Per ognuno di noi Dio nel Suo Verbo ha pensato un ruolo unico e irripetibile da svolgere sulla scena di questo mondo. Questo ruolo ognuno deve svolgerlo per gli altri in modo santo e immacolato così...

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:44:24

Per ognuno di noi Dio nel Suo Verbo ha pensato un ruolo unico e irripetibile da svolgere sulla scena di questo mondo. Questo ruolo ognuno deve svolgerlo per gli altri in modo santo e immacolato così che, diventando loro amico e prossimo, insieme con loro si identifichi con il pensiero concepito riguardo a ciascuno di noi da Dio prima della creazione del mondo [cfr. Ef 1, 4]. Dietro ogni uomo vanno le sue azioni. Con esse ognuno esce dalla scena di questo mondo che passa, ma attraverso di esse rimane nella memoria di quanti su quella scena ancora non hanno finito la loro parte. Rimane in loro come pietra d'inciampo o come aiuto. È troppo presto per valutare l'eredità spirituale lasciataci da Giovanni Paolo II. Tutto quello che ora si dice riflette soprattutto prime impressioni e primi pensieri fondati sulle emozioni. Indubbiamente si rivela in essi la profonda esperienza di fede vissuta in unione con il Papa defunto. Tuttavia le emozioni rendono più difficile arrivare ai fondamenti di ciò che egli ha vissuto e ci ha lasciato. Sarà necessaria una riflessione costante e duratura per poter affrontare il contenuto della sua eredità. Però già adesso si può dire che il fondamentale contenuto dell'eredità di Giovanni Paolo II, come di tutti i suoi predecessori e successori, è la Persona di Gesù, Figlio di Dio, che tutto quanto ha udito dal Padre l'ha fatto conoscere ai suoi discepoli in Spirito d'Amore. In questo modo si è fatto loro amico. Che cosa il Figlio di Dio ha udito dal Padre? Ha udito Se stesso. Quindi tutto quanto Egli ha rivelato ai discepoli è Lui stesso. Cristo ha dato loro la propria divina figliolanza e in essa ha comunicato a loro la Paternità di Dio. Figlio, Padre e Spirito d'Amore: su loro tre è stato il dramma che si è rappresentato nella vita di Giovanni Paolo II. Per quasi ventisette anni il Papa polacco co-scriveva insieme con Cristo l'enciclica Redemptor hominis. Non vi mise i suoi pensieri sul tema della redenzione dell'uomo. Consapevole del fatto che la Rivelazione redentrice non è un discorso di Dio su Dio ma il suo donare il Figlio in sacrificio per noi, Giovanni Paolo II non portò il suo pensiero su Cristo a raccogliere idee e formulare concetti sul Loro Amore, ma cercò innanzitutto la trasparenza della propria azione così che gli uomini affidati alla sua cura pastorale potessero, attraverso di lui, cogliere la grandezza dell'uomo fondata sulla sua "immedesimazione" a Dio. Giovanni Paolo II ha scritto questa enciclica con la sua vita formata dalla presenza spirituale di San Stanislao vescovo e martire a Cracovia e dalla presenza di San Pietro a Roma. Da loro imparava a prendersi cura dei propri fratelli e ad aiutarli a radicarsi nella Parola su cui Dio aveva stabilito la storia e l'universo. La testimonianza di Giovanni Paolo II data alla Persona del Figlio di Dio e, attraverso di Lui, alla Persona di Dio Padre è legata organicamente all'esperienza umana. Grazie a questa esperienza il suo petrino confermare nella fede i fratelli in Cristo rafforzò anche la loro fede nella propria umanità. Mostrò loro la grandezza divina e la dignità della verità data all'uomo come compito; senza questa divina verità e senza questo lavoro per essa l'uomo non sarà se stesso. Alla luce di un'esperienza così "a doppio senso", l'esperienza della persona di Cristo che esiste trinitariamente e l'esperienza della persona dell'uomo che parimenti esiste comunionalmente, Giovanni Paolo II trovò nelle pagine della Sacra Scrittura parole eternamente nuove, perché divino-umane e umano-divine. L'esperienza dell'uomo compresa alla luce della Sacra Scrittura e la lettura di questa Scrittura in tale esperienza gli hanno permesso di scoprire Cristo negli avvenimenti e nelle parole che sono condizionati dalla storia e dalla cultura. La Parola di Dio, infatti, è entrata negli avvenimenti e nelle parole definite dal tempo e dallo spazio senza temere di essere sopraffatta dalla loro piccolezza. L'amore regale non teme mai di mettersi al servizio. Per queste ragioni la riflessione sull'eredità spirituale di Giovanni Paolo II e la comprensione del suo contenuto esigono una quotidiana fatica legata indissolubilmente al cambiamento della vita. Senza un continuo convertirsi alle cose divine, eternamente nuove, il pensiero su ciò che il Papa ci ha lasciato si ridurrà a emozioni di breve durata e a discorsi elevati. Senza la conversione alle cose divine, non persevereremo nella volontà di stare di fronte alla Sua presenza spirituale in mezzo a noi e per noi. La Sua presenza puramente spirituale diventa per noi esigenza ancora più grande di prima, quando era fisicamente possibile toccare la sua mano. Non basta più citare le sue parole pronunciate ad esempio in Piazza della Vittoria a Varsavia, a Parigi o a Santiago di Compostella. Del resto una citazione troppo frequente, superficiale delle sue parole cancella il contenuto impresso in esse. Le sue parole vanno convertite nella vita; devono ad-venire in noi e non solo sulle nostre labbra nei momenti di emozione. Persino la Parola di Dio sarebbe vuota se in essa non ci fosse Dio. Non sarebbero i nostri pensieri più geniali a farlo risorgere. Lo stesso succede con le parole umane; sono vuote quando colui che le pronuncia o le ripete non è presente in esse. Cristo preparò Karol Wojtyla alla missione di Pietro fin dall'inizio della sua vita. Gli insegnò ad essere presente in quello che diceva per comprendere meglio che cosa vuol dire che nelle parole di Cristo è presente la Parola di Dio annunciata da un lato dai profeti e dall'altro dal desiderio dell'uomo di esistere in modo totalmente diverso da come esiste adesso. Sono profondamente convinto che Karol Wojtyla in certo qual modo ha "sentito" che Cristo lo preparava alla missione di confermare i fratelli nel loro affidarsi a Dio, che nel Suo Figlio è sceso nei confini delle cose umane e li ha spostati fino alle celesti altezze. Fin dai primi anni della sua vita, infatti, esigeva chiaramente da lui "più" che dagli altri [cfr. Gv 21, 15-18]. Karol Wojtyla sentiva continuamente: «Lascia tutto e seguimi!». 3 Il pensiero del Vescovo Karol e poi di Papa Giovanni Paolo II aveva dimensioni mistico-poetiche. Scaturiva infatti dall'esperienza della bellezza della verità dell'uomo. Non era l'esperienza di oggetti che frullavano nei suoi pensieri o in quelli di coloro le cui tracce erano state da altri uomini fissate nei libri. Egli viveva ciò che veniva a lui, che gli opponeva resistenza e al tempo stesso con la sua bellezza lo guidava verso la realtà più bella e più vera. La bellezza! Giovanni Paolo II come nessuno dei suoi predecessori ha parlato con coraggioso amore della bellezza dell'uomo, della bellezza del suo corpo, della bellezza del rapporto che lega le persone nello spazio della differenza sessuale. Accendendo negli uomini, in particolare nei giovani, l'amore per la bellezza dell'uomo, ha mostrato loro l'amore già presente in loro per Colui la cui Bellezza riflettendosi in loro li rende belli. Con coraggiosa delicatezza, propria di un amore grande, ha parlato della donna in modo da sorprendere tutti. Ha seguito le orme di Cristo che mai a nessuna donna disse parole dure e che con le donne ebbe i dialoghi più belli e più profondi poiché esse meglio degli uomini erano capaci di dire al dono della Verità: Fiat mihi! Esse lo servivano ed egli serviva loro con una devozione ancora più grande. Vedeva in loro l'immagine della Chiesa, nella quale pensò con il suo servizio sacerdotale di unire gli uomini tra loro nell'Amore che è Dio. L'esercizio del servizio sacerdotale di Cristo per la Chiesa-Sposa ha formato in Giovanni Paolo II la visione della donna e della sua presenza come madre e signora nella società e nella Chiesa. Con il suo «accada di me secondo la tua parola» la donna rende possibile alla società di essere società e alla Chiesa di essere Chiesa. Il sacerdote deve aiutarla in questo. La bellezza dell'uomo, vissuta nell'affidamento al Principio di tutte le cose visibili e invisibili, ha condotto Giovanni Paolo II ad Christum Redemptorem, a Cristo Redentore. E questo era il titolo che inizialmente intendeva dare alla prima enciclica, Redemptor hominis. Attraverso l'esperienza della bellezza dell'uomo passava la strada che Giovanni Paolo II ha percorso verso l'unica speranza, verso la croce: Ave crux, spes unica! Ognuno ha la sua croce e proprio questa e non quella di un altro deve prendere sulle sue spalle e, maturando alla verità dell'uomo che su di essa si rivela, portarla fino alla propria tomba. Il pensiero di Giovanni Paolo II, maturando nell'esperienza della bellezza al mistero che è l'uomo pensato da Dio nel Suo Verbo prima della creazione del mondo, non aveva in sé nulla dell'ideologia. Il suo pensiero che egli «ha conservato puro nella coscienza» non ha imposto niente a nessuno, solamente risvegliava come nel poema di Norwid lo scultore risveglia «il marmo». Questo Papa affidandosi agli altri affidava a loro i propri pensieri perché li compissero nella fede, nella speranza e nell'amore. E in ciò si esprimeva la sua cura pastorale per gli uomini a lui affidati che Dio aveva destinato alla libertà dei figli di Dio. Era una strada difficile e tale sarà sempre. Passa, infatti, attraverso la sofferenza e la morte a sé. Ma solo colui che accetta il destino del chicco di grano gettato nella terra porta molto frutto. Solo lui pensa logicamente, poiché pensa coerentemente con le spighe del futuro, infinitamente più grande di tutto quanto si può pensare. Giovanni Paolo II guardava l'uomo nella prospettiva di un futuro così grande. Perciò gli si avvicinava con grande rispetto. Con delicata fermezza rivolgeva a lui parole che ricordavano il dovere del lavoro sul difficile dono della libertà intorno al quale girava il suo pensiero pastorale. Per esperienza sapeva che cosa vuol dire il maltrattamento dell'uomo da parte dei totalitarismi. Aveva vissuto non solo la brutale malvagità del totalitarismo nazista e poi di quello comunista, ma anche quella che ancora di più devasta la persona umana con slogan e parole d'ordine gradatamente inculcati nei seguaci dei sistemi nei quali a ognuno è lecito fare quello che gli pare e bisogna invece evitare solo ciò che è respinto dalla maggioranza che attualmente detiene il potere. Giovanni Paolo II insegnava a dire con coraggio «No!» a tutti coloro che si presentano come difensori dell'uomo ma in realtà difendono solo la propria volontà di servirsene come strumento per realizzare propri interessi e piaceri. In modo deciso e senza compromessi Giovanni Paolo II difendeva l'amore la cui bellezza chiama l'uomo al lavoro per risorgere. Gli furono di ispirazione i versi di Norwid: «Forma dell'amore è la bellezza [...] / la bellezza è per entusiasmarci / al lavoro il lavoro è per risorgere». Del lavoro per risorgere Karol Wojtyla ha parlato nella sua filosofia coerente con la verità dell'uomo, verità i cui confini sono fissati in Dio. Del lavoro per risorgere Giovanni Paolo II ha parlato fin dal primo giorno del suo pontificato chiamandoci a liberarci della paura davanti ai nemici, e anche davanti a se stessi. Ne parla anche nel testamento; non aveva niente da dividere tranne uno spirito laborioso affidato a Dio Misericordioso e alla Vergine-Madre. Il lavoro per risorgere non gli permetteva di riservare troppo tempo all'amministrazione delle istituzioni ecclesiastiche. Ha guidato la Chiesa semplicemente vivendo con il popolo a lui affidato e insieme ad esso camminando dietro al Maestro. Così ha governato a Cracovia, così ha governato a Roma. In diversi modi ha ripetuto le parole di Cristo rivolgendole a tutti: «Alzatevi, andiamo!». Non bisogna dormire quando il Maestro è in agonia. Il momento essenziale del lavoro di Giovanni Paolo II per risorgere è stato l'esercizio pastorale del primato petrino. Lo ha esercitato con forza e rispetto per quanti credevano diversamente e ha manifestato la disponibilità a ripensare questo primato insieme ai fratelli della Chiesa d'Oriente. Sapeva infatti che cos'è per la vita della Chiesa il respirare con due polmoni. Il Papa ha esercitato il primato petrino in modo orante. Lo ha fatto vedere ad esempio con la celebrazione di preghiera al Colosseo durante la quale ha onorato la memoria dei martiri di entrambe le Chiese e delle altre comunità cristiane. Lo stesso ha fatto ad Assisi quando ha elevato le preghiere dei rappresentanti delle diverse religioni all'altezza della preghiera del Signore "Padre Nostro!". Con il coraggio di Pietro ha chiesto perdono a coloro ai quali gli uomini della Chiesa avevano recato danno. Chiedono perdono solo coloro che sanno che Cristo è venuto per i «malati» e non per quelli che non hanno bisogno del «medico». Giovanni Paolo II con il coraggio di Pietro ha purificato la memoria del popolo di Dio. Questo Papa non ha coltivato la politica e proprio per questo ha esercitato su di essa un così grande influsso. Non sfumava politicamente le parole. In esse si sentiva "Sì! Sì!" oppure "No! No!". Nelle sue parole non c'era posto per le mezze verità. Quando difendeva i diritti e i doveri della persona umana difendeva il suo diritto e dovere di diventare amore, cioè amico di Dio e degli uomini. Difendeva la libertà di tutti, difendendo il diritto e il dovere dell'uomo di unirsi con Dio che dalle Sue altezze era sceso per unirsi a noi. Il dimorare in modo orante alla luce che emana da Gesù ha fatto sì che Giovanni Paolo II «diventasse discepolo del regno dei cieli» che è «simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13, 52). Perciò sono lontani dalla verità coloro che lo definiscono con i termini politici di "progressista" o "conservatore". Il desiderio dell'Amore supera tutti gli aggettivi politici. Quando Andrej Gromyko gli si sedette davanti e raccontò la favola della grande libertà che il regime sovietico aveva dato alla religione, il Papa lo guardò e sorrise. Penso che Gromyko continuasse a stento nelle sue menzogne anche se in questo campo aveva molta pratica. Ma chissà che lo sguardo del Papa e il suo sorriso non abbiano aiutato il ministro sovietico a vivere, almeno per un istante, la libertà dalla falsa testimonianza. Forse, grazie allo sguardo non ideologico del Papa, si è sentito meno solo, forse rispetto a quanto aveva fatto fino a quel momento ha pensato in modo diverso agli uomini che davano la vita per la verità contro cui combatteva. La preghiera ha dato forma alla testimonianza petrina di Giovanni Paolo II al Redentore dell'uomo. Ogni volta che mi è stato dato di entrare nella sua cappella privata, il mio sguardo si soffermava sul bianco blocco di preghiera, blocco affidato al Crocifisso e a sua Madre Totus tuus ego sum. Questa bianca roccia di preghiera permane nella mia memoria e vi si fissa sempre più. Ora né il tempo né lo spazio limitano più la sua presenza. La testimonianza petrina di Giovanni Paolo II immerso nella preghiera si è rafforzata negli anni per compiersi nel triduo pasquale della sua agonia e nell'ultimo atto della sua vita che è stato la sua morte alla vigilia della Divina Misericordia. Allora ha scritto l'ultima frase nell'enciclica Redemptor hominis. L'ha scritta nella sofferenza, nella sua croce portata da lui dietro al Redentore. L'ha scritta con la parola più profonda che la lingua umana conosce, con il silenzio. Su ogni croce portata dall'uomo dietro a Cristo e piantata sul Golgota accanto alla croce di Cristo si rivela la verità personale dell'uomo, quella che Dio ha pensato per lui nel Suo Figlio prima della creazione del mondo [cfr. Ef 1, 4]. A questa verità e alla sua gloria si va con la croce sulle spalle e si passa attraverso di essa come attraverso una porta. Un giorno all'inizio del suo pontificato Giovanni Paolo II disse a qualcuno: «Solo la morte mi libererà dalla croce che ho preso su di me». Quando è spirato Giovanni Paolo II, quelli che erano presenti accanto alle sue spoglie hanno intonato il Te Deum. Le persone che erano in piazza San Pietro e anche nelle altre parti della terra sono rimaste assorte. In esse la domanda sul senso della vita si è trasformata in preghiera e in veglia. In esse la testimonianza data da Giovanni Paolo II al Redentore è stata elevata alle altezze che superano le strutture istituzionali della Chiesa. Per ragioni comprensibili i lavori in queste strutture si svolgono a un ritmo più lento. Il popolo di Dio, invece, ha subito acclamato Giovanni Paolo II santo e gli ha dato il titolo di Magno. Si tratta del terzo avvenimento di questo genere nella storia della Chiesa. Il primo ebbe luogo 1600 anni fa (Leone Magno, 400-461), il secondo 1400 anni fa (Gregorio Magno, 540-604). Tutto indica che la presenza di Giovanni Paolo II dopo la sua morte ci influenzerà con più forza che durante la sua vita. Egli non è morto, egli vive, solo in un altro modo. Quando il suo corpo veniva portato via da piazza San Pietro, il popolo di Dio lo ha salutato con gli applausi. Così i romani salutavano e continuano a salutare coloro che sulla scena di questo mondo hanno recitato bene il ruolo loro affidato. Gli applausi del popolo di Dio hanno annunciato urbi et orbi che questo attore che usciva dalla scena si era ben immedesimato nella "maschera" (persona) che rappresentava la missione con cui era salito sulla scena che passa e che Dio nella sua eternità gli aveva affidato.

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