Intervento di Emanuela Del Re alla conferenza internazionale “Cambiare rotta. I migranti e l’Europa”

Ultimo aggiornamento: 07/02/2024 11:09:09

Sono contenta di essere qui con voi e di poter discutere della questione migratoria, una questione pressante, soprattutto in questi giorni in cui, come sapete, su questo tema arrivano proposte da più parti. Sul piano politico, anche a Bruxelles, dove mi trovo in questo momento, è in corso una grande discussione interna per far sì che, oltre ai punti proposti dalla presidente della Commissione europea von der Leyen, ci siano anche delle pratiche concrete, e le indicazioni politiche possano essere trasformate in vere e proprie prassi. Credo che questo sia un buon momento perché vi é una profonda consapevolezza della necessità di agire. Fino ad ora l’Unione Europea ha adottato molte misure sulla questione migratoria, ma il punto politico essenziale è che si è sempre trattato di reazioni tese a rispondere a un’emergenza più che a dare delle risposte a una situazione diventata sicuramente strutturale, e che quindi merita delle risposte strutturali.

Proprio in questi giorni, riflettendo con numerosi addetti ai lavori, soprattutto a Bruxelles, sulle politiche che vengono elaborate, mi sono infatti sentita confortata dall’esistenza di una volontà effettiva di trovare delle soluzioni a lungo termine e non più soltanto a breve termine. Un esempio che dimostra questa ricerca di pragmatismo forte è la tanto dibattuta questione del coinvolgimento della forza navale, diventata una questione molto pressante. Si pensa di intervenire per rafforzare la visione di IRINI, una missione importante non soltanto per la questione dell’orribile traffico degli esseri umani, ma anche per intercettare altri tipi di traffici di cui il Mediterraneo è diventato, ahimè, sempre più teatro. Da questo punto di vista emergono come necessarie anche altre misure: la riflessione, per esempio, su come intervenire con pratiche concrete di protezione. Già da tempo l’Unione Europea ha messo in atto misure volte a cercare di assicurarla. È chiaro che non si tratta di un processo facile per un milione di motivi che credo l’assemblea qui presente conosca bene, ma che meritano appunto una maggiore riflessione perché, se da un lato si deve intervenire sulla migrazione irregolare per fare in modo di bloccare questo orrendo traffico, dall’altro si devono proteggere le persone e soprattutto evitare di perdere vite nel Mediterraneo o nei deserti.

 

In questi anni l’Unione Europea ha lavorato sul piano dell’emergenza. Per esempio, dal 2019 sono stati stanziati circa 60 milioni per programmi relativi alle migrazioni. Si tratta di fondi che, se usati bene, possono avere un impatto estremamente importante. Però, quello che più conta, è il sistema che si sta creando intorno a questa risposta: si tratta, cioè, di assistere i Paesi del Nord Africa per cercare di aiutarli ad affrontare la questione migratoria, ma anche di cercare delle risposte che vadano alle radici profonde del movimento migratorio. Io credo che questo sia un movimento che corrisponde a una naturale aspirazione dell’essere umano, ma che sta diventando una questione sempre più drammatica, con le stragi di esseri umani che fuggono alla ricerca di una vita migliore. La posizione attuale dell’Unione Europea è continuare ad assistere i Paesi [di origine dei migranti] in generale e cercare di focalizzarsi sui Paesi chiave, come la Libia, che è stata uno degli Stati che più ha beneficiato delle iniziative politiche messe in atto. Sappiamo che la Libia è un caso emblematico, essendo un luogo di destinazione dei migranti che arrivano dal Sahel, a sua volta una zona di migrazione sud-sud. Non dimentichiamoci infatti che oltre le migrazioni sud-nord, verso l’Europa, ci sono anche le migrazioni sud-sud, che costituiscono un enorme fardello per i Paesi del Sahel che sono, già di per sé, estremamente poveri. I rifugiati, ma anche gli sfollati, richiedono ai governi locali una capacità di reazione che non sempre hanno. Per esempio, in questo momento la Mauritania, vedendo il nostro interesse per la Tunisia, solleva la questione del suo fardello: anche la Mauritania, infatti, è un Paese di destinazione dei migranti in transito verso l’Europa e ha la necessità di vedersi riconosciuto un ruolo in questo percorso di controllo e soprattutto di contrasto del traffico illecito di esseri umani. Da questo punto di vista, noi abbiamo attivato delle grandi partnership e, devo essere sincera, se non mettiamo in campo tutti gli attori in una maniera coordinata e soprattutto attiviamo una collaborazione stretta, non riusciremo a risolvere il problema. Io insisto, per esempio, sulla collaborazione con l’IOM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) e con l’UNHCR, che hanno già dimostrato di essere dei partner essenziali nel sistema di risposta alla questione migratoria. Chiaramente noi abbiamo anche un rapporto con i partner africani e, secondo me, dovremmo fare accordi e cercare di capire meglio come riuscire a coinvolgere grandi organizzazioni regionali come l’ECOWAS (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale), che in questi giorni è balzata sulle prime pagine dei nostri giornali a causa del colpo di Stato in Niger. E poi, è essenziale che anche l’Unione Africana sia partecipe di questo percorso. 

 

Cercando di estrapolare alcuni punti, io credo che la soluzione e l’approccio in questo momento si debbano basare su due elementi politici fondamentali. Si tratta intanto di uscire dalla mentalità dell’emergenza, perché uscire dall’emergenza in questo momento purtroppo è impossibile. Ma uscire dalla mentalità dell’emergenza ci potrebbe aiutare molto. Occorre certamente mantenere il piano di aiuti umanitari, che per noi è essenziale, e devo dire con orgoglio che l’Unione Europea è il maggiore contributore di aiuti umanitari del mondo. Quando dico Unione Europea intendo anche i 27 Paesi bilateralmente che, con uno spirito di squadra che si chiama “Team Europe”, contribuiscono tutti a questo percorso. Però, uscire dall’emergenza, vorrebbe dire riuscire a dare delle risposte strutturali.

 

L’altro punto politico, secondo me, è la questione dell’unità e della creazione effettiva di una rete che sia efficace e soprattutto efficiente. Questa rete deve prevedere una maggiore collaborazione tra tutti gli attori. Io porto spesso l’esempio dei corridoi umanitari. Mi sono battuta a lungo per trasformarli in corridoi europei e forse ci stiamo riuscendo. Questo è l’esempio virtuoso di come mettendo insieme tutte le parti si possono ottenere dei risultati veramente efficaci. Ma chi viene messo in rete e crea questo sistema? Sicuramente la società civile con le organizzazioni che se ne occupano, le organizzazioni internazionali – ho citato l’UNHCR e l’IOM, che sono quelle principali – ma anche i governi locali e le istituzioni dei Paesi in cui vengono messi in atto i corridoi umanitari, e chiaramente tutte le istituzioni dei Paesi di accoglienza, perché sappiamo che è necessario dotare i beneficiari di adeguata documentazione ed è necessario anche superare le varie questioni burocratiche. Quindi, se si crea un circolo virtuoso di cooperazione con un obiettivo chiaro – e nel caso dei corridoi umanitari l’obiettivo è garantire percorsi sicuri di trasferimento nei nostri Paesi con un progetto di integrazione già avviato – si ottengono degli enormi risultati.

 

Ci sono poi altre questioni che richiedono il coinvolgimento dei Paesi di origine o di transito. Io, per esempio, insieme alla missione EUBAM, una missione di border management dell’Unione Europea, ho lanciato un’iniziativa proprio in questo senso che si chiama “One desert”. Questa iniziativa è nata dall’esigenza di creare un collegamento tra la Libia e i cinque Paesi del Sahel: Chad, Niger, Mali, Burkina Faso e Mauritania. Per questi Paesi, la Libia è un Paese difficile, è l’origine di molti problemi, per esempio della circolazione di armi che ha alimentato il sistema di terroristi criminali che purtroppo stanno soggiogando i Paesi del Sahel. Di conseguenza, cercare di creare delle collaborazioni e fare in modo di aumentare il dialogo tra questi sei Paesi mi sembra essenziale. Ci siamo riusciti e ci impegniamo a fare in modo che il loro dialogo sia basato su delle pratiche concrete, come per esempio la condivisione dell’intelligence, e sulle buone prassi.

 

Avviandomi alla conclusione, posso dire che ci troviamo in un momento di riflessione concreta sulla questione delle migrazioni. Attualmente, la concretezza è l’imperativo che si sta diffondendo come necessità assoluta negli uffici di Bruxelles e nei Paesi dell’Unione Europea. Non è facile gestire un simile problema politico all’interno dell’Unione Europea perché, come sappiamo, ciascun Paese membro ha il suo modo di vedere la questione, anche a seconda della propria condizione interna. Non dimentichiamoci che la guerra in Ucraina ha innescato un enorme movimento di rifugiati, che la Germania ha adottato una sua politica molto coraggiosa a partire dal 2015, quando accolse un milione di rifugiati siriani, e che altri Paesi hanno il loro modo di vedere la questione anche a seconda della latitudine e longitudine a cui si trovano. La Spagna, per esempio, ha la sua prospettiva che deriva dal suo collocamento a ovest, ciò che chiaramente ha un’influenza sulla sua gestione generale dei flussi dall’Africa nord-occidentale. In questi giorni però abbiamo visto che c’è la volontà di trovare delle soluzioni strutturali, che potrebbero effettivamente costituire un punto di riferimento per tutti i Paesi del Maghreb. L’Algeria, per esempio, si lamenta sempre del fatto che oramai chi arriva sul suo territorio tende a restare. Sappiamo infatti che in questo momento non c’è un movimento migratorio consistente da questo Paese. Il Niger ha avuto il colpo di Stato, ha sempre collaborato moltissimo con l’Unione Europea, ma rimane un Paese di transito, non di origine delle migrazioni. Questo è un paradosso molto triste, perché pur essendo un Paese poverissimo, la quasi totalità della popolazione è analfabeta e non possiede nemmeno quel minimo di risorse e di conoscenza del mondo per poter intraprendere una migrazione con tutte le complicanze che questa comporta. Sappiamo infatti che migrare vuol dire mettere da parte soldi e riuscire a conoscere gente di quelle “agenzie di viaggio” orribili che trasferiscono le persone.

 

Ogni angolatura, ogni prospettiva ha un suo peso molto forte. Io credo che, in questo momento, anche per tutto il lavoro che si sta facendo sul campo dialogando con ciascun attore, la novità sia costituita dalla volontà politica di unirsi per risolvere la questione migratoria e dare delle risposte strutturali. Io insisto, anche con le mie personali proposte, sulla necessità di uscire dalla mentalità della sola emergenza e di acquisire un atteggiamento più unitario rispetto al ruolo di tutti gli attori, perché è chiaro che ogni attore ha un proprio ruolo specifico e importantissimo nel sistema che si deve creare per rispondere alla questione. Ovviamente le vie legali sono il punto fondamentale e l’ambizione massima. Dobbiamo garantire le vie legali e un impegno economico sempre maggiore per poter aiutare i Paesi di origine delle migrazioni. È necessario che il nostro partenariato su base egualitaria, di cui tanto parliamo, sia veramente messo in atto. Noi siamo partner fondamentali di tantissimi Paesi del mondo. Come Unione Europea siamo il primo partner del Sahel e dobbiamo dimostrare che questo nostro partenariato è veramente produttivo. Ci sarebbe moltissimo da dire, ma vorrei concludere con una nota propulsiva: è ovvio che la strada è lunga e tortuosa, ma in questo momento mettersi a lavorare sull’aspetto più pragmatico potrebbe essere una grande opportunità. E andrebbe fatto anche con una certa velocità, per riuscire a cogliere quest’onda politica che, se ben gestita, ci può fare del bene.

 

Mi fermo qua e vi ringrazio molto di questa possibilità.

 

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
 
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