Dal deserto ai talent show, gli arabi nella figura del poeta individuano la memoria collettiva della comunità

Ultimo aggiornamento: 15/03/2024 12:05:43

Sin dall’epoca preislamica l’abitudine di radunarsi la sera nell’accampamento attorno al poeta per ascoltare in versi il vissuto della propria gente, ci invita a riflettere sull’aspetto sociale e comunicativo che la poesia araba riveste sin dagli albori. Nella figura del poeta (shā‘ir) si individuava la memoria collettiva della tribù. In quanto portavoce riconosciuto della comunità a lui spettava il compito di esaltare le gesta dei propri eroi (fakhr), ricordarne la genealogia (nasab), inveire contro gli avversari in guerra (hijā’) e piangerne i caduti (rithā’).

 

La poesia ha storicamente rappresentato per gli arabi la più alta espressione letteraria. Nelle composizioni poetiche di ogni epoca si fondono i ricordi del passato, la vita presente e le profezie future e con tale vigore carismatico giungono al lettore che ne percepisce una forza collettiva ritrovando al tempo stesso la propria individualità.

 

Già Ibn Rashīq (m. 456/1063) sottolineava nella sua famosa opera sulla poetica araba, al-‘Umda, che la poesia costituiva il registro delle imprese degli arabi, dei loro eroi e delle genealogie tribali, con un’esaltazione di valori quali la generosità, il coraggio e l’ospitalità. Scriveva che l’intera tribù gioiva all’annuncio della venuta di un poeta, custode delle tradizioni e cantore delle sue glorie. In epoca successiva anche Ibn Khaldūn (m. 808/1406) nella sua Muqaddima ricordava ancora che tra gli arabi la poesia è una raccolta di imprese, di storia e di scienze, oltre a essere il riferimento principale per la conoscenza e la saggezza. Proseguiva poi affermando che la poesia araba era una chiara rappresentazione del concetto di muruwwa, la ‘virtus’ araba.

 

Nonostante le critiche che il Corano ha rivolto ai poeti, tanto che lo stesso Profeta Muḥammad dovette rigettare l’accusa di seguire la tradizionale arte degli indovini (kāhin) e dei poeti, invasati dai demoni[1] e nonostante le accuse di inautenticità di alcuni studiosi, quali Margoliouth e Ṭāhā Ḥusayn, la poesia è sempre stata considerata presso gli arabi del massimo valore letterario.

 

Il canzoniere (dīwān) rappresenta una base fondamentale per lo studio della letteratura araba nel suo insieme, indispensabile per comprendere il ruolo che ha rivestito e che riveste la poesia ancora oggi. Come osservava il nostro illustre studioso italiano Francesco Gabrieli (m. 1996):

 

La poesia araba, archivio dei fasti e della vita quotidiana di questo popolo (…), fu già sentita dai dotti arabi stessi, e poi dagli arabisti, quale fonte principale per la conoscenza dell’anima, degli ideali, del costume e della vita quotidiana dei figli di Ismaele (“La letteratura beduina preislamica”, in L’antica società beduina, 1959, p. 98).

 

Nonostante la cultura araba e le sue espressioni artistiche appaiano oggi sovrastate e spesso oscurate dagli eventi della contemporaneità, la poesia continua ad avere un valore e un potere straordinario. E ci invita a seguire il proprio itinerario in versi che dal deserto giunge alle città, alle piazze, alle rovine, alle macerie, alla gente… la loro voce, raggio di speranza tra nuvole nere foriere di sventura.

 

Il poeta, da vate ad artista, continua a rappresentare uno dei pochi veri artigiani della parola che fa dei versi il proprio modo di comunicare e far comunicare le genti. È lui che dà voce al proprio popolo, è lui che percepisce significati nuovi, trovando legami e affinità che altri non sarebbero in grado di percepire. Eppure non basta una parola rimata e ritmata, una composizione ben scritta per esser definito poeta nel mondo arabo, né appare sufficiente la sola carica emotiva e istintiva.

 

Ieri, come oggi, al dono naturale in base al quale in epoca antica il sapiente Ibn Qutayba (m. 276-889) distingueva un poeta dotato da uno che doveva impegnarsi per divenire tale, si affianca l’esercizio continuo, oltre a una vasta cultura e una vasta sapienza.

 

La poesia nella sua continua oscillazione tra emozioni, sentimenti, sfida in metri, versi liberi e poesia in prosa, resa tale solo grazie alla declamazione ritmica ispirata dalla parola, incede nel suo cammino raccogliendo frammenti di vita, riportandoli alla luce e rendendoli così patrimonio di tutti.

 

Nel corso del Novecento, dal neo-classicismo al romanticismo sino alle forme moderne e contemporanee di espressione poetica liberata dalla grammatica dei versi, la poesia si è espressa nelle scuole e nei movimenti che hanno raccolto poeti, intellettuali, artisti e gente del popolo: la scuola dīwān, il movimento Apollo, la rivista shi‘r (Poesia) per citarne solo alcune.

 

In ogni condizione la poesia ha mantenuto il proprio status con nobiltà e determinazione. Dal deserto inospitale a cui sopravvivere, alle piazze non meno impervie dell’epoca contemporanea, il poeta dà voce alla propria intimità e alla collettività.

 

È stata la poesia uno dei principali strumenti di comunicazione durante le ‘rivoluzioni arabe’. È stata, ed è tutt’oggi, la poesia a essere utilizzata come forma di propaganda politica e di propaganda religiosa, come avviene presso lo Stato Islamico.

 

È ancora in poesia che si confezionano i format televisivi di grande audience, come fossero una sorta di X factor in versi, basti pensare al programma il Principe dei poeti (Amīr al-shu‘arā).

 

Tutto questo ci invita a riflettere sulla popolarità della poesia nel mondo arabo. Versi che uniscono e allontanano, versi di assenso e dissenso, versi di lotta, propaganda e rivoluzione. Versi della resistenza e dell’impegno, del califfato e del popolo, versi di corte e del deserto, versi per esistere, testimoniare e tramandare. Un fuoco che brucia, un popolo che ascolta, in ogni tempo e in ogni luogo, il proprio portavoce: il poeta.

 

Alla poesia e al suo perenne indugiare tra suono e senso, spetta un ruolo fondamentale. Essa, come hanno spesso suggerito i grandi poeti arabi della contemporaneità, potrebbe avere un gran peso nella trasformazione delle società. Seppur nella consapevolezza che non sarà certo la poesia a cambiare il mondo e in essa che si può scorgere la strada giusta per farlo e per coinvolgere tutti.

 

Consigli di lettura

Anthologie de la littérature arabe contemporaine, vol. 3 La poésie, a cura di L. Norin, É. Tarabay, Editions du Seuil, 1967.

S.Kh. Jayyusi, Modern Arabic poetry: an Anthology, Columbia University Press, 1987.

F. Corrao, In un mondo senza cielo: antologia della poesia palestinese, Giunti 2007.


[1] Sura dei poeti “Vi dovrò io annunciare su chi scendono i demoni? Scendono su ogni mentitore malvagio, e gli insegnano discorsi che essi hanno captato furtivi e i più son falsi. E i poeti poi, che i traviati seguono, non vedi come vagano per ogni vallata e dicono quel che non fanno?” Cor. 26: 221-226, trad. A. Bausani.

Tags