particolare del Nord Africa, vedi la Tunisia, che poi è la porta della rotta mediterranea dell’immigrazione. I decreti flussi possono essere il modo con cui si cambiano i parametri nel nostro Paese e si dimostra che l’accoglienza non è formale, ma reale e utile per entrambi. Infine, spero che cambiare rotta sia un percorso fatto non solo a parole, non solo con gli slogan, non solo con le immagini – siamo tutti molto bravi a creare le immagini – ma con i fatti, perché questa è l’unica speranza e l’unico compito che noi abbiamo.
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