I musulmani modernisti-apologetici non sono né liberali, né fondamentalisti. Secondo loro l’Islam è garante della libertà dei cittadini, che però “hanno il diritto di scegliere soltanto l’Islam, perché ogni altro riferimento è illegittimo”

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:35:01

scientific-and-political-freedom-in-islam.jpgRecensione di Uriya Shavit, Scientific and Political Freedom in Islam. A Critical Reading of the Modernist-Apologetic School, Routledge, Abingdon Oxon-New York 2017.

 

Ci sono campi di ricerca che, per quanto lavorati da anni di studi, ancora non sono completamente dissodati. Uno di questi è il terreno del riformismo islamico otto-novecentesco: la bibliografia che ne tratta è ormai sterminata, ma diversi suoi aspetti attendono tuttora di essere adeguatamente indagati e compresi. Con il suo Scientific and Political Freedom in Islam, Uriya Shavit, professore di Studi islamici all’università di Tel Aviv, apporta un duplice contributo all’interpretazione di questo periodo cruciale della storia islamica moderna: da un lato affronta la questione, tutt’altro che marginale, della libertà scientifica e politica nella riflessione riformista; dall’altro mostra come questa riflessione si sia prolungata nella produzione intellettuale di una nuova generazione di pensatori musulmani, meno noti o almeno meno studiati dei loro predecessori, come Yūsuf al-Qaradāwī, Muhammad al-Ghazālī e Muhammad ‘Imāra.

 

Tutto comincia nell’ultimo quarto dell’Ottocento, quando orientalisti, intellettuali e uomini politici europei accusano a più riprese l’Islam di essere ostile alla scienza e alla libertà politica e dunque di rappresentare il principale ostacolo allo sviluppo delle società musulmane. Ne scaturiscono una serie di dibattiti di cui sono protagonisti i grandi rappresentanti del riformismo islamico, Jamāl al-Dīn al-Afghānī, Husayn al-Jisr, Muhammad ‘Abduh, Rashīd Ridā, i quali rispondono a queste accuse elaborando un discorso incentrato sul paragone tra Islam e Cristianesimo. Esso afferma che, mentre l’Europa ha dovuto liberarsi dall’oscurantismo della religione (soprattutto cattolica) per intraprendere la strada del progresso, i musulmani non hanno motivo di rinunciare alla propria religione per fare i conti con la modernità. A differenza del Cristianesimo, infatti, l’Islam non solo non si oppone alla scienza, ma la promuove, al punto da aver ispirato, con le sue arti e i suoi saperi, il Rinascimento europeo. In secondo luogo, non possedendo un clero, l’Islam sarebbe naturalmente immune dalla teocrazia. A partire da questi due assunti, i pensatori riformisti e i loro epigoni elaborano una teoria della libertà scientifica e della libertà politica che sarebbe diventata parte costitutiva dell’apparato ideologico dei movimenti islamisti, soprattutto dei Fratelli musulmani, oltre ad affermarsi come opinione dominante nel mondo musulmano contemporaneo.

 

Questa teoria adotta una visione concordista della rivelazione e in particolare del Corano, il quale allo stesso tempo anticiperebbe le grandi scoperte scientifiche dell’era moderna e istituirebbe un ordine politico precursore della democrazia. Nel caso di conflitto tra lettera della rivelazione e scienza moderna, la contraddizione andrebbe risolta attraverso un’interpretazione allegorica del testo.

 

In passato, i fautori di questo approccio sono stati collocati in categorie affatto differenti. Per Hourani, la loro apertura alla modernità ne faceva dei liberali; altri li hanno descritti come fondamentalisti. Proponendo un’utile chiarificazione terminologica, Shavit preferisce racchiuderli nella definizione di scuola “modernista-apologetica”, che è «allo stesso tempo liberale e fondamentalista e dunque non è né liberale né fondamentalista» (p. 45). I musulmani modernisti-apologetici non sono liberali perché, a differenza dei cristiani liberali, non hanno «preso le distanze dalla rivelazione come fonte ultima di autorità», ma hanno «iscritto la loro ricerca di riforma religiosa nella rivelazione stessa» (p. 47). Ma non sono neppure fondamentalisti, perché diversamente dagli evangelici americani, per esempio, non rifiutano le teorie scientifiche moderne che confliggono con il senso letterale dei testi rivelati, tentando invece di dimostrare come «ogni singolo versetto della rivelazione possa essere interpretato in modo da conciliarsi con le idee moderne» (p. 49).

 

L’implicazione politica della posizione assunta dai modernisti-apologetici è che, in forza dell’armonia tra sharī‘a e pensiero e istituzioni moderne, l’Islam è naturaliter garante delle libertà dei suoi cittadini e può dunque essere legittimamente posto a fondamento della vita pubblica. Si tratta di un’architettura teorica che apparentemente tiene insieme centralità della rivelazione e acquisizioni moderne, ma che in realtà è incapace di mantenere le sue promesse. Shavit lo dimostra mettendone in luce le incoerenze sia sul fronte della libertà scientifica sia di quella politica. In entrambi i casi il punto debole di questa prospettiva è l’individuazione dell’autorità deputata a stabilire la corrispondenza tra legge rivelata e leggi naturali o leggi umane. Nell’ambito scientifico è emblematica la traiettoria dell’evoluzionismo darwiniano. Rifiutato da al-Afghānī perché contrario all’Islam, esso venne considerato da al-Jisr e Ridā una conferma della superiorità della rivelazione coranica, per poi essere screditato da al-Ghazālī, Qaradāwī e ‘Imāra come un’aberrazione.

Al di là della variabilità delle opinioni di questi pensatori, ciò che lascia perplessi è che a esprimersi sulla validità di una teoria scientifica non siano scienziati, ma uomini di religione. Lo stesso vale per la questione della libertà politica. I modernisti-apologetici affermano che nell’Islam non esiste teocrazia e che lo Stato islamico è piuttosto una forma di democrazia, in cui i cittadini hanno il diritto di darsi le leggi che desiderano, purché queste non confliggano con la sharī‘a, che è fonte primaria della legislazione. Ma chi decide della conformità tra leggi umane e legge rivelata? Su questo aspetto i pensatori modernisti o sono vaghi o finiscono per evocare la necessità di un’istanza di controllo composta da esperti religiosi, ciò che reintrodurrebbe di fatto la teocrazia di cui teoricamente essi negano l’esistenza. In questo modo, scrive Shavit, «il vecchio paradosso modernista-apologetico non viene risolto: nello Stato islamico, l’Islam deve essere scelto più che imposto, ma gli individui hanno il diritto di scegliere soltanto l’Islam, perché ogni altro riferimento è illegittimo» (p. 139).

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Michele Brignone, “Né liberali, né fondamentalisti”, «Oasis», anno XIII, n. 26, dicembre 2017, pp. 130-132.

 

Riferimento al formato digitale:

Michele Brignone, “Né liberali, né fondamentalisti”, «Oasis» [online], pubblicato il 1 febbraio 2018, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/ne-liberali-ne-fondamentalisti.

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