Un messaggio del fondatore di Deir Mar Musa scomparso nel 2013 getta luce su alcuni frammenti di storia, siriana e italiana

Ultimo aggiornamento: 14/03/2024 14:45:59

Dalle profondità del mio account di messaggistica riemerge un testo di dieci anni fa: l’ultima lettera ricevuta da padre Paolo Dall’Oglio, ventisette giorni prima della sua scomparsa, avvenuta il 29 luglio 2013. Rileggerlo oggi mi fa riavvolgere il nastro del nostro rapporto, e getta luce su alcuni frammenti di storia: della Siria, d’Italia e di tutti noi.

 

Come tanti altri l’avevo conosciuto in Siria, dove mi ero trasferito dalla Palestina per proseguire gli studi di arabo, nel 2003. Come tanti altri ero rimasto colpito dalla sua padronanza della lingua, dalla profonda cultura teologica, dalla passione civile e sociale nel segno dell’incontro tra fedi. Una specie di equilibrista, nel senso migliore del termine, che cercava di tenere insieme una fede cristiana molto radicata con un’apertura all’Altro di grande respiro, persino vertiginosa. Sullo sfondo dei nostri incontri c’era quel che ribolliva nella “pentola siriana”, soprattutto nel mondo giovanile, che lui accoglieva a Mar Musa e che io incontravo nei corridoi della facoltà di lettere e filosofia di Damasco.

 

Di quel mondo giovanile, che a Mar Musa aveva un porto sicuro e ospitale, conservo il ricordo di un incidente rivelatore, prodottosi al convegno sul miglioramento dei programmi educativi, aula magna facoltà di sociologia, primavera del 2005. Dopo la rassegna degli interventi in programma, tutti di rinomati accademici locali, il moderatore incoraggia i presenti a porgere domande. Non si aspettava di certo le parole che avrebbe pronunciato quello studente piuttosto alto, barba rada e curata, che scende con calma la scalinata, raggiunge il microfono e in un silenzio surreale chiede come sia possibile parlare di “miglioramento” quando tutti i manuali sono sottoposti a strettissima censura, quando tutti i docenti sono nominati con il placet dei servizi segreti. Il moderatore scatta in piedi, invita, poi ingiunge, infine grida al ragazzo di tacere, di tornare al posto. Sta per soccombere, quando proprio dietro di me si alza una ragazza, una di quelle col velo stretto stretto e il cappottone lungo fino alle caviglie, una di quelle educate a camminare tenendo lo sguardo basso e a non parlare con gli estranei. Mi giro verso di lei e imprimo nella memoria i suoi occhi verdi e le lentiggini sul viso, mentre scandisce con chiara e ferma voce: «Lasciatelo parlare, perché lui sa quel che dice, lui è responsabile delle sue parole!». Quando sei anni dopo i ragazzi sono scesi in strada chiedendo le cose che si trovano scritte (anche) nei primi articoli della nostra Costituzione non me ne sono affatto stupito: era la brace riemersa dalla cenere.

 

Rientrato in Italia, ho seguito con apprensione e dolore il disastro di quella generazione, a partire dal 2011: chi in prigione, chi espatriato, chi svanito nel nulla. Apprensione anche per p. Paolo, sapendolo sempre più attivamente coinvolto. Forse all’inizio aveva pensato di potere svolgere un certo ruolo di mediazione tra le istanze del cambiamento e le ragioni del regime, ma credo che quella prospettiva sia rapidamente svaporata, a favore di una netta presa di campo. Era affascinato dalla figura di Giuseppe Dossetti, fondatore della comunità religiosa alla quale appartengo (Piccola Famiglia dell’Annunziata), e una volta mi sorprese con questa domanda: «Ma Dossetti portava le armi?». Il riferimento era alla sua fase partigiana, quando si lasciò coinvolgere, insieme al fratello Ermanno, nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), prima nella sua Cavriago e poi, nel dicembre 1944, nel CLN provinciale di Reggio Emilia, del quale fu poi eletto presidente. Questa domanda così specifica mi è parsa illuminante sul travaglio che p. Paolo attraversava, personalmente, in quei mesi frenetici.

 

Amman, giugno 2013. Ritrovo Shirin, musulmana e filosofa, cara amica dai giorni di Damasco. Anche lei in fuga dall’incendio della Siria, dove ha partecipato alla sollevazione civile, sino a quando i soldati non le sono entrati in casa di notte: «Ho due figlie giovani – mi racconta davanti a una tazza di tè – non è successo niente di male, grazie a Dio, ma mi sono detta che non volevo rivederli un’altra volta». Shirin prosegue i suoi studi di dottorato, come può, e organizza un gruppo di sostegno per studenti universitari più giovani di lei, come lei in fuga. Mi invita a partecipare a una loro riunione, nel seminterrato di un ristorante del centro. Visi spauriti, disorientati, di chi sa che non può tornare indietro ma neanche sa se ci sia un’uscita sul davanti. A una di loro mancava un esame alla laurea in medicina: «Ho perduto tutto, potrò ricominciare?». A sorpresa, Shirin mi invita a presentarmi. Racconto brevemente di me, della comunità, di Dossetti resistente e padre costituente, poi monaco, uomo-ponte tra Dio e la storia, e infine della mia amicizia con p. Paolo.

 

L’assemblea si scioglie e me ne torno a casa. Ma una settimana dopo ho la sorpresa di ritrovarmeli sulla porta. Una delegazione di una decina, tra ragazzi e ragazze, vuole parlarmi, chiedermi un favore su una questione specifica, delicata. Ci sediamo in cerchio: «Avanti, per quale motivo siete venuti?». «Il motivo è abuna Paolo». Li scruto uno per uno: «Dite». Uno di loro si fa portavoce: «Hai detto che sei amico di padre Paolo, giusto? Devi scrivergli, subito, devi dirgli di stare fuori dalla Siria, di non provare a rientrare». «Sì, posso farlo a nome vostro, ma voi sapete qual è il suo rapporto con il vostro paese, il suo amore per la Siria e specialmente per voi giovani». «Lo sappiamo, ed è per questo che gli devi scrivere, per dirgli una cosa semplice: di un uomo come te abbiamo bisogno vivo, non morto». Si alzano, mi salutano e se ne vanno, dopo avere ricevuto la promessa che non avrei fatto calare la sera senza avergli scritto, secondo il loro desiderio. La seguente è la sua risposta, che il mio account registra alle 23.53 di martedì 2 luglio (i punti di sospensione nel testo sono suoi):

 

Ciao Ignazio mi sorprendi con questa tua solidarietà coi democratici siriani ... confesso che ti credevo più vicino alle paure della maggior parte dei nostri sfortunati cristiani ... Mi piace sentire di questa discussione coi giovani .... il mio ruolo non può restare iconico mentre un genocidio accade sotto gli occhi di tutti... Oggi ho parlato al telefono con il Capo designato del Governo siriano temporaneo ... gli ho riconfermato la mia disponibilità a far parte di una commissione consultiva per la riconciliazione civile (Silm Ahli) e ad accompagnare la delegazione a Ginevra in qualità di consigliere ... Don Dossetti benedica questi miei poveri sforzi dal Cielo, lui che seppe riprendere il discorso politico per difendere la costituzione democratica alla fine della sua magnifica e movimentata esistenza di monaco contemplativo ...politico! Saluta quei giovani e parla lor di Dossetti, di Monte Sole, della resistenza, di Marzabotto e della costituzione democratica ... quanto è costata agli italiani e quanto facilmente è svenduta dai neopopulisti! Tuo nel Risorto Paolo.

 

 

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