Una settimana di notizie e analisi dal Medio Oriente e dal mondo musulmano

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:01:37

Nei giorni scorsi sono apparsi su Facebook un primo e un secondo video del cugino di Bashar al-Assad, Rami Makhlouf. Nel primo video il magnate siriano, che ha sempre fatto parte della cerchia ristretta del presidente, chiede aiuto per evitare che il governo confischi i suoi beni. Makhlouf dichiara di aver pagato tutte le tasse dovute (il governo gli ha ingiunto il pagamento di 255 milioni di dollari di tasse arretrate), ma si offre di rimborsare la somma richiesta dal governo direttamente ad Assad, scrive il Washington Post. Proprietario di alcune delle maggiori compagnie del Paese (tra cui Syriatel, il principale operatore di telefonia mobile e la principale fonte di reddito per il governo colpito dalle sensazioni europee e americane), sembra che ora Makhlouf sia caduto in disgrazia a causa di contrasti intra familiari.

 

Nel secondo video apparso domenica, invece, Makhlouf denuncia le azioni delle forze di sicurezza governative che hanno cominciato ad arrestare i suoi impiegati con metodi disumani, riporta il New York Times. Makhlouf afferma che gli è stato imposto di farsi da parte e rinunciare alle sue aziende, che non si aspettava l’intervento delle forze di sicurezza, da lui sempre sostenute, e infine dichiara che non si piegherà alle pressioni delle autorità.

 

Non è chiaro cosa abbia scatenato la faida e perché Assad stia ora chiedendo milioni di dollari al cugino, anche se diverse ipotesi affiorano: secondo Haaretz l’opzione più plausibile è che la Russia voglia indietro i 5 miliardi che ha speso finora per tenere in piedi il regime siriano, e pensi di ottenerli attraverso contratti e concessioni per la ricostruzione della Siria. Una parte dei beni di Makhlouf passerebbero allora a Mosca, come ritorno degli investimenti russi in Siria, anche se questo si scontra con la volontà dell’Iran, che preferirebbe mantenere nella Siria un alleato debole.

 

Per il Foglio la diatriba potrebbe essere stata scatenata da Asma al-Assad, la moglie di Bashar, che è a capo di una serie di organizzazioni caritatevoli in competizione con quelle di Rami Makhlouf e al quale lo stesso Makhlouf nei video sembra alludere quando nomina una persona sunnita vicina al presidente che vuole appropriarsi delle ricchezze degli alawiti (la minoranza di cui fanno parte il presidente e il cugino). Asma al-Assad potrebbe essere la figura ideale “per mitigare la pressione internazionale inorridita dai crimini di Bashar”, e facilitare così una serie di investimenti per la ricostruzione della Siria che rischierebbero altrimenti di essere bloccati dalle sanzioni.

 

Anche il Washington Post conclude prendendo in considerazione la disastrosa situazione economica del Paese. Le casse dello Stato sono vuote, l’80% della popolazione vive sotto la soglia della povertà, le sanzioni non permettono investimenti e stanno rallentando la ricostruzione. Le richieste del regime nei confronti di Makhlouf potrebbero essere state dettate dall’esigenza di ottenere immediata liquidità, e il Financial Times fa notare che già il mese scorso il ministero delle telecomunicazioni aveva chiesto che Syriatel pagasse 180 milioni di dollari come nuovo canone di licenza, mentre il Ministro delle finanze aveva congelato alcuni dei suoi beni all’estero per delle tasse doganali non pagate, e altre compagnie del magnate sembra siano state coinvolte in traffici illeciti. Tutte accuse che Makhlouf ha rispedito al mittente.

 

Se alcuni analisti hanno concluso che queste vicende familiari possano essere sintomo della debolezza di Assad, Syria Comment è dell’opinione contraria, e ricostruisce il coinvolgimento di Makhlouf nella malagestione di moltissimi affari che nel tempo hanno generato gravi perdite per il governo siriano. Avvicinandosi poi sempre più ai movimenti sciiti, Makhlouf, arrivato a considerarsi un pari di Assad. Tuttavia con in mente la ricostruzione della Siria, il presidente siriano potrebbe decidere di abbattere quella classe di oligarchi che hanno acquisito autonomia durante la guerra ma che hanno solo in parte contribuito a produrre ricchezza per il Paese.

 

Il ritorno dello Stato islamico in Iraq

 

Il Parlamento iracheno ha votato la fiducia al governo presieduto da Mustafa al-Kadhimi, l’ex capo dell’intelligence che, rispetto al suo predecessore, ha adottato un approccio più morbido nei confronti dei manifestanti cercando di ascoltare le loro ragioni, scrive il New York Times. Nonostante l’accordo per il nuovo governo, non svaniscono le preoccupazioni per l’Iraq: l’economia è al collasso a causa del crollo del prezzo del petrolio e il nuovo presidente dovrà decidere cosa fare con tutti quei lavoratori che dipendono dallo Stato, principale datore di lavoro in Iraq. Al-Kadhimi ha l’appoggio degli Stati Uniti, i quali potrebbero fare facilmente delle concessioni all’Iraq al fine di contrastare l’Iran nella regione.

 

In realtà, secondo Foreign Policy, queste concessioni avranno un costo: oltre all’esclusione totale dell’Iran dalle politiche irachene, l’amministrazione Trump potrebbe prendere in considerazione una condizionalità più severa sulle misure di supporto economico e militare a Baghdad. Tutte questioni che verranno probabilmente affrontate durante lo strategic dialogue” previsto a giugno.

 

Ma al momento un altro problema colpisce il Paese tra i due fiumi: lo Stato islamico sabato ha perpetrato una serie di attacchi poco prima del sahūr, il pasto di Ramadan che precede l’alba. Gli attentati si sono svolti inizialmente vicino alla città di Samarra e poi in altre parti del Paese. Al Monitor ripercorre tutti gli scontri dell’ultima settimana, che si sono concentrati contro le Forze di mobilizzazione popolare, le milizie sciite che controllano buona parte del Paese.

 

Le Monde riporta le parole del capo della missione internazionale che combatte contro l’ISIS, dicendo che se dall’inizio dell’anno gli attacchi sono progressivamente aumentati, è anche vero che per il mese di aprile sono stati comunque meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Gli esperti escludono che il gruppo terroristico possa riappropriarsi di ampie fette di territorio siro-iracheno, ma la pandemia di Covid-19 e le tensioni tra USA e Iran stanno offrendo ai terroristi la possibilità di rafforzarsi.

 

Il Center for Global Policy ha infatti cercato di tracciare la traiettoria dell’ISIS sul territorio iracheno. Il gruppo jihadista colpisce in base a tre fattori: opportunità di guadagno materiale, individuazione di aree che possano geograficamente fungere da rifugio e base strategica, e infine zone dove la popolazione per una serie di motivi potrebbe essere pro-ISIS.

 

Vari elementi hanno favorito questa nuova insorgenza: la diffusione delle proteste a partire da ottobre, lo stallo politico, l’uccisione da parte degli Stati Uniti del capo delle PMF Abu Mahdi al-Muhandis e il ritiro delle truppe americane.

 

La geopolitica delle musalsalāt

 

Le serie TV che vengono trasmesse nel periodo del Ramadan (musalsalāt) tengono milioni di spettatori incollati allo schermo, ma quest’anno sono state accompagnate da una serie di polemiche, perché, come scrive Limes, in un modo o nell’altro, il principale protagonista quest’anno è Israele. Tuttavia anche le serie che non hanno avuto per protagonista il Paese ebraico sono state oggetto di polemiche. È il caso di “Dakious e Markious” in Algeria, la cui terza stagione è stata censurata perché tacciata di parodiare il presidente Abdelmadjid Tebboune, sebbene gli attori abbiano negato l’accusa. Un’altra serie, “Dar Laajeb” è stata invece interrotta dopo qualche episodio perché riprendeva una vicenda su un deposito di 150 milioni di dollari dello Stato algerino nella Banca centrale tunisina.

 

Per il resto, sono tre le serie su cui si è concentrato il dibattito. Tre serie che bene o male coinvolgono Israele. Haaretz descrive nel dettaglio la scena della serie saudita “Makhraj 7” (“Uscita 7”) in cui un personaggio vuole fare affari con Israele e accusa i palestinesi di ingratitudine nei confronti di Riad. Subito si sono sollevate critiche, sia in Cisgiordania che in Arabia Saudita, con l’accusa che la serie abbia come scopo la normalizzazione dei rapporti con lo Stato ebraico.

 

L’altra serie TV saudita  che è stata oggetto di critiche è “Umm Haroun” (“La madre di Aron”), di cui parla il New York Times. Ambientata in un non precisato Stato del Golfo, la serie segue le vicende di una famiglia ebraica nel 1948, quando è sorto lo Stato di Israele, e porta sullo schermo anche una relazione romantica tra una donna ebrea e un uomo musulmano. Anche in questo caso i produttori hanno dichiarato di non avere avuto alcun tipo di agenda politica e che al contrario il loro obiettivo era di “recapitare il messaggio che le nostre società erano molto più tolleranti di quanto lo siano oggi” ha dichiarato il capo sceneggiatore. Che poi ha aggiunto, come riporta The Times of Israel, che loro distinguono “tra ebrei e israeliani”.

 

All’estremo opposto si colloca invece la serie egiziana “Al-Nihaya” (“La fine”), in cui viene presentata la realtà distopica del 2120. In questo mondo, scrive il Post, Israele è stato distrutto e gli Stati Uniti, loro principali alleati si sono divisi. In uno dei primi episodi un insegnante racconta di come sia avvenuta la distruzione di Israele, e proprio in riferimento a questa scena il Ministro degli esteri israeliano ha definito la serie “infelice e inaccettabile”, e ha ricordato all’Egitto di avere firmato un trattato di pace in vigore da 41 anni. E proprio al trattato di pace si è appellato il Jerusalem Post nel chiedere al governo israeliano di prendere provvedimenti più seri a riguardo, poiché l’accordo vieta la “propaganda ostile” tra i due Paesi.

 

Un altro vespaio si è poi sollevato in Israele riguardo la campagna informativa sul Coronavirus che è stata tradotta in arabo, di cui scrive Haaretz. Le istruzioni riguardano soprattutto le precauzioni da prendere durante il mese di Ramadan, ma le illustrazioni che le accompagnano ritraggono chiaramente dei sauditi, non dei palestinesi. Anche se la campagna poi è stata rimossa, nei giorni successivi è stato diffuso in video simile altrettanto stereotipato, soprattutto nei confronti delle donne arabe, che è stato rimosso sempre a causa delle polemiche.

 

Non bisogna dimenticare che sullo sfondo di tutte queste discussioni rimane il piano per la pace in Medio Oriente proposto dal presidente americano Donald Trump, ricorda Orient XXI. Il nuovo accordo di governo trovato da Netanyahu prevede infatti l’annessione di una parte della Cisgiordania, che potrebbe essere la valle del Giordano e una parte dell’area C. Anche se a livello interno si sollevano marginali voci di dissenso, molto dipenderà dalla prossima campagna elettorale americana.

 

Anche il patriarcato latino di Gerusalemme ha espresso il proprio dissenso tramite un comunicato ufficiale, in cui chiede a Israele di astenersi da un’annessione unilaterale che in verità minerebbe il processo di pace, e chiede invece ai palestinesi di risolvere le proprie dispute interne per presentarsi come un fronte compatto. Haaretz, infine, lamenta la totale mancanza di considerazione nei confronti dei cristiani nel processo di pace, il quale ha semplicemente appiattito la realtà della Terra Santa, dimenticandosi di una delle sue componenti fondamentali. L’accordo potrebbe permettere a Israele di annettere dei siti cristiani e privare così alcune famiglie della terra su cui hanno vissuto per secoli.

 

In breve

 

Il Washington Post propone una riflessione su come la pandemia stia offrendo a vari regimi autoritari in Medio Oriente la possibilità di rafforzarsi

 

Gli Stati Uniti hanno deciso di rimuovere i sistemi anti-missili Patriot installati in Arabia Saudita a protezione di alcuni impianti petroliferi (Al Jazeera)

 

Settimana scorsa in Afghanistan Abdullah Abdullah, sfidante politico di Ashraf Ghani, ha dichiarato di aver trovato un “accordo provvisorio” con il presidente internazionalmente riconosciuto, sebbene continuino gli attacchi contro le forze afgane a la pandemia stia duramente colpendo il Paese (La Croix)

 

In Libia, la pratica di schierare mercenari da parte delle potenze straniere coinvolte nel conflitto, porta concittadini, in questo caso siriani, a scontrarsi sul campo di battaglia (Foreign Policy)

 

L’unica soluzione per alleviare la crisi economica in Libano è rivolgersi al Fondo monetario internazionale (Financial Times), mentre le proteste continuano nonostante il lockdown. (ISPI)

 

Anche l’Egitto verte in gravissime condizioni economiche a causa della pandemia e giovedì scorso si è registrato un attacco dell’ISIS nella regione del Sinai (The National)

 

Dopo un allentamento delle restrizioni, in Iran i casi di Covid-19 sono tornati a crescere (Al Monitor)

 

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