Negli anni, la branca afghana dell’ISIS è riuscita ad evolvere da accozzaglia disomogenea e precaria a gruppo disciplinato, efficiente e ideologizzato, capace di estendere le proprie operazioni oltre l’ambito puramente regionale

Ultimo aggiornamento: 13/05/2024 16:11:51

Lo Stato Islamico in Khorasan (IS-K) è salito alla ribalta dei media in occasione dell’attentato terroristico alla sala concerti Crocus City Hall di Mosca lo scorso 22 marzo. Sebbene l’attacco sia stato in realtà rivendicato dall’apparato centrale di ISIS, i media hanno insistito in maniera quasi ossessiva sull’avvertimento lanciato qualche giorno prima dagli americani, secondo i quali l’ordine di prendere di mira grandi raduni proveniva dall’Afghanistan.

 

L’episodio, al di là della risonanza mediatica, mette in luce il rapporto complesso che si è andato sviluppando nel corso degli anni tra il “califfato”, ovvero la leadership centrale dell’ISIS, e la branca del Khorasan. Il contesto è quello del declino del califfato dal 2017 in avanti, al punto che nel 2024 esso non controlla più nemmeno un lembo di territorio in Medio Oriente. Al declino territoriale si è accompagnato quello finanziario: le fonti di reddito dell’ISIS, provenienti dal contrabbando di petrolio e altri prodotti, si sono completamente prosciugate. Oggi le branche più attive dello Stato Islamico sono in Africa, soprattutto nel Sahel. Sia la leadership centrale che il Khorasan operano ormai in completa clandestinità e mantengono una presenza significativa (almeno 1.000 membri) in Siria, Iraq, Turchia, Afghanistan e in parte del Pakistan. L’ambiziosa struttura amministrativa dello Stato Islamico (di cui le province erano solo una piccola parte), che prometteva la rapida creazione di un califfato a livello mondiale, oggi appare anacronistica. Non soltanto non ha più senso, visto che il califfato è reduce da una colossale serie di sconfitte, ma per l’ISIS sarebbe anche difficile, se non impossibile, gestire una così enorme burocrazia del terrore. Da un lato mancano le risorse finanziarie, dall’altro sarebbe un suicidio mantenere una struttura del genere nel deserto siriano o in nascondigli urbani in Turchia. Due anni fa il califfato ha dovuto abbandonare gli ultimi residui di questa struttura, dare più autonomia alle sue “province” e persino cedere alcune delle proprie funzioni alle sue branche. Il principale beneficiario di questa cessione è stata la branca del Khorasan. Per capire queste dinamiche bisogna ricostruire la storia dello Stato Islamico in Khorasan dalle sue origini.

 

La genesi di IS-K

 

Quando nel giugno 2014 venne annunciata la creazione del califfato, uno dei primi obiettivi della leadership dello Stato Islamico fu tradurre nei fatti una narrazione che presentava l’organizzazione come il punto di raccolta di tutti i jihadisti del mondo. L’idea stessa di istituire il califfato era una strategia per conquistare la leadership del jihad globale, mettendo ai margini un’al-Qaida troppo attendista e intellettuale per i gusti delle nuove leve jihadiste. In questo quadro, era di fondamentale importanza stabilire una presenza in Afghanistan. Il jihad dei Talebani era stato fino al 2011 la principale cause célèbre del mondo islamico, prima di venire rimpiazzato dalla guerra civile siriana. Ancora nel 2014 l’Afghanistan era considerato un teatro di eventi a cui lo Stato Islamico doveva prendere parte per legittimarsi e attrarre sempre più finanziamenti e reclute. Il completamento della prima fase del ritiro americano dal Paese lasciava presagire sviluppi importanti e la possibilità per lo Stato Islamico di ammantarsi di gloria facile.

 

Già prima di creare il califfato e acquisire la denominazione di Stato Islamico, la formazione di al-Baghdadi accoglieva volontari dall’Afghanistan, dal Pakistan e dall’Asia Centrale, che offrivano un ponte verso l’Afghanistan e la regione circostante. Nel tentativo di espandere geograficamente il neocostituito califfato, al-Baghdadi e i suoi seguaci decisero di creare una serie di province, tra le quali spiccava, all’inizio del 2015, quella del Khorasan (dal nome storico della regione), che comprendeva l’Afghanistan, il Pakistan, l’India, l’Iran e l’Asia Centrale, anche se in quel momento la presenza di affiliati in India e Iran era pressoché nulla.

 

Anche in Afghanistan e in Pakistan, tuttavia, la branca del Khorasan (IS-K) inizialmente venne costruita in maniera abbastanza precaria fondendo insieme diversi gruppi dissidenti di Talebani afghani e pakistani, e una delle fazioni del Movimento Islamico dell’Uzbekistan. Il nuovo IS-K incorporava una mezza dozzina di gruppuscoli, nessuno particolarmente entusiasta della prospettiva di confluire in un’unica entità altamente centralizzata, come esigeva il califfato in cambio della concessione di finanziamenti. L’insoddisfazione di questi gruppi verso le loro vecchie organizzazioni nasceva da gelosie personali e da delusioni dovute a mancate promozioni, oltre che dal rifiuto di qualsiasi soluzione negoziale del conflitto afghano verso cui si stavano orientando i Talebani. Gli ingenti finanziamenti erogati dal califfato, a quell’epoca all’apice delle sue disponibilità finanziarie, offriva a questi gruppi la possibilità di operare in autonomia. Inizialmente, IS-K era una coalizione di gruppi salafiti, delle frange più radicali dei Talebani, che in precedenza avevano fatto riferimento ad al-Qaida, e di insoddisfatti di vario genere. Nel complesso, il materiale umano a disposizione per realizzare l’ambizioso progetto di creare una branca del califfato risultava inadeguato. Tuttavia, quest’ultimo, motivato come pochi, non si è lasciato scoraggiare.

 

Da accozzaglia incoerente ad armata ideologica

 

Inizialmente, la componente principale di IS-K era pakistana. Dopo l’iniziale afflusso di circa 2000 membri del Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP) nel 2014, altri membri del gruppo talebano pakistano, in corso di disintegrazione, si sarebbero aggiunti fino al 2017. Il primo governatore del Khorasan fu infatti Hafiz Saeed, il capo della fazione dissidente del TTP, che aveva contribuito a fondare IS-K. Nel corso della sua storia, la leadership dello Stato Islamico nel Khorasan, così come i suoi ranghi, sono sempre stati caratterizzati da una forte presenza di pakistani, sebbene il gruppo abbia operato prevalentemente in Afghanistan. Anche dopo la creazione della provincia pakistana del califfato, in cui furono trasferiti molti pakistani di IS-K, i pakistani sono stati e continuano a essere importanti all’interno della leadership. 

 

Anche gli afghani peraltro erano disomogenei al loro interno, dal momento che provenivano da fazioni diverse dei Talebani e presentavano allineamenti ideologici differenti. Inoltre, forti rivalità personali, etniche e tribali impedivano loro di formare un blocco coerente, ciò che spianò di fatto la strada all’egemonia pakistana. IS-K ha sempre compreso anche un nutrito per quanto minoritario gruppo di centroasiatici, quasi tutti uzbeki e tagiki. In linea di principio, questi elementi avrebbero dovuto portare il jihad in Asia Centrale, ma non hanno mai concluso molto. I centroasiatici non sono mai andati d’accordo con i pashtun pakistani e afghani e si sono per lo più alleati con gli afghani di etnia uzbeka e tagika. Inizialmente, il califfato nutriva scarsa considerazione per IS-K, ritenendolo disunito, disorganizzato e troppo poco “ideologico”.

 

La strategia adottata dal califfato per trasformare quest’accozzaglia incoerente in un gruppo disciplinato ed efficiente si basava sul modello adottato in Iraq e in Siria, sulla creazione, cioè, di un “nocciolo duro” di dirigenti capaci di amministrare l’organizzazione, raccogliere e ridistribuire fondi, addestrare e indottrinare i nuovi membri, pianificare e organizzare. Una volta operativa, questa struttura avrebbe dovuto coordinare e dirigere i vari elementi locali. Un modello di questo tipo era fondamentale per operare in contesti come l’Afghanistan e il Pakistan, dove regnava uno scarso interesse per l’ideologia dell’organizzazione. L’unica prospettiva realistica era reclutare un certo numero di dirigenti altamente motivati addestrandoli a mobilitare e gestire (o manipolare) le comunità, i gruppi sociali e gli individui, per lo più indifferenti agli obiettivi “globali” dell’organizzazione e desiderosi invece di difendere i propri interessi o di usare IS-K come strumento per realizzare le proprie ambizioni e vendette.

 

Il califfato cercò di imprimere una svolta in questa direzione inviando dei dirigenti fidati in veste di “commissari politici” e affidandosi agli elementi più ideologizzati di IS-K, in gran parte centroasiatici. Mentre la vecchia guardia formata dai fuoriusciti del TTP e da ex Talebani formava un ombrello temporaneo a protezione del gruppo, il califfato cercava di creare una nuova macchina organizzativa e di controllare il reclutamento e l’indottrinamento dei nuovi membri. Man mano che l’ombrello protettivo costituito dai disertori delle organizzazioni jihadiste locali si erodeva sotto i colpi degli americani e dei Talebani, il nuovo IS-K, modellato sullo Stato Islamico delle origini, veniva pian piano alla luce. Paradossalmente, la distruzione graduale del vecchio involucro finì per facilitare l’emergere della nuova struttura senza troppe frizioni.

 

La composizione di IS-K, perciò, è cambiata nel corso degli anni. Gli ex Talebani ed ex TTP “duri e puri”, che avevano fondato il movimento su incoraggiamento di al-Baghdadi, sono diventati sempre più marginali e meno numerosi a cause delle perdite subite. Il modello centralizzato imposto dal califfato necessitava di dirigenti altamente indottrinati, che all’inizio IS-K non aveva. Il gruppo però è riuscito a reclutare centinaia di giovani universitari, specie a Jalalabad e Kabul, che gli hanno consentito di conformare l’organizzazione al modello originario.

 

Un’organizzazione coriacea

 

Da questo punto di vista gli sforzi del califfato hanno avuto successo e IS-K oggi appare più coeso e ideologico di quanto non fosse in origine. Questo modello organizzativo torna utile per assicurare la sopravvivenza dell’organizzazione in un momento in cui essa è messa sotto grande pressione dai Talebani e versa in forti difficoltà finanziarie. Sebbene IS-K non riesca a pagare i suoi membri da più di un anno, non si registrano defezioni significative tra i suoi dirigenti, anche se molti combattenti si sono arresi ai Talebani o hanno disertato.

 

Il movimento si è adattato a operare sempre più in clandestinità, un’evoluzione che si è resa necessaria dopo che il suo controllo territoriale dal 2018 è andato scemando, fino a scomparire del tutto tra il 2022 e il 2023. La sua presenza nelle città dell’Afghanistan e del Pakistan è andata sempre più crescendo, nonostante i duri colpi inferti dai Talebani nel corso del 2022 e del 2023. I componenti che in origine formavano IS-K non avevano alcuna capacità di operare nelle città. Quest’evoluzione, dunque, è il risultato della trasformazione e, potremmo dire, professionalizzazione descritta sopra.

 

Con grande abilità, IS-K è stato capace di spostare il baricentro geografico delle sue attività. Spesso è riuscito a trasferire centinaia se non migliaia di membri dall’Afghanistan al Pakistan e viceversa, come pure dirigenti e strutture dall’Est al Nord-Est del Paese e viceversa, secondo le minacce che si presentavano. A riprova della capacità del nuovo “nocciolo duro” di intercettare e governare le cause locali, nel corso degli anni il gruppo è riuscito a conquistare molti consensi tra la minoranza salafita nell’Est dell’Afghanistan, tanto che oggi la maggior parte dei suoi membri proviene da questa minoranza, che ha sempre avuto un rapporto conflittuale con i Talebani. La maggior parte dei salafiti afghani nei ranghi di IS-K sono analfabeti e comunque poco avvezzi alle questioni dottrinarie, e la ragione per cui si sono arruolati è che la comunità si sente minacciata dai Talebani. Questi ultimi infatti contrastano la diffusione del salafismo, comparso in Afghanistan negli anni ’70.

 

IS-K si è espanso nel Nord dell’Afghanistan e oggi molti dei suoi capi sono tagiki del nord-est e della regione di Kabul, tra i quali l’organizzazione delle origini non faceva alcuna presa. Molti di questi tagiki sono stati influenzati da ideologie islamiste prossime al salafismo, come quella di Hizb ut-Tahir, che in passato ha reclutato ampiamente tra i tagiki afghani, mentre altri si sentono semplicemente discriminati dai Talebani, i cui leader pashtun cercano di portare il Nord-Est sotto il loro controllo, anche a scapito dei Talebani tagiki.

 

Che cosa vuole lo Stato Islamico nel Khorasan?

 

L’obiettivo primario per cui nel 2015 è nato IS-K in Afghanistan e in Pakistan era dimostrare la diffusione del nuovo califfato. Ben presto sarebbe però diventato chiaro che lo Stato Islamico nel Khorasan e i Talebani erano incompatibili e che i secondi non avrebbero accettato di condividere il territorio con il primo. Era ovvio, del resto, che, a parte il territorio, IS-K avrebbe conteso ai Talebani il palcoscenico e i finanziatori del jihad afghano. Nella primavera del 2015 ebbero inizio gli scontri armati tra le due organizzazioni, diventati via via più violenti. Per IS-K indebolire ed eventualmente sostituire i Talebani era diventato prioritario. Raramente le forze dello Stato Islamico nel Khorasan si sono scontrate con gli americani, che tra il 2015 e il 2020 avevano una presenza militare significativa in Afghanistan, e con le forze armate dell’allora governo afghano.

 

Tra il 2015 e il 2017 le forze di IS-K, molto motivate, riuscirono a infliggere numerose sconfitte tattiche ai Talebani, che erano impegnati su due fronti. Dal 2018, però, questi ultimi lanciarono la controffensiva riportando alcune vittorie, tra il 2019 e il 2020, ai danni delle roccaforti dello Stato Islamico nell’Est del Paese. Al tempo stesso, il collasso del califfato in Medio Oriente ha inciso negativamente sui finanziamenti a IS-K, che è sempre stato dipendente dai fondi trasferiti dal califfo.

 

Man mano che si erodeva la capacità del califfato di finanziarlo, IS-K cercava, con grande fatica, fonti alternative di finanziamento. Le monarchie del Golfo, che negli anni erano state tra i maggiori finanziatori dei vari gruppi jihadisti, avevano poco interesse nel finanziare un jihad contro i Talebani. IS-K ha cercato allora di ovviare a questo disinteresse facendosi promotore e difensore di alcune cause islamiche, tra cui quella degli uiguri in Cina o l’oppressione dei musulmani in Asia Centrale. Tuttavia, le sue campagne di propaganda su questi temi sono apparse poco credibili anche perché nel corso degli anni lo Stato Islamico nel Khorasan è riuscito a fare molto poco per queste cause. È però riuscito ad attrarre l’attenzione di alcuni finanziatori grazie ad alcuni attacchi che ha condotto in Iran in cooperazione con la leadership centrale dello Stato Islamico, specie quello a Kerman lo scorso gennaio. Far leva sulla diffusa ostilità delle monarchie del Golfo nei confronti dell’Iran è da anni una delle strategie preferite da IS-K e dal califfato. Anche questo metodo, tuttavia, ha cominciato a perdere d’efficacia con la fine della guerra civile in Siria e soprattutto l’inizio della crisi di Gaza.

 

Le smisurate ambizioni iniziali di IS-K e del califfato hanno messo l’organizzazione in una posizione molto difficile. Dal 2020, la priorità dello Stato Islamico nel Khorasan non è più sconfiggere i Talebani, ma sopravvivere. I tentativi di strappare ai Talebani sempre più territorio sono naufragati e IS-K ha finito per concentrarsi sempre più sugli attacchi terroristici. Il numero dei suoi membri, che nel 2017 aveva superato le 10.000 persone, ha cominciato a diminuire, finendo col dimezzarsi all’inizio del 2024. Il movimento oggi spera che l’Afghanistan e/o il Pakistan implodano per beneficiare del caos che ne seguirebbe. La nuova strategia per raccogliere fondi è sincronizzata con quella dell’organizzazione madre, ovvero rilanciare il terrorismo internazionale per avere visibilità e mostrare al mondo, ma soprattutto a potenziali reclute e finanziatori, che lo Stato Islamico è ancora l’organizzazione jihadista numero uno. Ciò che resta del califfato, ovvero una leadership braccata e dispersa tra la Siria e la Turchia, ha chiesto l’aiuto di IS-K per rilanciare il marchio jihadista, in particolare facendosi carico della gestione delle decine di cellule centroasiatiche affiliate al califfato, sparpagliate tra la Turchia, la Siria, l’Europa, la Russia, l’Asia Centrale e l’Iran. Questo nuovo ruolo ha proiettato per la prima volta IS-K oltre i confini della sua regione. Il gruppo coordina e dirige le cellule centroasiatiche dall’Afghanistan, sebbene le decisioni riguardo alle strategie e ai bersagli vengano ancora prese dalla leadership centrale del califfato. Inizialmente riluttante a calarsi nel nuovo ruolo, oggi IS-K sembra aver cominciato a considerarne le potenzialità, tra cui la possibilità di sviluppare la propria raccolta fondi in autonomia rispetto al califfato. Resta da vedere se la voglia di proiezioni sul lungo periodo continuerà a svilupparsi, considerata anche le disponibilità finanziarie molto limitate.

 

 

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