Il terzo episodio del podcast “Il Mediterraneo come destino. I grandi protagonisti del dialogo” è dedicato a uno dei 19 martiri d’Algeria

Ultimo aggiornamento: 14/03/2024 14:22:52

Uno dei meriti del film Uomini di Dio, premiato al festival di Cannes del 2010, è aver contribuito a far conoscere la straordinaria vicenda dei monaci di Tibhirine, rapiti e poi uccisi durante la guerra civile che negli anni ’90 ha insanguinato l’Algeria. Un po’ meno nota in Italia, ma non meno affascinante, è la storia di Pierre Claverie, frate domenicano, vescovo di Orano, anche lui assassinato durante il decennio nero algerino e beatificato l’8 dicembre del 2018 insieme agli altri 18 martiri d’Algeria. La terza puntata del podcast “Il Mediterraneo come destino. I grandi protagonisti del dialogo”, realizzata per Oasis da WIP Italia grazie al sostegno della Fondazione Cariplo, racconta la sua vita. Lo fa con l’aiuto di due confratelli di Pierre: Jean-Jacques Pérennès, suo amico e biografo, e Adrien Candiard, che pur non avendo conosciuto personalmente Claverie ne è stato profondamente influenzato, al punto da avergli dedicato una pièce teatrale di successo, Pierre e Mohamed.

 

In particolare nel caso di Claverie, parlare del Mediterraneo come destino è tutt’altro che una forzatura retorica. Nato nel 1938 in una famiglia di pieds-noirs che risiedeva in Algeria da quattro generazioni, ha dovuto raggiungere l’altra sponda del Mare Nostrum per uscire dalla bolla coloniale in cui aveva trascorso la giovinezza. Come spiega Pérennès, durante gli studi universitari in Francia Pierre matura la sua “doppia vocazione”, domenicana e algerina, e dopo l’ordinazione sacerdotale torna nel suo Paese natale per riscoprirlo con occhi diversi e una nuova consapevolezza. Studia e impara l’arabo, approfondisce la conoscenza di una società che per anni aveva ignorato e stringe ovunque legami di amicizia.

 

La sua nomina a Vescovo di Orano coincide con il deterioramento del clima politico e sociale del Paese nordafricano. Quando nel 1991 l’esercito interrompe il processo elettorale che avrebbe portato gli islamisti al potere e scoppia la guerra civile, Pierre sceglie deliberatamente di restare, convinto che i cristiani abbiano il compito di essere presenti sulle “linee frattura”. Pagherà con la vita insieme all’autista e amico Mohamed, che era con lui la sera in cui rientrando nel vescovado trova una bomba ad aspettarlo. Quello che sembra soltanto un tragico epilogo, è in realtà il compimento di una vocazione, come si capisce ascoltando Pérennès parlare dell’eredità «spettacolare» di Claverie.

 

E tra i tanti lasciti del vescovo martire spicca quello messo in luce da Candiard, una lezione particolarmente preziosa per uscire dalla sterile contrapposizione tra irenismi a buon mercato e ripiegamenti identitari che spesso mina il dialogo interreligioso e interculturale: «Oggi ci sentiamo un po’ presi davanti a un’alternativa tra due vie senza uscita: o l’accoglienza degli altri, ma a patto di abbandonare la propria fede, o la radicalità nella propria fede ma rifiutando l’accoglienza degli altri. Lui riusciva a mantenere una fede cristiana che va fino a dare la propria la propria vita per Gesù Cristo, con un rispetto assoluto per i musulmani. Questo paradosso, che non è paradossale, l’ha vissuto fino alla fine».

 

 

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