Discorso di Giovanni Paolo II all’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura

                                                                                                                           Parigi, 2 giugno 1980

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:36:48

6. «Genus humanum arte et ratione vivit» [cfr. S. Thomae In Aristotelis Post. Analyt., 1]. Queste parole di uno dei più grandi geni del cristianesimo, che fu nello stesso tempo un continuatore fecondo del pensiero antico, portano al di là del cerchio e del significato contemporaneo della cultura occidentale sia mediterranea che atlantica. Esse hanno un significato che si applica all’insieme dell’umanità in cui si incontrano le diverse tradizioni che costituiscono la sua eredità spirituale e le diverse epoche della sua cultura. Il significato essenziale della cultura consiste, secondo queste parole di san Tommaso d’Aquino, nel fatto che essa è una caratteristica della vita umana come tale. L’uomo vive di una vita veramente umana grazie alla cultura. La vita umana è cultura nel senso anche che l’uomo si distingue e si differenzia attraverso essa da tutto ciò che esiste per altra parte nel mondo visibile: l’uomo non può essere fuori della cultura. La cultura è un modo specifico dell’«esistere» e dell’«essere» dell’uomo. L’uomo vive sempre secondo una cultura che gli è propria, e che, a sua volta, crea fra gli uomini un legame che pure è loro proprio, determinando il carattere inter-umano e sociale dell’esistenza umana. Nell’unità della cultura, come modo proprio dell’esistenza umana, si radica nello stesso tempo la pluralità delle culture in seno alle quali l’uomo vive. In questa pluralità, l’uomo si sviluppa senza perdere tuttavia il contatto essenziale con l’unità della cultura in quanto dimensione fondamentale ed essenziale della sua esistenza e del suo essere. 7. L’uomo che, nel mondo visibile, è l’unico soggetto ontico della cultura, è anche il suo unico oggetto e il suo termine. La cultura è ciò per cui l’uomo in quanto uomo diventa più uomo, «è» di più, accede di più all’«essere». È qui anche che si fonda la distinzione capitale fra ciò che l’uomo è e ciò che egli ha, fra l’essere e l’avere. La cultura si situa sempre in relazione essenziale e necessaria a ciò che è l’uomo, mentre la sua relazione a ciò che egli ha, al suo «avere», è non soltanto secondaria, ma del tutto relativa. Tutto l’«avere» dell’uomo non è importante per la cultura, non è un fattore creatore della cultura se non nella misura in cui l’uomo, con la mediazione del suo «avere», può nello stesso tempo «essere» più pienamente come uomo in tutte le dimensioni della sua esistenza, in tutto ciò che caratterizza la sua umanità. L’esperienza delle diverse epoche, senza escludere la presente, dimostra che si pensa alla cultura e che se ne parla anzitutto in relazione alla natura dell’uomo e solo in modo secondario e indiretto in relazione al mondo delle sue produzioni. Questo non toglie nulla al fatto che noi giudichiamo il fenomeno della cultura a partire da ciò che l’uomo produce o che noi traiamo da questo nello stesso tempo delle conclusioni sull’uomo. Tale approccio – modo tipico di processo di conoscenza «a posteriori» – contiene in sé la possibilità di risalire, in senso opposto, verso le dipendenze ontico-causali. L’uomo, e solo l’uomo, è «autore» o «artefice» della cultura; l’uomo, e solo l’uomo, si esprime in essa ed in essa trova il suo proprio equilibrio. 8. Noi tutti qui presenti ci incontriamo sul terreno della cultura, realtà fondamentale che ci unisce e che è alla base dell’istituzione e delle finalità dell’UNESCO. Ci incontriamo per lo stesso fatto intorno all’uomo e in un certo senso, in lui, nell’uomo. Quest’uomo che si esprime e si oggettivizza nella e mediante la cultura, è unico, completo e indivisibile. Egli è allo stesso tempo soggetto e artefice della cultura. Non lo si può quindi considerare unicamente come la risultante di tutte le condizioni concrete della sua esistenza, come la risultante – per non citare che un esempio – delle relazioni di produzione che prevalgono ad un’epoca determinata. Questo criterio delle relazioni di produzione non sarebbe allora in nessun modo una chiave per la comprensione della storicità dell’uomo, per la comprensione della sua cultura e delle molteplici forme del suo sviluppo? Certo, questo criterio costituisce bene una chiave, ed anche una chiave preziosa, ma non è la chiave fondamentale, costitutiva. Le culture umane riflettono, non c’è dubbio, i diversi sistemi delle relazioni della produzione; tuttavia non è questo o quel sistema che è all’origine della cultura, ma è l’uomo, l’uomo che vive nel sistema, che l’accetta o che cerca di cambiarlo. Non si può pensare una cultura senza soggettività umana e senza causalità umana; ma nell’ambito culturale, l’uomo è sempre il fatto primario: l’uomo è il fatto primordiale e fondamentale della cultura. E questo l’uomo lo è sempre nella sua totalità: nell’insieme integrale della sua soggettività spirituale e materiale. Se la distinzione fra cultura spirituale e cultura materiale è giusta in funzione del carattere e del contenuto dei prodotti nei quali la cultura si manifesta, bisogna constatare nello stesso tempo che, da una parte, le opere della cultura materiale fanno apparire sempre una «spiritualizzazione» della materia, una sottomissione dell’elemento materiale alle forze spirituali dell’uomo, vale a dire, alla sua intelligenza e alla sua volontà, e che, d’altra parte, le opere della cultura spirituale manifestano, in una maniera specifica, una «materializzazione» dello spirito, una incarnazione di ciò che è spirituale. Nelle opere culturali, questa duplice caratteristica sembra essere ugualmente primordiale ed ugualmente permanente. Ecco dunque, a guisa di conclusione teorica, una base sufficiente per comprendere la cultura attraverso l’uomo integrale, attraverso tutta la realtà della sua soggettività. Ecco anche – nell’ambito dell’agire – la base sufficiente per cercare sempre nella cultura l’uomo integrale, l’uomo tutto intero, in tutta la verità della sua soggettività spirituale e corporale; la base che è sufficiente per non sovrapporre alla cultura – sistema autenticamente umano, sintesi splendida dello spirito e del corpo – delle divisioni e delle opposizioni preconcette. Di fatto, che si tratti di un’assolutizzazione della materia nella struttura del soggetto umano, o, inversamente, di un’assolutizzazione dello spirito in questa stessa struttura, né l’una né l’altra esprimono la verità dell’uomo e non servono la sua cultura. 9. Vorrei fermarmi qui ad un’altra considerazione essenziale, ad una realtà di un ordine ben diverso. Possiamo accostarla notando il fatto che la Santa Sede è rappresentata all’UNESCO dal suo osservatore permanente, la cui presenza si situa nella prospettiva della natura stessa della Sede Apostolica. Questa presenza è, in un modo più ampio ancora, in consonanza con la natura e la missione della Chiesa cattolica e, indirettamente, con quella di tutto il Cristianesimo. Colgo l’occasione che mi è offerta oggi per esprimere una convinzione personale profonda. La presenza della Sede Apostolica presso la vostra organizzazione – benché motivata dalla sovranità specifica della Santa Sede – trova soprattutto la sua ragion d’essere nel legame organico e costitutivo che esiste fra la religione in generale e il Cristianesimo in particolare da una parte, e la cultura dall’altra. Questa relazione si estende alle molteplici realtà che bisogna definire come espressioni concrete della cultura nelle diverse epoche della storia e in tutti i punti del globo. Non sarà certo esagerato affermare in particolare che, attraverso una moltitudine di fatti, l’Europa tutta intera – dall’Atlantico agli Urali – testimonia, nella storia di ogni nazione come in quella della comunità intera, il legame fra la cultura e il Cristianesimo. Ricordando questo, non voglio in alcun modo diminuire l’eredità degli altri continenti, né la specificità e il valore di quella stessa eredità che deriva da altre fonti d’ispirazione religiosa, umana ed etica. Ben di più, a tutte le culture dell’insieme della famiglia umana, dalle più antiche a quelle che ci sono contemporanee, desidero rendere l’omaggio più profondo e sincero. È pensando a tutte le culture che voglio dire ad alta voce qui, a Parigi, nella sede dell’UNESCO, con rispetto e ammirazione. «Ecco l’uomo!». Voglio proclamare la mia ammirazione davanti alla ricchezza creatrice dello spirito umano, davanti ai suoi sforzi incessanti per conoscere e per affermare l’identità dell’uomo: di quest’uomo che è sempre presente in tutte le forme particolari di cultura. 10. Parlando invece del posto della Chiesa e della Sede Apostolica presso la vostra organizzazione, non penso soltanto a tutte le opere della cultura nelle quali, nel corso dei due ultimi millenni, si è espresso l’uomo che ha accettato Cristo e il Vangelo, né alle istituzioni di diverse specie che sono nate dalla stessa ispirazione nell’ambito dell’educazione, dell’istruzione, della beneficenza, dell’assistenza sociale e in tanti altri. Penso soprattutto, signore e signori, al legame fondamentale del Vangelo, ossia del messaggio di Cristo e della Chiesa, con l’uomo nella sua stessa umanità. Questo legame è in effetti creatore della cultura nel suo fondamento stesso. Per creare la cultura bisogna considerare fino alle sue ultime conseguenze e integralmente l’uomo come un valore particolare e autonomo, come il soggetto portatore della trascendenza della persona. Bisogna affermare l’uomo per se stesso e non per qualche altro motivo o ragione: unicamente per se stesso! Ancor più, bisogna amare l’uomo perché è uomo, bisogna rivendicare l’amore per l’uomo in ragione della dignità particolare che egli possiede. L’insieme delle affermazioni concernenti l’uomo appartiene alla sostanza stessa del messaggio di Cristo e della missione della Chiesa, malgrado tutto ciò che gli spiriti critici hanno potuto dichiarare in materia, e tutto ciò che hanno potuto fare le diverse correnti opposte alla religione in generale e al Cristianesimo in particolare. Nel cuore della storia, noi siamo già stati più di una volta e siamo ancora i testimoni d’un processo, d’un fenomeno molto significativo. Là dove sono state soppresse le istituzioni religiose, dove le idee e le opere nate dall’ispirazione religiosa e, in particolare dall’ispirazione cristiana, sono state private del loro diritto di cittadinanza, gli uomini ritrovano di nuovo questi ¬stessi dati, fuori dalle strade istituzionali, col confronto che si opera, nella verità e nello sforzo interiore, fra ciò che costituisce la loro umanità e ciò che è contenuto nel ¬messaggio cristiano. Signore e signori, mi vorrete perdonare questa affermazione. Proponendola, non ho voluto offendere assolutamente nessuno. Vi prego di comprendere che, in nome di ciò che sono, non potevo astenermi dal dare questa testimonianza. Essa porta anche in sé quella verità – che non può essere passata sotto silenzio – sulla cultura, se si cerca in essa tutto ciò che è umano, ciò in cui l’uomo si esprime o mediante il quale vuol essere il soggetto della propria esistenza. ¬Parlandone, volevo nello stesso tempo manifestare ancor più la mia gratitudine per i legami che uniscono l’UNESCO alla Sede Apostolica, legami di cui la mia presenza oggi vuol essere un’espressione particolare. 11. Da tutto questo deriva un certo numero di conclusioni fondamentali. In effetti, le considerazioni che ho fatto mostrano con evidenza che il compito primario ed essenziale della cultura in generale e anche di ogni cultura è l’educazione. L’educazione consiste in sostanza nel fatto che l’uomo divenga sempre più umano, che possa «essere» di più e non solamente che possa «avere» di più, e che, di conseguenza, attraverso tutto ciò che egli «ha», tutto ciò che egli «possiede», sappia sempre più pienamente «essere» uomo. Per questo bisogna che l’uomo sappia «essere più» non solo «con gli altri», ma anche «per gli altri». L’educazione ha un’importanza fondamentale per la formazione dei rapporti interumani e sociali. A questo punto tocco anche un insieme di assiomi, sul terreno dei quali le tradizioni del Cristianesimo derivate dal Vangelo incontrano l’esperienza educativa di molti uomini ben disposti e profondamente saggi, tanto numerosi in tutti i secoli della storia. Non mancano neppure nella ¬nostra epoca questi uomini che si rivelano grandi semplicemente per la loro umanità, che sanno dividere con gli altri, in particolare con i giovani. Nello stesso tempo, i ¬sintomi di crisi di ogni genere, di fronte ai quali soccombono gli ambienti e le società, che, per altro verso, sono i più provveduti – crisi che investono prima di tutto le giovani generazioni – fanno a gara nel testimoniare che l’opera di educazione ¬dell’uomo non si compie soltanto con l’aiuto delle istituzioni né solo con l’aiuto di mezzi ¬organizzati e materiali, per quanto eccellenti siano. Essi mostrano anche che il più importante è sempre l’uomo, l’uomo e la sua autorità morale, che deriva dalla verità dei suoi principi e dalla conformità delle sue azioni con questi principi. 12. In quanto organizzazione mondiale di massima competenza in tutti i problemi della cultura, l’UNESCO non può ignorare questi altri problemi assolutamente primordiali: che fare perché l’educazione dell’uomo si realizzi soprattutto nella famiglia? Qual è lo stato della moralità pubblica che assicurerà alla famiglia e soprattutto ai genitori, l’autorità morale necessaria a questo fine? Quale tipo d’istruzione? Quale forma di legislazione sostiene quest’autorità o, al contrario, l’indebolisce o la distrugge? Le cause di successo e di insuccesso nella formazione dell’uomo mediante la sua famiglia si situano sempre all’interno stesso dell’ambiente creatore fondamentale della cultura che è la famiglia ed anche a un livello superiore, quello della competenza dello Stato e dei suoi organi da cui esse restano dipendenti. Questi problemi non possono non provocare riflessione e sollecitudine nel foro dove si incontrano i rappresentanti qualificati dello Stato. Non c’è dubbio che il fatto culturale primario e fondamentale è l’uomo spiritualmente maturo, vale a dire pienamente educato, l’uomo capace di educare se stesso e di educare gli altri. Non c’è dubbio neppure che la dimensione primaria e fondamentale della cultura è la sana moralità: la cultura morale. 13. Certo, si trovano in questo ambito numerosi problemi particolari, ma l’esperienza mostra che tutto resta e che questi problemi si situano in sistemi evidenti di dipendenza reciproca. Per esempio, nell’insieme del processo dell’educazione, dell’educazione scolastica in particolare, non è forse avvenuto uno spostamento unilaterale verso l’istruzione nel senso stretto della parola? Se si considerano le proporzioni assunte da questo fenomeno, come l’accrescimento sistematico dell’istruzione che si riferisce unicamente a ciò che l’uomo possiede, non è l’uomo stesso che si trova sempre più messo in ombra? Questo trascina allora con sé una vera alienazione dell’educazione: invece di operare in favore di ciò che l’uomo deve «essere», essa lavora unicamente in favore di ciò di cui l’uomo può servirsi nell’ambito dell’«avere», del «possesso». La tappa ulteriore di questa alienazione è di abituare l’uomo, privandolo della sua propria soggettività, ad essere oggetto di molteplici manipolazioni: le manipolazioni ideologiche o politiche che si fanno attraverso l’opinione pubblica; quelle che si operano attraverso il monopolio o il controllo, dalle forze economiche o dai poteri politici, dai mezzi di comunicazione sociale; la manipolazione, infine, che consiste nel presentare la vita come manipolazione specifica di se stessi. Sembra che da tali danni in materia di educazione siano minacciate soprattutto le società di civilizzazione tecnica più sviluppata. Queste società si trovano davanti la crisi specifica dell’uomo che consiste in una mancanza crescente di fiducia nei confronti della propria umanità, del significato del fatto d’essere uomo e dell’affermazione e della gioia che ne derivano e che sono sorgente di creazione. La civiltà contemporanea tenta d’imporre all’uomo una serie di imperativi apparenti che i loro portavoce giustificano ricorrendo al principio dello sviluppo e del progresso. Così, per esempio, al posto del rispetto della vita, l’«imperativo» di sbarazzarsi della vita e di distruggerla; al posto dell’amore, che è comunione responsabile di persone, l’«imperativo» del massimo di godimento sessuale al di fuori da ogni senso di responsabilità; al posto del primato della verità nell’azione, il «primato» del comportamento in voga, del soggettivo e del successo immediato. In tutto questo si esprime indirettamente una grande rinuncia sistematica alla sana ambizione che è l’ambizione di essere uomo. Non facciamoci illusioni: il sistema formato sulla base di questi falsi imperativi, di queste rinunce fondamentali, può determinare l’avvenire dell’uomo e l’avvenire della cultura. 14. Se, in nome dell’avvenire della cultura, bisogna proclamare che l’uomo ha il diritto di «essere» di più e se per la stessa ragione bisogna esigere un sano primato della famiglia nell’insieme dell’opera di educazione dell’uomo a una vera umanità, bisogna anche porre nella stessa linea il diritto della nazione; bisogna porre anch’essa alla base della cultura e dell’educazione. La nazione è in effetti la grande comunità degli uomini che sono uniti per diversi legami, ma, soprattutto, dalla cultura. La nazione esiste «mediante» la cultura e «per» la cultura, ed essa è dunque la grande educatrice degli uomini perché essi possano «essere di più» nella comunità. Essa è quella comunità che possiede una storia che sorpassa la storia dell’individuo e della famiglia. È anche in questa comunità, in funzione della quale ogni famiglia educa, che la famiglia comincia la sua opera di educazione nella cosa più semplice, la lingua, permettendo così all’uomo che è ai suoi primi passi d’imparare a parlare per diventare membro della comunità che è la sua famiglia e la sua nazione. In tutto ciò che io proclamo ora e che svilupperò ancora di più, le mie parole traducono un’esperienza particolare, una testimonianza nel suo genere. Io sono figlio di una nazione che ha vissuto le più grandi esperienze della storia, che i suoi vicini hanno condannato a morte a più riprese, ma che è sopravvissuta e che è rimasta se stessa. Essa ha conservato la sua identità ed ha conservato, nonostante le spartizioni e le occupazioni straniere, la sua sovranità nazionale, non appoggiandosi sulle risorse della forza fisica, ma unicamente appoggiandosi sulla sua cultura. Questa cultura si è rivelata all’occorrenza d’una potenza più grande di tutte le altre forze. Quello che io dico qui in ordine al diritto della nazione, al fondamento della sua cultura e del suo avvenire non è «eco» di alcun nazionalismo, ma si tratta sempre di un elemento stabile dell’esperienza umana e delle prospettive umane dello sviluppo dell’uomo. Esiste una sovranità fondamentale della società che si manifesta nella cultura ¬della nazione. Si tratta della sovranità per la quale, allo stesso tempo, l’uomo è supremamente sovrano. E quando mi esprimo così penso ugualmente, con un’emozione interiore profonda, alle culture di tanti popoli antichi che non hanno ceduto quando si sono trovati di fronte alle civiltà degli invasori ed esse restano ancora per l’uomo la fonte del suo «essere» uomo nella verità interiore della sua umanità. Penso anche con ammirazione alle culture delle nuove società, di quelle che si svegliano ¬alla vita nella comunità della propria nazione – come la mia nazione si è svegliata alla vita dieci secoli fa – e che lottano per conservare la loro propria identità e i loro propri valori contro le influenze e le pressioni dei modelli preposti dall’esterno. 15. Indirizzandomi a voi, signore e signori che vi riunite in questo luogo da oltre trent’anni, ora, in nome del primato delle realtà culturali del luogo, delle comunità umane, dei popoli e delle nazioni, vi dico: vigilate, con tutti i mezzi a vostra disposizione, su questa sovranità fondamentale che possiede ogni nazione in virtù della sua propria cultura. Proteggetela come la pupilla dei vostri occhi per l’avvenire della grande famiglia umana. Proteggetela! Non permettete che questa sovranità fondamentale diventi preda di qualche interesse politico o economico. Non permettete che diventi vittima dei totalitarismi, degli imperialismi o delle egemonie, per i quali l’uomo non conta che come oggetto di dominazione e non come soggetto della sua propria esistenza umana. Per essi anche la nazione – la loro propria nazione o le altre – non conta che come oggetto di dominazione ed esca di interessi diversi, e non come soggetto: il soggetto della sovranità che proviene dalla cultura autentica che le appartiene in proprio. Non ci sono forse sulla carta d’Europa e del mondo delle nazioni che hanno una meravigliosa sovranità storica che proviene dalla loro cultura e che sono tuttavia e allo stesso tempo private della loro piena sovranità? Non è questo un punto importante per l’avvenire delle cultura umana, importante soprattutto nella nostra epoca, quando è quanto mai urgente eliminare i resti del colonialismo? 16. Questa sovranità che esiste e che trae la sua origine dalla cultura propria della nazione e della società, dal primato della famiglia nell’opera dell’educazione ed infine dalla dignità personale di ogni uomo, deve restare il criterio fondamentale nella maniera di trattare quel problema importante per l’umanità d’oggi che è il problema dei mezzi di comunicazione sociale (dell’informazione che è loro legata e anche di ciò che si chiama la «cultura di massa»). Visto che questi mezzi sono i mezzi «sociali» della comunicazione, non possono essere mezzi di dominazione sugli altri da parte di agenti del potere politico come di quello delle potenze finanziarie che impongono il loro programma e il loro modello. Essi devono diventare il mezzo – e che mezzo importante! – di espressione di quella società che si serve di loro e che ne assicura anche l’esistenza. Essi devono tener conto dei veri bisogni di quella società. Essi devono tener conto della cultura della nazione e della sua storia. Devono rispettare la responsabilità della famiglia nell’ambito dell’educazione. Devono tener conto del bene dell’uomo, della sua dignità. Non possono essere sottomessi al criterio dell’interesse, del sensazionale e del successo immediato, ma tenendo conto delle esigenze dell’etica, devono servire alla costruzione di una vita «più umana». 17. «Genus humanum arte et ratione vivit». Si afferma in fondo che l’uomo è se stesso mediante la verità, e diventa sempre più se stesso mediante la conoscenza sempre più perfetta della verità. Vorrei qui rendere omaggio, signore e signori, a tutti i meriti della vostra organizzazione e nello stesso tempo all’impegno e a tutti gli sforzi degli Stati e delle istituzioni che voi rappresentate, sulla via della popolarizzazione dell’istruzione a tutti i gradi e a tutti i livelli, sulla via dell’eliminazione dell’analfabetismo che significa la mancanza di ogni istruzione anche la più elementare, mancanza dolorosa non solo dal punto di vista della cultura elementare degli individui e degli ambienti, ma anche dal punto di vista del progresso socio-economico. Ci sono degli indici inquietanti di ritardo in questo ambito, legati ad una distribuzione dei beni spesso radicalmente ineguale e ingiusta: pensiamo alle situazioni nelle quali esistono, accanto ad una oligarchia plutocratica poco numerosa, moltitudini di cittadini affamati che vivono nella miseria. Questo ritardo può essere eliminato non per la via di lotte sanguinarie per il potere, ma soprattutto per la via dell’alfabetizzazione sistematica attraverso la diffusione e la popolarizzazione dell’istruzione. Uno sforzo così orientato è necessario se si desidera operare per i cambiamenti che s’impongono nell’ambito socio-economico. L’uomo che «è più» grazie anche a ciò che «ha» e a ciò che «possiede», deve saper possedere, vale a dire disporre e amministrare i mezzi che possiede, per il suo bene proprio e per il bene comune. Per questo fine l’istruzione è indispensabile. [...] 23. Mi è stato dato di realizzare oggi uno dei desideri più vivi del mio cuore. Mi è stato dato di entrare, proprio qui, all’interno dell’areopago che è quello del mondo intero. Mi è stato dato di dire a voi tutti, membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, a voi che lavorate per il bene e per la riconciliazione degli uomini e dei popoli attraverso tutti gli ambiti della cultura, dell’educa¬zione, della scienza e dell’informazione, di dirvi e di gridarvi dal fondo dell’anima: Sì! L’avvenire dell’uomo dipende dalla cultura! Sì! La pace del mondo dipende dal primato dello spirito. Sì! L’avvenire pacifico dell’umanità dipende dall’amore. Il vostro contributo personale, signore e signori, è importante, è vitale. Esso si attua nell’approccio corretto dei problemi, alla soluzione dei quali consacrate il vostro servizio. La mia parola finale è questa: Non cessate. Continuate. Continuate sempre. ©Copyright 1980 – Libreria Editrice Vaticana  

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